Rousseau: Se Émile rompe un vetro…
Il bambino discolo
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La scuola della natura
Come sappiamo Rousseau nell’Émile delinea un modello educativo alternativo rispetto a quelli praticati al suo tempo. Questo modello rispecchia la sua visione del mondo ed è permeato dai principi fondamentali della sua filosofia la quale evidenzia l’importanza di tutto ciò che rispecchia lo stato di natura rispetto a quello sviluppato dalla civiltà. Quest’ultima tende a soffocare la spontaneità e la naturalità dell’individuo.
L’educazione, nel promuovere la moralità dei comportamenti, deve fare leva su principi “naturali” propri di ogni età la quale ha una sua forma di perfezione che occorre rispettare e valorizzare. Il sommo degli errori è imporre un modello dall’alto ideato sulla base di principi alieni alla natura reale delle persone alle quali si impone.
Pertanto l’educazione deve esse negativa e non positiva, spontanea e non inculcata. il ragazzo deve scoprire da solo e in modo spontaneo la virtù attraverso esperienze di vita dirette. Il compito dell’educatore e schermarlo dal vizio e fare sì che sviluppi nel modo più spontaneo possibile le sue inclinazioni naturali.
Il ragazzo deve fare le sue coperte da solo e fino a 12 anni si terrà lontano da ogni istruzione libresca per avvicinarsi alle scienze naturali e fisiche attraverso l’esperienza immersiva nella natura.
Neppure si dovrà cercare di risparmiargli le difficoltà che potrà incontrare in questo cammino, intoppi che lui medesimo dovrà riconoscere, superare ed elaborare. Anzi bisognerà allenarlo alle difficoltà per temprarne il carattere. Per esempio vestendolo in modo estivo durante i mesi invernali.
Però, che cosa fare quando Emile sviluppa atteggiamenti e azioni da discolo? Per esempio rompe d’intenzione un vetro o combina un malestro?
Ecco che cosa consiglia di Rousseau.
Fategli sentire il danno della privazione
Il vostro bambino è un discolo e rovina tutto quel che tocca. Non vi arrabbiate, togliete dalla sua portata le cose che può rovinare.
Rompe i mobili che usa: non abbiate premura di dargliene di nuovi, fategli sentire il danno della privazione.
Spacca i vetri delle finestre della sua stanza: lasciate soffiare giorno e notte il vento su di lui, senza preoccuparvi del raffreddore. Meglio che sia raffreddato che pazzo.
Non lamentatevi mai dei fastidi che vi causa, ma fate in modo che il primo a sentirli sia lui. Alla fine, sempre senza dire nulla, fate riparare i vetri. Li rompe di nuovo?
Allora, cambiate metodo. Ditegli seccamente, ma senza collera: le finestre sono mie, sono io che mi son dato cura di metterle lì e le voglio proteggere. Poi, rinchiudetelo al buio in una stanza senza finestre.
Davanti a un modo di fare tanto insolito, comincerà a piangere, a infuriarsi. Nessuno gli presta ascolto. Subito si stanca e cambia tono, geme, si lamenta.
Un domestico va da lui e il ribelle lo prega di liberarlo. Senza cercar pretesti, il domestico risponde: «Ho anch’io dei vetri a cui badare» e se ne va.
Alla fine, dopo che il bambino sarà rimasto lì alcune ore, abbastanza a lungo per annoiarsi e ricordarselo, qualcuno gli suggerirà di proporvi un accordo per mezzo del quale voi gli restituirete la libertà e lui non romperà più i vetri. Non chiederà di meglio.
Vi farà pregare di andarlo a trovare. Voi andrete, vi farà la sua proposta e l’accetterete all’istante dicendogli: «È concepita molto bene, ci guadagneremo tutti e due, come mai non vi è venuta in mente prima!».
Poi, senza chiedergli né protesto né conferma della promessa che ha dato, lo abbraccerete con gioia e lo porterete subito nella sua stanza, considerando quell’accordo sacro e inviolabile, quanto un giuramento.
Quale idea pensate si farà di questo modo di procedere? Della parola data nel prendere un impegno e della sua utilità? Se c’è un solo bambino in terra, che non sia già viziato, il quale messo alla prova con una simile condotta si azzarda a rompere una finestra di proposito,* mi sono sbagliato. Seguite il concatenarsi di tutto questo.
Facendo una buca per piantare la sua fava, il piccolo monello non pensava affatto di scavarsi una prigione in cui la sua scienza avrebbe finito per farlo rinchiudere.
Da: Jean-Jacques Rousseau, Émile o dell’educazione, Milano, Rizzoli, Edizione del Kindle, 2013, posizione 2116.