Veganismo e animalismo in Rousseau

Alimentazione e animali in Émile

Mario Mancini
6 min readDec 20, 2022

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Un particolare del poster del Film “Madagascar” che promuove valori della solidarietà tra gli esseri viventi.

In alcuni passi dell’Émile, sia pur non direttamente o con l’intenzione di farne un argomento autonomo, Rousseau affronta il tema dell’alimentazione del bambino. Anche per questo aspetto ritorna la filosofia naturale del pensatore ginevrino.

Infatti sembra raccomandare una dieta a base vegetale con molti legumi ricavata dalla alimentazione del mondo contadino. Sembra aborrire la sostanza animale (cioè la carne e i derivati) che “formicola di vermi”.

Citando integralmente un passo di Plutarco sembra molto vicino all’idea che gli animali siano degli esseri senzienti in grado di patire la sofferenza. Per questo vede con disgusto la loro macellazione a scopi alimentari.

L’esempio delle contadine: meno carne e più verdure

Le contadine mangiano meno carne e più verdura delle donne di città, e la dieta vegetale, per loro e i loro figli, sembra fare più bene che male.

Quando prendono i lattanti borghesi, si dà loro del bollito, perché si è convinti che la minestra e il brodo di carne facciano un succo gastrico migliore e diano più latte.

Io non sono di questo parere, e ho dalla mia parte l’esperienza che insegna che i bambini nutriti in questo modo sono più soggetti alle coliche e ai vermi intestinali. Non c’è da stupirsi, dal momento che la sostanza animale in putrefazione formicola di vermi, diversamente da quanto avviene nella sostanza vegetale.

Il latte

Il latte, sebbene venga prodotto nel corpo dell’animale, è una sostanza vegetale.

La sua analisi dimostra che si trasforma facilmente in acido e invece di lasciare traccia di alcali volatile, come fanno le sostanze animali, produce come le piante un sale neutro essenziale. Il latte delle femmine erbivore è più dolce e più sano di quello delle carnivore.

La carne non è connaturale nell’uomo

Una delle prove che il gusto della carne non è connaturale nell’uomo sta nell’indifferenza che i bambini hanno per questo piatto e nella preferenza che ognuno di loro dà ai cibi vegetali come i latticini, la frutta, la pasta ecc.

È bene soprattutto non snaturare questo gusto primitivo, e non rendere i bambini carnivori, se non per la loro salute, almeno per il loro carattere.Quale che sia la spiegazione del fenomeno, è certo infatti che i grandi mangiatori di carne in generale sono più crudeli e feroci degli altri uomini. Quest’osservazione appartiene a ogni tempo e a ogni luogo. È nota la barbarie inglese, mentre i Gauri sono gli uomini più miti.

I mangiatori di carne sono crudeli

I selvaggi sono sempre crudeli: a ciò non li spingono affatto i loro costumi, ma la loro crudeltà deriva dai cibi. Vanno in guerra come vanno a caccia, trattano gli uomini come degli orsi.

In Inghilterra, addirittura, i macellai, così come i chirurghi, non vengono ammessi a testimoniare.

Grandi criminali diventano assassini incalliti bevendo sangue. Omero fa dei Ciclopi, mangiatori di carne, degli uomini spaventosi e dei Lotofagi un popolo così amabile che appena qualcuno entra in contatto con loro, dimentica persino il proprio paese per rimanere a vivere con loro.

L’uomo e l’animale

Come poté?

«Tu mi chiedi» diceva Plutarco «perché Pitagora si asteneva dal mangiare la carne delle bestie; io invece ti chiedo che coraggio ebbe il primo uomo che si portò alla bocca un pezzo di carne straziata, e spezzò coi proprio denti le ossa di un animale agonizzante, che si fece servire corpi morti, cadaveri, e mandò giù nel proprio stomaco membra che un attimo prima belavano, muggivano, camminavano e vedevano.
Come poté la sua mano affondare il ferro nel cuore di un essere sensibile?
Come poterono i suoi occhi sopportare un assassinio?
Come poté veder sanguinare, dilaniare, fare a pezzi un povero animale indifeso?
Come poté sopportare la vista di carni palpitanti?
Come riuscì il loro odore a non rivoltargli lo stomaco?
Come poté non essere disgustato, repulso, preso d’orrore, quando si trovò a smaneggiare la sporcizia di quelle ferite, a pulir via il sangue nero e rappreso che le ricopriva? Le pelli strisciavano in terra scorticate, le carni al fuoco muggivano infilzate; L’uomo non poté mangiarle senza fremere. E nel suo ventre le sentì gemere.
Ecco quel che dovette immaginare e sentire la prima volta che superò la natura per fare quest’orribile pasto, la prima volta che ebbe fame di un animale in vita e volle nutrirsi di una bestia che stava pascolando e disse come bisognava sgozzare, tagliare a pezzi e cuocere la pecora che gli leccava le mani.
Vi è motivo di turbarsi non tanto di coloro che abbandonarono questi banchetti crudeli, quanto di coloro che li iniziarono: questi, del resto, potrebbero giustificare la loro barbarie con certe scuse che mancano alla nostra, il che ci rende cento volte più barbari di loro.

La giustificazione del primitivo

Mortali ben amati dagli dèi, ci direbbero questi primitivi, mettete a confronto i tempi, guardate quanto siete fortunati e quanto noi eravamo miserabili!
La terra formata di recente e l’aria carica di vapori erano ancora indocili all’ordine delle stagioni; il corso incerto dei fiumi smangiava da ogni parte le coste; stagni laghi, profonde paludi inondavano i tre quarti della superficie del globo; l’altro quarto era ricoperto di boschi e foreste sterili.
La terra non produceva buoni frutti; non avevamo nessuno strumento per l’agricoltura; ignoravamo l’arte di servircene; per chi non aveva seminato nulla, il tempo del raccolto non arrivava mai.
Così la fame non ci abbandonava mai. Il muschio e la corteccia degli alberi, d’inverno, erano i nostri pasti abituali. Qualche radice verde di gramigna e di erica per noi erano una leccornia; e quando gli uomini riuscivano a trovare faggine o noci, ghiande, danzavano di gioia intorno a una quercia o a un faggio, al suono di qualche rustica canzone, chiamando la terra loro madre e nutrice: era, quella, la loro sola festa; erano, quelli, i loro unici giochi; tutto il resto della vita umana non era altro che dolore, miseria e fatica.
Alla fine, quando la terra nuda e spoglia non ci offriva più nulla, costretti a oltraggiare la natura per vivere, mangiammo i compagni della nostra miseria, piuttosto che perire con loro.

Ma i moderni?

Ma voi, uomini crudeli, chi vi costringe a versare quel sangue? Guardate che abbondanza di beni vi circonda! Quanti frutti vi offre la terra! Quante ricchezze vi danno i campi e le vigne! Quanti animali vi danno il loro latte per nutrirvi e il loro vello per vestirvi! Cosa chiedete di più?
Quale rabbia vi spinge a commettere tanti assassinii, voi che siete traboccanti di beni e sazi di viveri?
Perché mentite contro vostra madre, accusandola di non potervi nutrire?
Perché peccate contro Cerere, inventrice delle sacre leggi, e contro il caro Bacco, consolatore degli uomini?
Come se i loro prodighi doni non bastassero alla conservazione del genere umano! Come avete il coraggio di mischiare delle ossa ai loro dolci frutti sulle vostre tavole, e di bere il latte col sangue delle stesse bestie che ve lo danno?
Le pantere e i leoni, che chiamate bestie feroci, seguono il loro istinto per forza, e ammazzano gli altri animali per vivere.

Cento volte più feroci

Ma voi, cento volte più feroci di loro, combattete l’istinto senza necessità, per abbandonarvi alle vostre crudeli delizie.
Gli animali che mangiate non sono quelli che mangiano gli altri: questi animali carnivori voi non li mangiate, li imitate; avete fame solo di bestie miti e innocenti, che non fanno male a nessuno, che si affezionano a voi, vi servono e che voi divorate come premio per i loro servizi.

O omicida contro natura!

Se ti ostini a sostenere che la natura ti ha fatto per divorare i tuoi simili, esseri in carne e ossa, sensibili e vivi come te, soffoca l’orrore che essa ti ispira per questi pasti spaventosi; uccidi tu stesso gli animali, voglio dire, uccidili con le tue proprie mani, senza ferri, senza coltellacci, falli a brandelli con le tue unghie, come fanno gli orsi e i leoni; mordi quel bue e fallo a pezzi; affonda i tuoi artigli nella sua pelle; mangia quell’agnello ancora vivo, divorane le carni ancora calde, bevine l’anima col suo sangue.

E non basta

Tu fremi! Non osi sentir palpitare carne viva sotto i tuoi denti! Uomo pietoso! Cominci con l’uccidere l’animale e poi lo mangi, come per farlo morire due volte.
E non basta: la carne morta continua a ripugnarti, le tue viscere non possono sopportarla; bisogna trasformarla col fuoco, bollirla, arrostirla condirla con spezie che la dissimulino: ci vogliono salumai, cuochi, rosticceri, persone che ti privino dell’orrore dell’assassinio e rivestano dei corpi morti affinché il senso del gusto, ingannato da tali travestimenti, non rigetti ciò che gli è estraneo e assapori con piacere i cadaveri di cui persino l’occhio avrebbe fatto fatica a sopportare la vista.»

Non ho saputo resistere alla tentazione di trascrivere questo brano, nonostante sia estraneo al mio tema, e credo che pochi lettori se ne avranno a male.

Da: Jean-Jacques Rousseau, Émile o dell’educazione, Milano, Rizzoli, Edizione del Kindle, 2013, posizioni 1045–1046 e 3414–3415

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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