Rainer Werner Fassbinder: Se si ha l’amore in corpo non serve giocare al flipper

Intervista a Hella Schlumberger, Playboy, 4 aprile 1978

Mario Mancini
23 min readMay 1, 2021

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Fassbinder, sullo sfondo un particolare del poster di Querelle de Best, il suo ultimo film.

Ich möchte für das Kino sein, was Shakespeare fürs Theater, Marx für die Politik und Freud für die Psychologie war: Jemand, nach dem nichts mehr ist wie zuvor.
(Vorrei essere per il cinema quello che Shakespeare fu per il teatro, Marx per la politica e Freud per la psicoanalisi: uno dopo il quale nulla è più come prima).
Rainer Wener Fassbinder, 1977

Hella Schlumberger, giornalista di Playboy, incontra Fassbinder per la prima volta in un bistrot del Viktualienmarkt a Monaco.

Fassbinder se ne sta seduto con Charles Aznavour al tavolo; è scomposto, quasi non parla, probabilmente ha anche qualche difficoltà con il francese e l’inglese. Aznavour invece chiacchiera tutto entusiasta, cosa che alla fine gli permetterà di ottenere il ruolo di Meck in Berlin Alexanderplatz. [1]

L’appuntamento per l’intervista è per il giorno dopo, alle 18, nell’abitazione di Fassbinder in Reichenbachstraße. Puntuale, Hella Schlumberger suona, ma nessuno le apre. Lascia il registratore dai vicini, due anziani di una disponibilità squisita, e scende al bar a prendersi un caffè.

«Deve andare da Fassbinder?» chiede impietosita la barista. «Allora dovrà aspettare parecchio… Vuole una parte?» Quando il locale chiude la giornalista torna all’appartamento.

Le apre Armin Meier, il «compagno fisso» di Fassbinder da tre anni e mezzo a questa parte. Bavarese, orfano, macellaio qualificato, ha anche insegnato a Fassbinder come si fanno i würstel.

Alla fine arriva il maestro. È pallido, gonfio, porta una camicia color kaki con le spalline. Ospite e padrone di casa si ritirano in soggiorno mentre Armin se ne va in cucina a preparare i crauti.

Gli piace cucinare, pulisce, lava i piatti, insomma una vera donnina di casa. «Massì, qualcosa bisogna pur fare, non ti regalano niente nella vita, e se poi hai anche la fortuna di amare qualcuno…»

Fassbinder beve la sua Coca-Cola, fuma le sue Marlboro, di tanto in tanto fa cadere la cenere dietro il divano, apre i pantaloni, ci infila la mano e, se pure scontroso, sembra pronto alla conversazione.

Parla piano, con lunghe pause, spesso risponde solo con un sì o con un no, evidentemente vuole che lo si pungoli. Durante il pranzo, di là in cucina, alla televisione, danno un vecchio film con Moser,[2] e Fassbinder di colpo scoppia in una risata cristallina, infantile.

Più tardi, quando la conversazione riprende, lui torna a interpretare la parte del bambino saggio e vulnerabile, ossessionato da paure e imposizioni, che di tanto in tanto si rigira fra le mani la sfera di cristallo dell’utopia, l’utopia di una società priva di aggressioni.

È difficile fissare un secondo appuntamento. A Monaco, o non risponde nessuno al telefono, oppure Armin dice che il maestro la richiamerà e lui non richiama. Poi d’improvviso, un mattino alle otto, arriva una telefonata: stiamo partendo per Parigi. Così anche Hella Schlumberger parte per Parigi. Arriva davanti all’ultima delle palazzine a due piani in rue Cortot, bussa quattro, cinque volte, tutto tace.

Le monta dentro una rabbia incontenibile. Se in quel momento Armin non avesse aperto la porta… Sono ancora molto stanchi dalla notte appena trascorsa… Al tavolo rotondo, nel locale dai soffitti alti e dalle finestre gigantesche — con due alberi (veri) e del fogliame decorativo (finto), con il camino e la scala che va al piano di sopra –, è seduto un ospite, un amico, la stessa faccia gonfia e scanzonata di Fassbinder, ma rasata. Porta scarpe rosa, una camicetta rosa, insomma una checca fatta e finita.

È Walter Bockmayer, giovane regista che ha esordito in tv nell’inverno del 1977 con Jane bleibt Jane. C’è anche Ingrid Caven in abito lungo, nero, con dei veli, poi c’è la madre di Fassbinder (nome d’arte: Lilo Pempeit) che si guarda intorno muta.

Armin spadella in cucina e questo fa ben sperare. Ed ecco che il padrone di casa (affitto: 2500 franchi francesi al mese) scende le scale con passo felpato. Tutti trattengono il respiro: cosa vorrà? Di che umore sarà? C’è qualcosa che l’ha disturbato? No, niente l’ha disturbato, grazie a dio, ecco che si accende un’altra sigaretta. L’atmosfera è apparentemente distesa, ma si percepisce il sottile terrore dovuto alla presenza di Fassbinder, tutte le antenne sono puntate verso di lui: è lui che semina il panico, lui che stabilisce l’umore generale, è lui che sceglie con chi parlare e con chi andare a letto.

Armin sistema rapidamente un ceppo nel camino, prima di ritirarsi con gli altri. Fassbinder si accoccola sul tappeto, la mano nei pantaloni, in posa da intervista: si parte! È molto più rilassato che a Monaco, ridacchia spesso, beve birra e fuma una sigaretta dopo l’altra. Ma l’aria è gelida, non c’è altro calore che quello del camino: anche nel privato Fassbinder coltiva l’artificiosità che ritroviamo nella maggior parte dei suoi film.

Non gli piace mostrare i propri sentimenti. Forse non ci riesce nemmeno. Quanto a punti deboli, dice di non averne. Cinque ore dopo Fassbinder, Bockmeyer, Armin e l’intervistatrice escono a pranzo.

In un pub che guarda caso non è molto frequentato dagli eterosessuali, in rue Castex, vicino alla Bastiglia, Fassbinder si rianima: ora è vestito in pelle, tiene la manina al regista Daniel Schmid, abbraccia Walter Bockmayer e alla fine schiocca addirittura un bacio sulla testa di Armin. In quel momento sembra l’emblema dell’equilibrio e della giustizia. Non appena tornano a Monaco però il maestro ci ripensa e dà il benservito al suo compagno Armin con un secco «Fuori dai piedi».

Fassbinder (a destra) con Hanna Schygulla e Ulli Lommel nel suo primo film L’amore è più freddo della morte, 1969. © ullstein bild

PLAYBOY Lei critica continuamente il provincialismo tedesco eppure non si trasferisce in America. Come mai?

FASSBINDER Non si possono trarre conclusioni dal fatto che io sono ancora qui. E comunque passo la maggior parte del mio tempo a Parigi. Trovo che la Germania stia diventando un paese di individui sempre più simili gli uni agli altri. Vale a dire, veri individualisti…

PLAYBOY Come lei…

FASSBINDER Questo lo dice lei… Voglio dire… Coloro che vedono la realtà in modo un po’ diverso devono pensarci due volte prima di esprimere la propria opinione e chiedersi se ne valga la pena. È così che ha inizio la castrazione della fantasia.

PLAYBOY Comincia ad avvertire anche lei la cosiddetta «isteria del simpatizzante»?[3]

FASSBINDER Sì, probabilmente la cosa si attenuerà un po’, ma rimane il fatto che da noi la critica non è gradita (il che è profondamente antidemocratico). È anche possibile che le cose peggiorino. Quello che è venuto alla luce dopo la faccenda Schleyer[4] è solo la punta dell’iceberg.

PLAYBOY Quale iceberg?

FASSBINDER Non mi piace usare la parola «fascismo», ma al momento non me ne viene in mente una migliore. Si punta il dito contro il fascismo violento e sanguinario del Terzo Reich («Guardate, il fascismo è questo!») e intanto pian piano si introduce nella quotidianità un fascismo più praticabile. Di questo si dovrebbe poter discutere, visto che a quanto pare viviamo in una democrazia. E questa è la sola cosa di cui valga la pena interessarsi.

PLAYBOY Che cosa la trattiene ancora nella Germania Federale?

FASSBINDER In primo luogo la lingua con la quale sono cresciuto e lavoro; poi l’educazione e l’infanzia, che naturalmente hanno lasciato un segno — sono queste le sole ragioni per cui non mi trovo già da tempo altrove.

PLAYBOY Ma lei tiene sempre a precisare di non aver ricevuto un’educazione.

FASSBINDER Non ho avuto una di quelle educazioni organizzate e assillanti, contro le quali da adolescenti ci si deve ribellare. Di conseguenza nessuno è mai più riuscito a integrarmi e a farmi fare quello che non volevo fare.

PLAYBOY Si dice che lei sia una persona autoritaria. È vero?

FASSBINDER In passato lo ero di più, perché non avevo molte alternative. Oggi posso permettermi di lavorare senza esercitare quell’autorità che normalmente viene riconosciuta a un regista. Per questo preferisco avere a che fare con dei veri professionisti. Un tempo, quando tentavo di lavorare in modo non gerarchico, nei momenti decisivi, il gruppo si cercava sempre un papà o una mamma. Se non avessi assunto io quel ruolo, il gruppo, i diversi gruppi con cui ho lavorato si sarebbero sciolti molto prima. I professionisti invece non pretendono che io assuma un ruolo paterno.

PLAYBOY E cosa pretendono?

FASSBINDER Che li accetti in quanto professionisti, che dia loro una motivazione, che riconosca il valore del loro ruolo all’interno della produzione. Se sono messi nelle condizioni di lavorare bene, senza costrizioni e paure, il clima generale non è condizionato dalla paura.

PLAYBOY Paura di che cosa?

FASSBINDER Del fallimento, di non trovare conferme professionali. Finché non si è imparato il mestiere si crede di dover sempre avere il controllo di tutto, poi non è più così. Un tecnico delle luci al quale si lascia campo libero può fare cose incredibilmente belle e importanti per una produzione. Basta osservare tutti quei professionisti che lavorano nella grande macchina della televisione: gli tarpano le ali, li costringono nei binari delle proprie funzioni. Se si rifiuta la creatività e si pretende soltanto la routine, finisce che molti cominciano a bere per poter reggere l’omologazione cui sono costretti. E secondo me, se non hai coraggio nella vita, non lo puoi avere nemmeno sul lavoro. Noi però purtroppo viviamo in un paese in cui la codardia è favorita.

PLAYBOY E politicamente come si schiererebbe in questo paese, se dovesse farlo?

FASSBINDER Qui non mi definirei «di sinistra». Se lo facessi dovrei poi chiedermi in quale dei tanti gruppuscoli vorrei identificarmi, con quale di quei gruppi vorrei tentare di fare qualcosa per la libertà. Sono consapevole di questa deprimente inconcludenza e credo che si dovrebbero trovare modalità diverse per combattere cose terribili come il Berufsverbot.[5] Tra un po’ non si potrà più nemmeno manifestare contro le centrali nucleari. Il fatto che questa situazione abbia preso piede a una velocità così folle, dimostra che da noi non c’è una sinistra che funziona, manca una vera opposizione.

PLAYBOY Nei confronti della destra, però, di solito non è così duro.

FASSBINDER (irritato) Ma si guardi i miei film, per favore! Non ho fatto un solo film che possa dirsi reazionario, e comunque quelli sanno cosa penso di loro.

Fassbinderr con Rosel Zech, protagonista del film Veronika Voss, 1982. © ullstein bild

PLAYBOY È vera la leggenda secondo cui lei scrive le sue sceneggiature in un bistrot di Parigi mentre beve, ascolta musica e gioca a flipper?

FASSBINDER Sì, è vera. Ma anche a Monaco tengo sempre la radio accesa, esco a farmi un giro, guardo la tv… Insomma mi serve un ambiente che mi dia modo di scappare. Quei terribili fogli bianchi hanno qualcosa di minaccioso, qualcosa di paralizzante nel momento in cui mi dico: adesso bisogna riempirli. Per me scrivere non è qualcosa di sacro che deve avvenire nel silenzio più assoluto. Trovo che la scrittura sia molto faticosa perché bisogna formulare ciò che nella testa è accaduto molto tempo prima.

PLAYBOY E come reagisce se le mettono i bastoni tra le ruote nella realizzazione di un progetto, come è accaduto per I rifiuti, la città e la morte, accusandola di antisemitismo?

FASSBINDER Quell’accusa proprio non l’ho capita. L’ho trovata indegna. Sono o non sono tra coloro che hanno fatto di più per il cinema tedesco all’estero? E poi le motivazioni! Quello degli ebrei è l’ultimo dei tabù, in Germania, e mantenerlo secondo me non significa proteggere gli ebrei, ma introdurre un’altra discriminazione. È logico che un tabù finisca col ribaltarsi nel suo opposto. Se non si può parlare di loro, vuol dire che prima o poi dovranno fare di nuovo da capro espiatorio. Non mi posso spiegare la cosa in altro modo.

PLAYBOY E gli altri tabù, omosessualità, prostituzione, travestitismo?

FASSBINDER Se se ne mostra il lato esotico, glamour, allora non ci sono tabù, ma quando li si cala nel vivo dei rapporti sociali è tutta un’altra cosa. È sempre così, per tutte le minoranze. Prima, quando facevo ancora dei film in cui i rappresentanti delle minoranze erano i buoni e gli altri i cattivi, la società li apprezzava molto. Ma da quando, molto più giustamente, ho deciso di mostrare le minoranze come realmente sono, così come la società le ha trasformate, con tutti i comportamenti sbagliati, ecco che i miei film non piacciono più. Il mio rapporto di empatia con le minoranze è problematico.

PLAYBOY Anche lei fa parte di una minoranza?

FASSBINDER Di più di una, sì.

PLAYBOY Quali?

FASSBINDER Mah, della minoranza di coloro che si possono permettere di andare via da questo paese. E poi, pur con la concreta utopia dell’anarchia in testa, rimango un sostenitore estremo della democrazia, e anche in questo senso appartengo a una minoranza. Questa cosa dell’anarchia oggi non la si può quasi più dire, perché dai media abbiamo imparato che anarchia è sinonimo di terrorismo. Da una parte infatti c’è l’utopia di uno stato senza gerarchie, senza paure né aggressioni, e dall’altra una situazione sociale concreta in cui le utopie vengono soffocate. Se è potuto nascere il terrorismo nel nostro paese è perché l’utopia veniva soffocata già da troppo tempo. Qualcuno ha dato fuori di matto, è comprensibile. E forse, in ultima analisi, è proprio quello che voleva, magari addirittura inconsciamente, una determinata classe dirigente, per poter definire in modo più concreto la propria identità.

PLAYBOY A discapito delle minoranze?

FASSBINDER Non ce ne saranno più di minoranze, e non perché vengono uccise ma perché si saranno integrate. A un certo punto le persone avranno tutte lo stesso aspetto, si vestiranno allo stesso modo, abiteranno negli stessi appartamenti. Questo sembra essere l’obiettivo finale, e non mi sembra una cosa particolarmente utopica.

PLAYBOY Come passa il tempo quando non lavora? Cosa le viene voglia di fare?

FASSBINDER Mah (pausa), non saprei. Mi piace andarmene in giro. Niente di avventuroso, come fanno i più giovani. Nooo. Mi piace andare in paesi e città dove ci sono altre civiltà e dove non mi sto a preoccupare delle ingiustizie sociali. Così, tanto per fare. Lo definirei addirittura turistico, come approccio.

PLAYBOY E viaggia da solo?

FASSBINDER Cerco di imparare sempre di più a stare solo.

PLAYBOY È vero quello che si legge di lei, che sia un «nemico delle donne»?

FASSBINDER Trovo che sia idiota dover continuamente ripetere «non sono un nemico delle donne», «non sono un antisemita». L’origine della mia fama di misogino me la spiego così: prendo le donne sul serio, più di quanto non facciano gli altri registi. Per me le donne non esistono soltanto per mettere in funzione gli uomini. Non sono degli oggetti. Questo è un atteggiamento del cinema che io disprezzo. E mostro proprio come le donne, più degli uomini, siano costrette a far ricorso a mezzi talvolta disgustosi per sottrarsi al ruolo di oggetti.

PLAYBOY E lei, personalmente, come si pone nei confronti di questo problema?

FASSBINDER Nei confronti degli uomini e delle donne mi comporto in modo simile. Quando dai bisogni nascono degli obblighi, quando ciò che prima ci divertiva si trasforma in una pretesa reciproca, reagisco subito in modo aggressivo e negativo. Con Ingrid, la donna con la quale sono stato sposato, continuo ad avere l’intesa più profonda, il rapporto più importante della mia vita.

PLAYBOY È stato anche piuttosto geloso in passato…

FASSBINDER Lo sono ancora.

PLAYBOY Ma al momento ce l’ha una relazione, diciamo così, felice con qualcuno?

FASSBINDER No, non ce l’ho. Vivo con Armin da tre anni e mezzo ed è un rapporto particolarmente difficile. Poi, come le dicevo, c’è la relazione con Ingrid, importantissima, che da quando siamo separati è tornata quella di una volta. Il fatto che qualcuno ci sia, semplicemente, che sia lì per te, capisce? Una cosa di cui non bisogna per forza servirsi sempre, di cui non ci si serve per abitudine. E poi ho un rapporto molto complicato con mia madre. Quando ho cominciato a capire che lei era mia madre, era malata. Questo da un lato ha generato compassione da parte mia, dall’altro un senso di colpa, perché io, nel mio egocentrismo, credevo si fosse ammalata per colpa mia, cosa che a sua volta scatenava la mia aggressività. Solo così mi sembrava di poter sopravvivere con il mio senso di colpa, per quanto fosse ridicolo e immaginario. Sicuramente mia madre e io non ci libereremo mai di queste complicazioni, ora però siamo in grado di costruire ciò che in passato non avremmo mai creduto possibile: un’amicizia.

PLAYBOY … E tutte queste relazioni lei le «sfrutta» — è questa la parola che usa. Riesce ancora a vivere in modo spontaneo?

FASSBINDER Mah (fa una smorfia). A essere sinceri no. D’altra parte credo che attraverso situazioni estreme di disperazione e di dolore, dovute anche allo sfruttamento reciproco, si possa raggiungere una nuova spontaneità. Mi sembra più facile ottenere una nuova ingenuità del sentire in questo modo, che non attraverso la rimozione.

PLAYBOY Sembrano le parole di un uomo distrutto, negativo, un ambito positivo secondo lei non esiste?

FASSBINDER No, secondo me no (pausa). Trovo che il tessuto sociale in cui vivo non sia contraddistinto da felicità e libertà, ma piuttosto dall’oppressione, dalla paura e dal senso di colpa. Quella che chiamano felicità chiedendoci di viverla come tale secondo me è un alibi, l’alibi che una società caratterizzata dalle costrizioni e dall’aggressività offre al singolo individuo. E questo alibi a me non interessa.

PLAYBOY Da dove prende allora la forza per continuare a lavorare?

FASSBINDER Dall’utopia, da uno slancio utopico anche molto concreto. Se mi dovessero togliere questa aspirazione, non farei più niente; perciò ho l’impressione che in Germania mi si stia uccidendo in quanto persona creativa, ma la prego non prenda questa mia affermazione come una paranoia. La caccia alle streghe che si è verificata da noi negli ultimi tempi e di cui parlavo poco fa, dicendo che era solo la punta dell’iceberg, è stata messa in scena a mio avviso solo per distruggere le utopie dei singoli. Per questo le mie paure e i miei sensi di colpa crescono a dismisura. Quando arriverò al punto che le mie paure saranno più grandi della mia aspirazione a qualcosa di bello, allora (pausa)… allora la farò finita e non solo con il lavoro.

PLAYBOY Con la vita?

FASSBINDER Sì, certo. Non c’è ragione di esistere se manca un obiettivo.

PLAYBOY Riesce a immaginare di innamorarsi follemente, trasferirsi da qualche parte e non lavorare più?

FASSBINDER È strano, ogni volta che mi sono innamorato follemente di qualcuno, ho finito per buttarmi a capofitto nel lavoro. E volevo sempre lavorare con la persona di cui mi innamoravo, perché lavoro e amore per me sono una cosa sola. Innamorarmi di qualcuno e ritirarmi su un’isola deserta? Per ora, almeno, non riesco proprio a immaginarlo.

PLAYBOY Come si trova a Parigi rispetto a Monaco?

FASSBINDER Meglio, perché a Parigi ci sono molte più occasioni di godersi la vita, ma c’è anche la libertà di non farlo. Lì non devo riempirmi la testa di cose che farei volentieri e che non posso fare, come a Monaco.

PLAYBOY Quali?

FASSBINDER Culturali, private, sessuali, qualunque cosa.

PLAYBOY Potrebbe pensare di vivere in campagna?

FASSBINDER No.

PLAYBOY Che tipo di rapporto ha lei, sempre che ce l’abbia, con la natura?

FASSBINDER Trovo che la natura non sia molto più umana degli esseri umani.

PLAYBOY Altrettanto crudele?

FASSBINDER Sì.

PLAYBOY Quand’è che le capita di essere allegro?

FASSBINDER Sempre, adesso per esempio sono molto allegro.

PLAYBOY Ah, ecco. A vederla non si direbbe.

FASSBINDER Non c’è bisogno che si noti. Un’allegria che si manifesti in maniera palese, nei modi consueti, il più delle volte non è allegria. Io sono allegro in un modo particolare, e lo sono per me. Non sono però in grado di darlo a vedere.

PLAYBOY E non vuole nemmeno farlo.

FASSBINDER Forse non riesco perché non voglio (ride). Quando mi capita di essere così allegro da farlo trasparire, la gente è stupefatta e dice «probabilmente è fuori» o altre cose del genere. Ormai nella mia vita voglio recitare solo il minimo indispensabile.

PLAYBOY Perché?

FASSBINDER Farlo comporta uno sforzo che finirebbe col distruggere la mia emotività.

PLAYBOY L’emotività degli altri invece le è indifferente?

FASSBINDER No. Sento la gioia degli altri proprio come sento la mia. Non c’è bisogno che me la comunichino.

PLAYBOY Non le hanno mai detto che la sua presenza per gli altri non è proprio un incentivo ad aprirsi perché attorno a lei aleggia sempre una certa artificiosità?

FASSBINDER Direi piuttosto il contrario. Le persone con cui ho rapporti di lunga data apprezzano che si possa stare semplicemente insieme. Quando però qualcuno, mentre mangia, crede di dover dire continuamente «Ah, che meraviglia questa carne», oppure «Questo sughetto ha un sapore eccellente», allora ho l’impressione che costui, per qualche misteriosa ragione, stia cercando di convincersi. Oppure si fa una passeggiata e l’altro dice di continuo che è così bello passeggiare con me guardando il tramonto, a quel punto mi viene da pensare no, grazie, fermiamoci qui. Perché se uno ha sempre bisogno di dire quello che prova, significa che sta cercando di convincersene.

PLAYBOY Così lei si costringerebbe a non dire nulla anche in situazioni straordinarie?

FASSBINDER No, non costringerei né me né altri. Bisognerebbe saper capire se il sentimento è davvero così forte da doverlo esprimere a tutti i costi. In questi casi capita spesso, però, di sentire espressioni di livello bassissimo, molto al di sotto di quel che direbbe un poeta, per esempio. La lingua è un «mezzo di trasporto fondamentale» ma non è sempre l’unico. In particolare sono molto critico quando si parla dei sentimenti.

PLAYBOY Ma lei lo dice «ti amo», se è il caso di dirlo?

FASSBINDER (orgoglioso e imbarazzato) Questo sì, sono in grado di farlo. Arriva un momento in cui non si può fare a meno di dirlo. Pensi che ormai non aggiungo nemmeno più quanto lo trovi stupido. All’inizio era così, dicevo «ti amo» e poi subito facevo dell’ironia. Nel frattempo ho imparato, e quando è il momento (ride) mi limito a dirlo. Questo non significa però che io non mi osservi mentre lo faccio. Ma il dover ogni volta capire come potrai «sfruttare» la relazione, è un altro problema.

PLAYBOY Ma poi lei le utilizza anche, queste scene d’amore!

FASSBINDER (sospira) È vero, sì, da un lato utilizzo ciò che ho vissuto, dall’altro lascio anche molta più libertà ai personaggi che non a me stesso. Per esempio, capita che dia ai personaggi dei miei film la possibilità di esprimere direttamente un sentimento molto prima di quanto farei io nella vita.

PLAYBOY Allora attraverso i suoi personaggi…

FASSBINDER Con i miei personaggi…

PLAYBOY … attraverso e con i suoi personaggi, insomma, lei è cambiato?

FASSBINDER Sì. Se si guardano i miei primi dieci film uno dietro l’altro si nota che quei personaggi avevano davvero la possibilità di reagire in modo molto diretto alle situazioni. In fondo sono molto silenziosi, no? E d’improvviso (ride)… Nei primi dieci film si sente almeno una cinquantina di volte l’espressione «pazzesco!», perché uno giudica una situazione così forte, così complessa, che non può dire altro. E quel «pazzesco» può essere tutto: terribile o meraviglioso. È una cosa che io all’epoca non mi sarei permesso di esplicitare. Oggi invece me lo permetterei.

PLAYBOY Qual è il suo rapporto con la sessualità?

FASSBINDER Hm, hm, hm (sospira)… La domanda è troppo generica.

PLAYBOY Nei suoi film, comunque, la sessualità gioca sempre un ruolo importante. Potrebbe diventare uno scrittore-eremita e rintanarsi in una baita sperduta?

FASSBINDER No, non potrei. Quando faccio un film per me il lavoro è un atto sessuale ed è molto più appagante di quello con un altro essere umano. Non vivo come un eremita nella foresta, ma i contatti sessuali più appaganti ce li ho con il mio lavoro.

PLAYBOY Nella sua vita amore e lavoro si completano o si contraddicono?

FASSBINDER Per me le cose non sono così schematiche, un giorno si vive e un altro si scrive. Magari vivo per un paio di settimane con una cosa che si concretizza nella testa e poi per un paio di giorni o un paio di settimane — dipende — c’è solo lavoro, e allora è proprio un rapporto sessuale con il processo lavorativo, mi eccita. Non a caso nella mia vita ci sono state persone più gelose di un blocco di fogli, di una macchina da scrivere, di un registratore o una cinepresa, che di un altro essere umano.

PLAYBOY Lei riesce ad abbandonarsi a un’altra persona?

FASSBINDER Ho avuto una volta una relazione in cui sono arrivato molto vicino a lasciarmi andare completamente. È successo una volta. Non mi succederà mai più.

PLAYBOY Sicuro?

FASSBINDER Sicurissimo.

PLAYBOY Una forma di autoprotezione?

FASSBINDER Sì, dopo quella volta ho imparato a non permettere mai più che una relazione arrivi fino a quel punto.

PLAYBOY E una relazione paritaria tra due persone altrettanto forti?

FASSBINDER Sarebbe auspicabile, naturalmente. Nella realtà (soffia), sì, si può solo sperare (ride), diciamo così.

PLAYBOY Allora in teoria lei potrebbe anche vivere da solo.

FASSBINDER Mi sta chiedendo perché non rinuncio alle mie relazioni? Ne avrò comunque bisogno, per un motivo o per l’altro (pausa). Purtroppo.

PLAYBOY Purtroppo?

FASSBINDER Sì, direi purtroppo. Ora come ora sarei molto contento di poter vivere senza relazioni fisse. Probabilmente sarei più felice. Se riuscirò mai a raggiungere questo obiettivo, è un’altra questione.

PLAYBOY Cos’altro fa lei oltre a lavorare, amare, fumare e bere?

FASSBINDER Niente. Quello che faccio mi diverte, anche gli obblighi che ogni tanto mi impongo, scadenze da rispettare e così via, tutto questo non è per me fonte di stress.

”Il cineasta Fassbinder” sulla copertina del settimanale Der Spiegel, ottobre 1980, in occasione dell’uscita delle serie televisiva Berlin Alexanderplatz.

PLAYBOY A quale pubblico pensa per esempio con Berlin Alexanderplatz?

FASSBINDER A tutte le persone che si trovano nelle condizioni psichiche in cui mi sono trovato io quando ho letto il libro per la prima volta. Credo che ce ne siano parecchie in giro: due o venti milioni, non saprei.

PLAYBOY In cosa si differenziano la versione cinematografica e quella televisiva di Berlin Alexanderplatz, lunghezza a parte?

FASSBINDER Sono due modi radicalmente diversi di raccontare, epico per la versione televisiva, e concentrato per il film. Per me è stato molto importante, scrivere prima di tutto le 2500 pagine di copione per la televisione.

PLAYBOY Che cos’è che la affascinava tanto nel romanzo di Döblin? La figura di Franz Biberkopf?

FASSBINDER In molti miei film ci sono citazioni da questo romanzo di Döblin. Non è tanto la figura di Franz Biberkopf in sé, quanto le circostanze in cui si trova, il modo in cui le persone si rovinano la vita. Quando vanno in pezzi perché non osano più confessare i propri desideri e i propri bisogni essenziali, e per via delle storpiature che la loro anima subisce non sono più capaci di vivere la cosiddetta vita normale. Quel romanzo, che ne fossi consapevole o no, mi ha davvero aiutato a liberarmi di parecchie cose. Per questo sento la necessità di raccontarlo ad altri, di tradurlo in altri linguaggi così che allo spettatore possa accadere almeno in parte ciò che è successo a me leggendo il libro.

PLAYBOY Cosa succede secondo lei dopo che ci si è liberati dalle costrizioni?

FASSBINDER Non ho soluzioni, non sono un filosofo in grado di offrire allo spettatore un sistema di pensiero al quale attenersi. Non sono nemmeno un politico che propone un programma, al quale io peraltro non potrei credere. Penso che se il singolo individuo riesce a liberarsi dalle costrizioni, dovrà poi essere lui a decidere cosa farsene della sua libertà.

PLAYBOY Che funzione ha quella lingua artificiale che c’è già nei suoi primi film e nelle opere teatrali — una lingua che non si parla da nessuna parte?

FASSBINDER Non mi piace quando quello che si vede o si sente in un film sembra l’imitazione della realtà. Trovo orribile ogni volta che in un film qualcuno parla come nella vita reale. Questo toglie forza al pensiero, elimina l’inquietudine diffusa. Come posso dire? Sminuisce tutto. E l’artificiosità, secondo me, è l’unico modo per consentire a un pubblico allargato di entrare nel cosmo tutto particolare costituito da un’opera letteraria.

PLAYBOY Lei ha lavorato con altri registi al film Germania in autunno. Qual è stato l’aspetto che ha privilegiato nel filmare la situazione politica nella Germania Federale dopo il caso Schleyer?

FASSBINDER Niente di ciò che ho fatto finora, nessuno dei miei film è mai stato una reazione concreta a un evento politico, perché ho sempre pensato che per quello ci fosse la televisione. Ma in questo caso avevamo i mezzi per produrre un film e ci siamo ripromessi di dire quello che gli altri media non dicevano più. Io stesso ho insistito molto sul fatto che ognuno di noi dovesse raccontare in modo molto personale la propria reazione psicologica a questo tempo.

PLAYBOY Come si definirebbe lei, se dovesse farlo? Quali sono le sue fragilità?

FASSBINDER (pausa) È difficile rispondere a questa domanda. Per come vedo io le cose e per come vivo, non ho fragilità. Ho fatto in modo di non averne, ma questo non significa che oggettivamente non ne abbia, significa solo che dal punto di vista soggettivo vivo la mia vita con la massima intensità. So che è un privilegio. Forse la mia fragilità sta proprio nel vivere in questo modo. Ma alla sua domanda risponderei così: non ho punti deboli fintanto che continuo a lavorare sulle cose che trovo sbagliate. Le fragilità sono tali quando si consolidano e diventano qualcosa di definitivo.

PLAYBOY Quindi il suo partner ideale se lo immagina così, senza fragilità?

FASSBINDER Sì, per me sarebbe l’ideale.

PLAYBOY Sì?

FASSBINDER Hm.

PLAYBOY E una persona così non c’è mai stata nella sua vita?

FASSBINDER Nooo, è difficile.

PLAYBOY Allora le persone con le quali è stato finora erano il suo opposto?

FASSBINDER Finora nella vita mi sono sempre cercato delle persone, intendo quelle con cui ho convissuto a lungo, che non comportassero delle sfide intellettuali. Piuttosto delle sfide concrete, psicologiche. Forse è un mio punto debole. Ma d’altra parte in questo modo ho fatto tante esperienze importanti che, se ci fosse stato un confronto solo intellettuale, non avrei potuto fare. Il mio desiderio naturalmente sarebbe quello di legarmi a una persona con la quale sia possibile tutto. Un rapporto in cui sesso, eros, amore, consapevolezza, tutto sia presente in uno scambio continuo. Trovare tutto questo in una sola persona sarebbe bello, solo che non ci credo più.

PLAYBOY Negli ultimi dieci anni ha cambiato radicalmente i temi, il tono generale, dei suoi film…

FASSBINDER No, il tono generale, se lo vogliamo chiamare così, non è cambiato. Il tema è rimasto, e rimarrà, sempre lo stesso: l’uso, lo sfruttamento dei sentimenti all’interno del sistema in cui viviamo, e in cui certamente dovranno vivere anche le generazioni dopo di noi. Quello che è cambiato sono gli aspetti tecnici del mestiere, la forma, in cui ogni volta cerco di superarmi, di andare oltre quello che già so. Al contrario di altri artisti ho rinunciato alla concezione puristica dell’arte che avevo un tempo, l’idea che l’arte debba essere molto diretta e molto semplice. Per me questo aspetto ha sempre avuto a che fare con il livello delle mie capacità tecniche. Sarebbe stato un errore rimanere fermo su queste teorie sviluppate allora. Per altri può essere stata la cosa giusta.

PLAYBOY Nei suoi film spesso interviene la morte. Lei stesso ha raccontato che nella sua vita ci sono stati momenti in cui ha accarezzato l’idea del suicidio. Qual è ora la sua posizione in merito?

FASSBINDER (farfuglia qualcosa) Trovo che la morte sia la questione centrale della vita, per così dire. Solo nel momento in cui la morte viene accettata come elemento fondamentale dell’esistenza, si può davvero disporre della vita. Fintanto che la morte è un tabù, lo è anche la vita, che perde di interesse. In una società basata sullo sfruttamento dell’essere umano la morte deve essere tabuizzata.

PLAYBOY Detto più concretamente?

FASSBINDER Nella mia vita ci sono stati due momenti importanti. Quando mi sono reso conto razionalmente che l’uomo è mortale. E questo non è stato un problema, la cosa aveva ben poco a che fare con me. E quando invece il mio corpo ha capito improvvisamente di essere mortale. Questo è a tutt’oggi il momento più importante della mia vita. Da allora la vita per me è (molto triste) molto più divertente. Anche se (ride), come lei ha già più volte sottolineato, non sempre si direbbe. È stato quando ho avuto quei dolori al cuore. A un certo punto non riuscivo più a respirare e mi sono detto, va bene, adesso inghiotti quelle pillole, le prendi tutte. E solo dopo che il medico mi ha visitato e ha detto che da un punto di vista organico era tutto a posto, la paura se n’è andata. Nel giro di tre giorni. Il corpo è davvero una cosa mostruosa.

PLAYBOY Perché?

FASSBINDER Questa differenza tra il corpo, al quale in fondo siamo soggetti, e lo spirito che è immortale è proprio una discrepanza terribile. Uno spirito che dal punto di vista esistenziale può vagare liberamente nell’aria, e un corpo con gli intestini e tutto il resto, bleah…

PLAYBOY A quanto pare lei non ha un rapporto troppo amorevole con il suo corpo.

FASSBINDER (ride) Si sbaglia di grosso. Ho un rapporto molto amorevole con le possibilità di divertimento del mio corpo, il piacere, e tutto ciò che il corpo è in grado di produrre. Questo sì. Però (balbetta) il corpo non smette mai di essere disgustoso nel sottrarsi ai bisogni dello spirito. Lo spirito è lì, e se fosse in un altro corpo sarebbe diverso. Naturalmente lo spirito deve avere la padronanza di quel corpo specifico con il quale fa le sue esperienze. Questo non significa odiare il corpo e amare lo spirito, assolutamente no. Posso avere delle idee meravigliose in mente, meravigliose, le più belle del mondo. E poi di colpo zac — che ingiustizia (ride)!

PLAYBOY Le è mai capitato di voler essere un’altra persona o è contento così com’è?

FASSBINDER No, no. Ecco, tra i quindici e i vent’anni avevo un’acne fortissima. Credo che quello sia stato l’unico momento della mia vita in cui ho desiderato essere qualcun altro. Altrimenti mai. Sono fin troppo soddisfatto di me. Davvero, sono identico a me stesso al limite dell’idiozia.

Fassbinder con Con Brad Davis e Andy Warhol durante la lavorazione di Querelle, marzo 1982. © Chr. Makos

Note

[1] In un primo momento il regista aveva pensato di girare, contemporaneamente alla lavorazione del serial tv, anche un film per il cinema con un cast internazionale.

[2] Hans Moser (pseudonimo di Johann Julier), Vienna 1880–1964, è stato un cabarettista e attore austriaco molto popolare.

[3] Negli anni settanta, in Germania, chiunque tentasse di conservare il senso delle proporzioni malgrado la crescente isteria (tra gli altri Heinrich Böll) veniva considerato un simpatizzante del gruppo Baader-Meinhof.

[4] L’imprenditore tedesco Hans Martin Schleyer fu rapito dalla Raf e ucciso il 18 ottobre 1977.

[5] Il Berufsverbot è una limitazione del diritto al lavoro (che in Germania non è sancito dalla Costituzione). Nel 1972 fu utilizzato per allontanare dalle professioni impiegatizie statali i comunisti dichiarati.

Da: Trinborn, Jürgen. Un giorno è un anno è una vita. Rainer Werner Fassbinder, Il Saggiatore, Milano, 2014, Edizione del Kindle.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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