La bella e lo squallido

Charlotte Corday e Jean Paul Marat

Mario Mancini
9 min readSep 11, 2022

di Thomas Carlyle

Speciale Marat
Introduzione. Marat, l’Amico del Popolo
1. Protagonisti della rivoluzione francese di François Furet e Denis Rochet
2. La morte di Marat e Carlotta Corday di Jules Michelet
3. La bella e lo squallido di Thomas Carlyle
4. L’influenza di Marat di Louis R. Gottschalk
5. Marat socialista? di Jean Jaurès
6. Marat dietro le quinte di Victor Hugo
7. Testi di Marat: Dispotismo e libertà | I diritti civili

“Think | Tank”. Il saggio del mese [settembre 2022]

Il fotogramma appartiene alla miniserie “La Rèvolution Française”,d ove Carlotta Corday è Philippine Leroy-Beaulieu (figlia di Philippe Leroy)

Vi proponiamo di seguito un passo tratto dall’unica traduzione italiana pubblicata de La Rivoluzione Francese di Thomas Carlyle (dal quale ha preso il nome il famoso Hotel di New York) dall’editrice Bietti di Milano nel 1933. Purtroppo la traduzione italiana è ben lontana dal replicare la prosa brillante e arguta di Carlyle. Sarebbe senz’altro tempo di offrire ai lettori italiani una traduzione degna di questo grande storico e saggista scozzese e di questa imprescindibile opera sulla rivoluzione francese.

Entra in scena una giovane bella e dolce

In mezzo a questo fosco fermento di Caen, del Mondo intero, la Storia nota specialmente una cosa: nel vestibolo del Palazzo de l’Intendance, ove è tutto un andare e venire di Deputati affaccendati, una Giovanetta con n cameriere attempato si congeda con grazia e compostezza del Deputato Barbaroux. Ella ha l’alta statura di Normanna; ha venticinque anni, è bella e dolce: il suo nome è Charlotte Corday, altra volta chiamata D’Armans, quando esisteva ancora la Nobiltà.

Barbaroux le ha dato un biglietto per il Deputato Duperret, — quello stesso che una volta sguainò la sua spada in un momento di effervescenza. Si reca forse, ella, secondo le apparenze, a Parigi per qualche affare? «Era repubblicana prima della Rivoluzione, e mai mancò d’energia». Nel suo bell’aspetto femminile vi è solidità, decisione: per «energia ella intende quello spirito che porta al sacrificio di se stessa pel proprio paese».

Che sarebbe mai, se questa bella e giovane Charlotte emergesse dalla sua vita ritirata e quieta, d’un subito, come una Stella; crudele e amabile nello stesso tempo, con uno splendore tra angelico e demoniaco; per brillare per un momento e poi estinguersi; tramandando la memoria, tanto luminosamente completa ella era, traverso lunghi secoli! — Lasciando fuori le coalizioni cimmerie, e dentro i venticinque milioni che ribollono nella loro oscurità, la Storia guarderà intenta questa bella Apparizione d’una Charlotte Corday; osserverà dove va Charlotte, come quella piccola Vita s’infiamma e irradia, e poi svanisce ingoiata dalla Notte.

Verso Parigi

Col biglietto d’introduzione di Barbaroux e il suo leggero bagaglio, vediamo Charlotte, il martedì nove Luglio, che occupa un posto nella diligenza di Caen, diretta a Parigi. Nessuno le dice addio, le augura buon viaggio: suo padre troverà qualche sua parola con cui gli significherà che è andata in Inghilterra, che egli deve perdonarla e dimenticarla.

La sonnolenta diligenza s’avanza pesantemente; tra sonnolenti discorsi di politica e l odi della Montagna, cui ella non prende parte: si cammina tutta la notte, tutto il giorno, e di nuovo tutta la notte. Il giovedì, non molto prima di mezzodì, noi siamo al ponte di Neuilly: ecco Parigi dai mille comignoli neri, la meta, lo scopo del tuo viaggio!

Giunta all’Albergo della Providence nella Rue des Vieux Augustins, Charlotte chiede una camera; s’affretta ad andare a letto; dorme tutto il pomeriggio e tutta la notte, fino al mattino seguente.

Il mattino seguente ella rimette il suo biglietto a Duperret. Esso concerne alcune carte di famiglia che si trovano nelle mani del Ministro dell’interno, di cui una Monaca a Caen, antica amica di convento di Charlotte, ha bisogno; e Duperret dovrà aiutarla nell’ottenerle. È dunque questo lo scopo del viaggio di Charlotte a Parigi? Ella ha espletato tutto questo il venerdì; — eppure non parla di ripartire. Ha veduto e scrutato silenziosamente tante cose. Ha veduta la Convenzione in tutta la sua realtà; ha veduto quel che è la Montagna; ma non ha potuto vedere la fisionomia vivente di Marat, perché egli è ammalato e resta confinato a casa.

A Parigi

Il mattino del Sabato, verso le otto, ella compera ella compera un grande coltello col suo fodero nel Palais-Royal, poi va direttamente alla Place des Victoires, prende una vettura da nolo e dice: «Rue de l’École de Médecine, n. 44» È l’abitazione del cittadino Marat!

Il Cittadino Marat è ammalato, e non si può vederlo; il che la fa apparire molto contrariata. Dunque il suo affare è con Marat? Sventurata e bella Charlotte; sventurato, squallido Marat! Da Caen nell’Occidente, da Neuchâtel nell’Oriente, entrambi si vanno avvicinando l’uno all’altra; entrambi, stranamente, hanno un affare da regolare insieme.

Tornata all’Albergo, Charlotte spedisce un breve biglietto a Marat; significandogli che ella è di Caen, la sede della ribellione; che desidera ardentemente di vederlo, «e lo metterà in grado di rendere un gran servizio alla Francia».

Nessuna risposta. Charlotte scrive un altro biglietto, ancora più pressante; monta in una carrozza e lo reca a destinazione ella stessa, verso le sette di sera. Gli operai tornano stanchi dall’aver compiuta la loro settimana; l’enorme Parigi circola e ribolle nel suo aspetto multiforme, secondo il suo costume indefinito: solo quella bella figura ha in sé una decisione, procede diritta, verso uno scopo.

È una chiara sera di luglio, il tredici propriamente, la vigilia dell’anniversario della Bastiglia, — allorché «il signor Marat», quattr’anni addietro, nella calca del Pont Neuf, accortamente chiese a quel distaccamento di ussari di Besenval, che avevano disposizioni tanto amichevoli, «di smontare e cedere le armi», e acquistò notorietà fra i Patrioti. In quattro anni quanta strada ha percorso! — e se ne sta ora, circa alle sette e mezzo, a spugnarsi in una vasca da bagno; molto sofferente; ammalato della febbre della Rivoluzione, — o d’un’altra malattia che questa Storia preferisce non nominare.

È molto ammalato e esaurito, il pover’uomo, e non possiede che ventidue soldi e mezzo di moneta contante in carta, una vasca da bagno, un solido sgabello e tre piedi per iscrivere durante il bagno, e una squallida lavandaia, cha così può chiamarsi: questa è la sua civica dimora nella via della scuola di medicina; a questo punto né più né meno lo ha condotto la sua vita. Non nel Regno della Fraternità e della Felicità Perfetta; o certamente verso tutto questo?

A casa di Marat

Ascoltate, si picchia ancora! Una voce musicale di donna che non vuole esser rimandata; è la Cittadina che voleva rendere un servigio alla Francia. Marat ode di dentro e grida: Fatela entrare. Charlotte Corday entra.

«Cittadino Marat, io sono di Caen, la sede della ribellione, e desideravo di parlare con voi».

«Sedete, mon enfant. Che cosa fanno dunque i Traditori a Caen? Quali Deputati sono a Caen?»

Charlotte nomina alcuni Deputati.

«Le loro teste cadranno nel termine di quindici giorni», gracchia il violento Amico del Popolo, pigliando le sue tavolette per iscrivere: Barbaroux, Pétion; egli scrive col suo braccio nudo contratto, volgendosi di lato nel bagno: Pétion e Louvet, e…»

Charlotte ha tirato il suo coltello dal fodero; lo immerge d’un colpo sicuro nel cuore dello scrivente.

«À moi, chère amie. Aiuto, cara!»

Colpito a morte, egli non poté dire di più né gridare.

Mentre accorre la lavandaia chiamata in aiuto, l’Amico del Popolo, o l’Amico della Lavandaia, non è più; la sua vita si sprigiona con un gemito indignato, verso le tenebre sotterranee145.

E così Marat, l’Amico del Popolo, è finito; lo stilita solitario è precipitato d’un subito dal suo pilastro, e va dove solo Colui che lo creò può sapere.

Il fremito di Parigi

Parigi Patriottica può profondersi nel duolo e nei gemiti, cui fa eco la francia patriottica; e la Convenzione, mentre «Chabot, pallido di terrore, dichiara che saranno tutti assassinati», può decretargli gli onori del Pantheon, i funerali pubblici, poiché le ceneri di Mirabeau debbono lasciare a lui il posto; e le società giacobine, con lamentevole oratoria, riassumendo il suo carattere, possono paragonarlo a colui che esse credono di onorare chiamandolo «il buon sanculotto», che noi qui non nominiamo; anche una Cappella può esser fatta per l’urna che contiene il suo cuore, nella Place du Carrousel.

I fanciulli nascituri saranno chiamati Marat; e i merciaiuoli ambulanti del Lago di Como cuoceranno montagne di stucco pei suoi busti tutt’altro che belli; e David dipingerà il suo ritratto o la scena della morte; e ogni forma d’apoteosi avrà luogo come l’uman genio può ideare in tali circostanze: tutto questo si potrà fare; ma Marat non tornerà più alla luce di questo sole.

Una sola circostanza abbiamo rilevata con vera simpatia dall’antico giornale il Moniteur: il fratello di Marat viene da Neuchâtel per chiedere alla Convenzione, «che il moschetto del defunto Jean-Paul Marat sia dato a lui».

Poiché anche Marat ebbe un fratello, e degli affetti naturali; anch’egli fu avvolto nelle fasce e dormì al sicuro in una culla proprio come tutti noi. O figli degli uomini! — Si dice che una sua sorella viva ancora oggi a Parigi.

La sorte di Charlotte

Quanto a Charlotte Corday, la sua opera è compiuta; la ricompensa è prossima e sicura. La chère amie e i vicini di casa le si slanciano contro; ella «rovescia dei mobili», facendosene riparo, fin che arrivano i gendarmi; poi quietamente si arrende e quietamente si reca alla prigione dell’Abbadia; ella sola è calma, mentre tutta Parigi rumoreggia intorno a lei, manifestando la sua meraviglia, la sua rabbia, la sua ammirazione.

Duperret è arrestato a cagione di lei; si suggellano le sue Carte — ciò che può avere delle conseguenze. Anche Fauchet ha la stessa sorte, quantunque Fauchet non abbia neppur sentito parlare di lei. Charlotte, messa a confronto con questi due deputati, loda la fermezza grave di Duperret, censura la viltà di Fauchet.

Il mercoledì mattina, l’affollato Palais de Justice e il Tribunale rivoluzionario possono vedere la sua faccia, bella e calma: ella chiama questo giorno «il quarto giorno della preparazione della pace». Uno strano mormorio corre a traverso la sala al solo vederla; un mormorio il cui carattere non potreste definire.

Il processo

Tinville ha dinanzi l’atto di accusa e il processo: il coltellinaio del PalaisRoyal attesterà che le vendé il coltello col fodero; «tutti particolari inutili», interruppe Charlotte; «sono stata io che ho ucciso Marat».

«Per istigazione di chi?»
«Di nessuno».
«Che cosa vi ha dunque indotta?»

«I suoi delitti. Io uccisi un uomo», soggiunge poi, alzando la voce in estremo grado (extrèmement), a misura che proseguiva l’interrogatorio, «io uccisi un uomo per salvarne altri centomila; uno scellerato per salvare degli innocenti; una bestia feroce per dar pace al mio paese.

Io ero repubblicana prima della Rivoluzione; mai mancai d’energia».

Onde, non v’è più nulla da aggiungere. Il pubblico la guarda attonito; i pittori prendono in fretta il suo volto, ed ella non se n’ha per male; gli uomini della Legge procedono nelle loro formalità.

È condannata a morte come assassina. Ella ringrazia il suo avvocato con frasi gentili; con uno spirito pieno di classicismo. Ringrazia altresì il prete che le è stato mandato; ma non ha bisogno di nessuna confessione, né di guida spirituale o d’altro da lui.

L’esecuzione

Quella stessa sera, verso le sette e mezzo, dalla porta Della Conciergerie, verso una città tutta in aspettativa, esce il carro fatale; siede in esso una creatura bella e giovane, vestita della camicia rossa degli Assassini; così bella, così serena, così piena di vita, ella intraprende il suo viaggio verso la morte, — sola in mezzo al Mondo. Molti si tolgono il cappello, salutando con riverenza; qual cuore non si commuoverebbe?1

Altri mormorano e urlano. Adam Lux, di Magonza, dichiara che ella è più grande di Bruto; che sarebbe stato bello morire con lei: la testa di quel giovane sembra sconvolta.

Nella Place de la Révolution, sul volto di Charlotte è ancora impresso quel suo placido sorriso. I carnefici si accingono a legarle i piedi; ella resiste, pensando che quello sia un insulto; ma quando con una parola le si spiega la cosa, vi si sottopone, scusandosi allegramente.

Tutto essendo compiuto fino all’ultimo atto, le tolgono dal collo il suo fazzoletto: un rossore di fanciullesco pudore si diffonde sul bel volto e sul collo; e ancora le guance erano tinte di quel rossore, quando il carnefice sollevò la testa recisa per mostrarla al popolo.

«È perfettamente vero», dice Forster, «che le colpì la guancia in segno d’insulto, giacché io lo vidi con i miei occhi; e la polizia lo imprigionò per questo».

In questo modo quanto v’era di più bello e quanto v’era di più squallido vennero a collisione e si estinsero reciprocamente. Jean-Paul Marat e Marie Anne Charlotte Corday entrambi, repentinamente, non sono più.

La bella e lo squallido

«Giorno di Preparazione della Pace?» Ohimè, come la pace potrebbe essere possibile, od anche in via di preparazione, quando, per esempio, i cuori di amabili giovanette, nella pace dei loro conventi, sognano, non paradisi d’amore, non la luce della vita, ma sacrifici di Codro e la Morte ben rimeritata?

Quei venticinque milioni di cuori condividono questi sentimenti; questa è l’anarchia; la sua anima è in questo: di qui non può sostanziarsi la pace!

La morte di Marat, acuendo le antiche animosità dieci volte di più, sarà peggiore di qualunque vita. O voi due disgraziati, che mutuamente vi siete estinti, la bella e lo squallido, dormite in pace nel seno della madre che vi generò entrambi!

Questa è la storia di Charlotte Corday; fanciulla decisa, completa, angelica e demoniaca: pari a una stella! Adam Lux va a casa quasi delirante; per fare sgorgare dalla sua penna l’apoteosi di lei, in carta e stampa propone che le si faccia una statua con questa iscrizione: Più grande di Bruto.

Gli amici lo avvertono del pericolo; Lux non se ne preoccupa, perché pensa che sarebbe stato bello morire con lei.

Da Thomas Carlyle, La Rivoluzione Francese, vol. 3, Milano, Casa editrice Bietti, 1933, pp. 196–202

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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