Profili dei filosofi moderni

di Emanuele Severino

Mario Mancini
27 min readJun 19, 2022

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Rinascimento Umanesimo

I due concetti vengono usati per indicare il rinnovamento culturale che interessò dapprima l’Italia, poi pressoché per intero l’Europa occidentale, nel XV e nel XVI secolo. Pur non essendo nettamente distinguibili l’uno dall’altro, Umanesimo e Rinascimento possono essere intesi come indicatori di due periodi successivi: Umanesimo designa la fase iniziale del rinnovamento di cui si diceva poc’anzi, una fase caratterizzata da un interesse predominante per la cultura classica e dall’attribuzione di un grandissimo valore alle humanae litterae; Rinascimento indica una seconda fase del fenomeno, nella quale alla riscoperta della classicità si aggiunse un intenso sviluppo artistico e intellettuale. A sottolineare la differenza specifica tra Umanesimo e Rinascimento fu, nel secolo scorso, soprattutto Jacob Burckhardt (1818–1897), ne La civiltà del Rinascimento in Italia (1860), che resta una delle opere storiografiche fondamentali sul periodo in questione; nel nostro secolo, per contro, la tendenza storiografica predominante è stata quella di un riavvicinamento dei due concetti, che vengono visti appunto l’uno come la fase preparatoria dell’altro (è la tesi, tra gli altri, di K. Burdach). Per quanto concerne le valenze specificamente filosofiche dell’Umanesimo e del Rinascimento, meritano di essere ricordate (oltre a quella — sostenuta in questo volume — che vede la filosofia rinascimentale come una ripresa del pensiero greco, come una costruzione edificata su una base concettuale tipicamente greca) le tesi di P.O. Kristeller (per il quale il significato filosofico dell’Umanesimo è assolutamente irrilevante o del tutto inesistente, mentre l’autentica filosofia del periodo sarebbe rappresentata dallo sviluppo, parallelo a quello dell’Umanesimo, dell’aristotelismo) e di Eugenio Garin (per il quale, tutt’all’opposto, l’Umanesimo possiede un significato filosofico specifico, anche se esso non è riconducibile ad una concezione della filosofia come sapere sistematico, come costruzione concettuale tendenzialmente onnicomprensiva).

Bernardino Telesio

Nacque a Cosenza e studiò a Padova filosofia e scienze naturali. La sua opera principale è De rerum natura iuxta propria principia (i primi due libri uscirono nel 1565; l’edizione definitiva, in nove libri, solo nel 1586).

Giordano Bruno

Entrò molto giovane a far parte dell’ordine domenicano, dal quale uscì nel 1576, sospettato di eresia. Fuggito dall’Italia, visse in Inghilterra, in Francia, in Germania, rientrando in patria solo nel 1591, su invito del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo. Fu proprio quest’ultimo, tuttavia, a denunciarlo al tribunale dell’Inquisizione di Venezia: fu trasferito a Roma, dove fu rinchiuso in carcere e processato. Rifiutatosi di ritrattare le proprie tesi, fu condannato come eretico e bruciato vivo, il 17 febbraio 1600, in Campo dei Fiori. Tra i suoi scritti, numerosissimi, ricordiamo i Dialoghi italiani (La cena de le ceneri, De la causa, principio et uno, De l’infinito, universo et mondi, Spaccio de la bestia trionfante, Cabala del cavallo pegaseo, De gli Eroici furori) e i Poemetti latini (De minimo, De monade, De immenso et innumerabilibus, Summa terminorum metaphysicorum).

Niccolò Krebs (Cusano)

Nacque a Cusa (donde l’appellativo di Cusano), presso Treviri. Oltre che in Germania studiò a Padova (dal 1418 al 1423). Divenne dapprima sacerdote (1426), poi cardinale (1448) e vescovo di Bressanone (1450). Nel 1432 partecipò al Concilio di Basilea; fu poi incaricato di recarsi in Grecia, dove ebbe modo di familiarizzarsi e con la lingua e con i classici (in particolare Platone). Tra i suoi scritti: La dotta ignoranza (1438–40), l’Idiota (1450), La visione di Dio (1453), il De possest (1460), La caccia della sapienza (1463), L’apice della teoria (1464).

Tommaso Campanella

Frate domenicano si segnalò assai presto per un temperamento scarsamente incline alla disciplina dell’Ordine e per gli interessi verso le arti magiche e astrologiche. Fu diverse volte accusato di eresia, imprigionato, torturato. Nel 1599, in particolare, fu arrestato e processato per aver ordito una congiura antispagnola che avrebbe dovuto condurre all’attuazione di quella repubblica teocratica che costituiva il suo ideale pratico- politico. Campanella riuscì a sfuggire alla condanna a morte soltanto fingendosi pazzo e perseverando nella finzione anche sotto tortura. Fu condannato al carcere a vita, e durante la prigionia (che durò sino al 1626, quando il re di Spagna lo fece liberare) ebbe modo di continuare a scrivere (fu proprio in carcere che egli compose quasi tutte le sue opere). Dopo la liberazione fu a Roma, sotto la protezione del pontefice Urbano VIII. Da Roma fuggì nel 1634, perché sospettato di una nuova congiura antispagnola, e si rifugiò a Parigi, sotto la protezione del re Luigi XIII e del cardinale Richelieu, dove rimase sino alla morte. Tra i suoi numerosissimi scritti: La città del sole (1602), Del senso delle cose e della magia (1604), la Filosofia razionale (1606–1614), l’Apologia pro Galilaeo (1616), la Filosofia reale (1619), la Metafisica (1623), la Teologia (1624).

Galileo Galilei

Nacque a Pisa il 15 febbraio del 1564. Studiò medicina all’Università della città natale, abbandonando gli studi dopo qualche anno per trasferirsi a Firenze, dove studiò e insegnò privatamente matematica. Matematica insegnò pure presso l’Università di Pisa e presso quella di Padova. A Padova Galileo svolse numerose ricerche scientifiche e installò, presso il proprio studio, un laboratorio tecnico. Nel 1609, venuto a conoscenza dell’esistenza di uno strumento, costruito da artigiani olandesi, che permetteva di vedere oggetti lontani dall’osservatore, costruì nel suo laboratorio un telescopio migliore di quelli allora in circolazione, che gli consentì di ottenere la conferma a vita della cattedra universitaria. L’uso rivoluzionario che del telescopio fece Galileo gli permise inoltre di minare alla radice — per mezzo di ripetute osservazioni, delle quali sono testimonianza le pagine del Sidereus nuncius (il Nunzio sidereo, uno scritto pubblicato nel 1610) — alcuni cardini dell’astronomia aristotelico-tolemaica (sfericità perfetta ed eterogeneità qualitativa dei corpi celesti rispetto a quelli terrestri, unicità del centro dei moti dei corpi celesti stessi), e di respingere alcune obbiezioni che da più parti erano state mosse alla teoria copernicana: un doppio risultato che suscitò la preoccupata reazione della Chiesa che, per mano del cardinale Bellarmino, fece proclamare falsa, nel 1616, la tesi del moto della Terra e della centralità immobile del sole. Bellarmino, inoltre, si preoccupò di farsi garantire da Galileo che mai più avrebbe sostenuto, verbalmente o per iscritto, la teoria copernicana. Galileo promise ma non mantenne: nel 1632 uscì infatti il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Tolemaico e Copernicano, un’opera nella quale Galileo sosteneva (mascherandola appena dietro l’apparenza di un dialogo nel quale la teoria copernicana veniva confrontata paritariamente con quella aristotelico-tolemaica) la nuova teoria copernicana. La Chiesa non cadde però nel tranello e, convocato Galileo a Roma perché rendesse conto del suo operato, lo costrinse all’abiura delle proprie idee. Ritornato ai suoi studi Galileo pubblicò, nel 1638, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze. Morì quattro anni dopo ad Arcetri, presso Firenze.

Leonardo da Vinci

Fu una delle personalità più geniali del Rinascimento: scienziato, artista, filosofo, non diede mai forma sistematica ai suoi scritti, lasciando una massa enorme di appunti, che cominciarono ad essere pubblicati solo a partire dalla fine del secolo scorso.

Francesco Bacone

Nacque a Londra il 22 gennaio del 1561 e morì, ancora a Londra, il 9 aprile del 1626. Figlio del Lord Cancelliere di Elisabetta I, Bacone venne presto avviato alla carriera diplomatica e partecipò attivamente alla vita politica del suo tempo, della quale percorse le tappe più importanti, giungendo, nel 1618, alla carica di Lord Cancelliere ed entrando a far parte del consiglio privato del re d’Inghilterra. Accusato di corruzione, Bacone confessò la sua colpa, scontò un breve periodo di detenzione, e si ritirò a vita privata, interessandosi solo più ai suoi studi filosofico-scientifici.

Niccolò Machiavelli

Fu uno dei massimi pensatori politici del Rinascimento. Nella sua opera fondamentale, Il Principe (1513), Machiavelli delineò i caratteri della figura del capo di Stato con crudo realismo, dando in qualche modo inizio alla scienza politica come disciplina autonoma.
Delle Opere complete di Niccolò Machiavelli esiste un’edizione in 8 voll., a cura di S. Bertelli e F. Gaeta, con introduzione generale di G. Procacci (Feltrinelli, Milano 1960–65).

Cartesio

È il filosofo stesso a narrarci, nelle pagine del Discorso sul metodo, alcune vicende della propria vita. Il filosofo francese (il nome Cartesio è l’italianizzazione di René Descartes) si sofferma in particolare sull’educazione ricevuta in «una delle più celebri scuole d’Europa», nella quale pensava «dovessero trovarsi uomini dotti, se mai ce n’erano in qualche luogo della terra» (Discorso sul metodo, parte prima). Un’educazione completa, che lasciò tuttavia in Cartesio una insoddisfazione di fondo: «mi trovai — scrive — imbarazzato da tanti dubbi e da tanti errori che dai miei studi mi sembrava aver tratto un solo profitto, quello di aver scoperto sempre di più la mia ignoranza» (ibidem). Deluso, Cartesio iniziò un periodo di viaggi in Europa: «appena l’età mi permise di uscire dalla tutela dei miei Precettori, abbandonai interamente lo studio delle lettere, deciso a ricercare solo quel sapere che poteva trovarsi in me stesso o nel grande libro del mondo, impiegai il resto della mia giovinezza a viaggiare, a visitare corti ed eserciti, a frequentare gente di varia indole e condizione, a raccogliere esperienze diverse, a metter me stesso alla prova nei casi che la fortuna mi offriva e, in ogni circostanza, a riflettere su quanto mi accadeva, in modo da trarne profitto» (ibidem). Nel 1618 Cartesio si arruolò nell’esercito del principe protestante Maurizio di Nassau, che prendeva parte alla Guerra dei Trent’anni; dopo circa quindici mesi abbandonò il principe Maurizio e si arruolò negli eserciti cattolici di Massimiliano di Baviera; nel novembre del 1619 fu in Germania, insieme alle truppe del duca di Baviera, e assistette, a Francoforte, all’incoronazione dell’imperatore Ferdinando II. Nello stesso mese di novembre, trovandosi — come egli stesso scrisse — bloccato dall’inverno «in un quartiere dove, non trovando nessuna conversazione che mi distraesse e, per fortuna, non essendo turbato da preoccupazioni o da passioni, rimanevo tutto il giorno, chiuso e solo, in una stanza riscaldata dove avevo tutto l’agio di intrattenermi con i miei pensieri» (Discorso sul metodo, parte seconda), Cartesio visse una notte di entusiasmo, che lo convinse di essere stato oggetto di una sorta di “chiamata” soprannaturale: «ebbe — come scrive il Baillet nella sua Vita di Cartesio (1691), citando alcuni manoscritti cartesiani poi perduti — tre sogni di seguito in una sola notte, che immaginò non potessero esser venuti che dall’alto» (Cartesio, Opere filosofiche, tr. it., Laterza, Roma-Bari 1986, vol. I, p. 4); sogni che Cartesio interpretò come se fosse «lo Spirito di Verità che aveva voluto aprirgli […] i tesori di tutte le scienze», come «il segnale dello Spirito della Verità che scendeva su di lui per possederlo» (ivi, p. 7). Abbandonata la vita militare, Cartesio decise di dedicarsi esclusivamente ai propri studi filosofico-scientifici. Nel 1629 si recò in Olanda, dove rimase sino a che la regina Cristina lo invitò a trasferirsi in Svezia, nel 1649. Morì a Stoccolma l’anno successivo.

Arnold Geulincx

È uno dei due maggiori esponenti dell’occasionalismo — nacque ad Anversa nel 1624 e morì a Leida nel 1669. Insegnò filosofia dapprima a Lovanio (1646–1658), poi a Leida, dal 1662 alla morte (dall’Università di Lovanio era stato allontanato a causa della sua adesione alla filosofia cartesiana). A Leida Geulincx pubblicò le sue opere maggiori: la Logica (1662), la prima parte dell’Etica (1665; l’edizione completa dell’opera uscì postuma dieci anni più tardi), la Physica vera (1688), la Metaphysica vera (1691), oltre al completamento delle Questiones quodlibeticae (1665; la prima parte dell’opera era già stata pubblicata nel 1653, durante il periodo dell’insegnamento a Lovanio).

Nicolas Malebranche

Il parigino fu l’altro grande rappresentante dell’occasionalismo. Spirito religiosissimo, si diede presto al sacerdozio. Studiò filosofia al collegio di la Marche e alla Sorbona, senza dimostrare particolare interesse per la materia. Fu solo nel ’64 che Malebranche lesse il trattato sull’Uomo di Cartesio; una lettura che lo entusiasmò al punto da spingerlo a studiare per intero il pensiero cartesiano e a dedicarsi alla stesura di un’opera personale, la Ricerca della verità, che apparve tra il ’74 e il ’75. Pubblicò poi, tra l’altro, i Colloqui sulla metafisica e sulla religione (1688), una sorta di compendio generale del suo pensiero, dedicandosi in seguito a ricerche di carattere fisico-matematico.

Pascal

Iniziò assai presto a mostrare i propri interessi scientifici e le proprie non comuni doti intellettuali: era appena sedicenne, infatti, quando compose un Saggio sulle coniche, e pochi anni dopo elaborò e costruì una macchina calcolatrice. Nel 1646 Pascal cominciò a maturare quella religiosità intensa, influenzata dal giansenismo, che si manifesterà in tutta chiarezza intorno agli anni Cinquanta. Il giansenismo fu una dottrina di matrice agostiniana, per molti versi vicina al protestantesimo calvinista, ispirata dal vescovo olandese Cornelio Giansenio [1585–1638], che trovò il proprio centro spirituale nell’abbazia di Port Royal e che fu condannata, nel 1653, da papa Innocenzo X. Uno dei maggiori esponenti del giansenismo fu il cartesiano Antonio Arnauld [1612–1694], abate di Port-Royal; Pascal, dal canto suo, difese accanitamente, dopo la condanna di Innocenzo X, la dottrina giansenista nelle pagine delle celeberrime Lettere provinciali [1656–1657].) Il 23 novembre 1654 Pascal visse un’intensissima esperienza religiosa, della quale ci ha lasciato testimonianza in un Memoriale ritrovato, dopo la sua morte, cucito nel suo vestito. Nel gennaio 1655 entrò nel monastero di Port Royal, che, come si è accennato, era un’autentica roccaforte dei giansenisti. Contemporaneamente alla stesura delle Lettere provinciali, Pascal iniziò ad elaborare un’Apologia del cristianesimo, che avrebbe dovuto diventare la sua opera fondamentale: essa rimase però incompiuta e i materiali elaborati dall’Autore furono raccolti, dopo la sua morte, sotto il titolo di Pensieri.

Michel de Montaigne

Fu educato, secondo gli ideali dell’Umanesimo, sulle pagine dei classici. Studiò diritto e partecipò alla vita politica del suo tempo. Ciò non gli impedì di dedicare una parte cospicua del suo tempo alla meditazione filosofica, frutto maturo della quale sono i Saggi (1580; una seconda edizione ampliata uscì due anni dopo; la terza, alla quale era stato aggiunto un terzo libro, nel 1588). Montaigne morì nel 1592, mentre attendeva a una ulteriore edizione dei suoi Saggi.

Leibniz

Nato a Lipsia il 1° luglio del 1646, compì gli studi universitari di filosofia nella città natale (sotto la guida, tra gli altri, di Jakob Thomasius), di giurisprudenza e matematica a Jena, di giurisprudenza ancora nella città natale. Nel 1664 ottenne l’abignamento, e nel ’66 divenne docente della Facoltà di filosofia grazie alla Disputatio arithmetica de complexionibus. Nello stesso anno presentò la tesi per la laurea in giurisprudenza, e l’anno dopo divenne dottore in legge. «Gli anni 1666–1667 segnarono una svolta importante nella vita di Leibniz: egli si trovò infatti a scegliere tra la carriera universitaria e la vita politica e diplomatica. Scelse la seconda rifiutando la cattedra di diritto che gli offriva l’Università di Altdorf». La produzione filosofico-scientifica di Leibniz — anche a causa dei suoi numerosi impegni politici — consta per lo più di brevi scritti. Le uniche opere di ampio respiro sono i Nuovi saggi sull’intelletto umano, stesi nel 1703 ma pubblicati postumi nel 1765; e i Saggi di teodicea, del 1710. Tra gli altri scritti (filosoficamente non meno importanti dei precedenti) segnaliamo: il Discorso di metafisica (1686), i Principi della natura e della grazia fondati sulla ragione e la Monadologia (1714), e la massa imponente di appunti e manoscritti inediti di logica (pubblicati solo nel 1903 dal francese L. Couturat).

Giambattista Vico

Nacque a Napoli il 23 giugno del 1668 (ma nella Autobiografia, afferma di essere nato nel 1670), in una famiglia povera. All’età di sette anni cadde da una scala fratturandosi il cranio, cosa che lo costrinse ad alcuni anni di convalescenza. Studiò quasi sempre da autodidatta (come egli stesso sottolinea nella Autobiografia). Tra il 1686 e il 1695 Vico fu istitutore dei nipoti di monsignor Geronimo Rocca, il vescovo di Ischia: si trasferì perciò in casa dei Rocca, dove poté dedicarsi con tranquillità ai suoi studi. Nello stesso periodo si iscrisse all’Università e si laureò in diritto civile e canonico. Nel 1698 vinse la cattedra di retorica all’Università di Napoli e, l’anno seguente, si sposò. Nel 1710 pubblicò il De antiquissima Italorum sapientia, tra il ’19 e il ’21 tre scritti giuridici (Sinopsi del diritto universale, De uno universi iuris principio et fine uno, De constantia iurisprudentis), seguiti nel 1722 da un volume di Notae: tali scritti lo resero celebre, ma non gli consentirono comunque di accedere alla cattedra di diritto dell’Università napoletana, resasi vacante alla fine del 1722. Al 1723–25 risale la prima stesura dei Principi di una scienza nuova (l’ultima edizione uscirà nel 1744), che ebbero ampia risonanza sia in Italia che all’estero. Nel 1735 venne nominato storiografo regio. Morì a Napoli all’inizio del 1744.

John Locke

Nacque nel 1632 presso Bristol. Nel 1652 si iscrisse ad Oxford, dove rimase sino al 1667, dapprima come studente, poi come insegnante. Se ne andò al seguito di Lord Anthony Ashley, che sarebbe più tardi diventato conte di Shaftesbury. Il rapporto con Ashley “condizionò fortemente il filosofo che, se ebbe la possibilità di fare un’esperienza culturale e politica assai intensa e stimolante, fu però coinvolto nelle alterne vicende dell’amico, il quale assurse ai vertici della vita politica inglese ma pagò pure duramente per la tenace opposizione fatta alla politica della corona”. Nel 1667 Locke scrisse un Saggio sulla tolleranza, orientato in senso antiassolutistico; nel 1671 due differenti abbozzi del Saggio sull’intelletto umano (che sarà pubblicato solo nel 1690). Per cinque anni (1674–1679) visse in Francia, mentre dall’83 all’89 fu in Olanda, dove si era rifugiato in seguito alla sconfitta politica del conte di Shaftesbury. In Olanda pubblicò la Lettera sulla tolleranza (1689), e scrisse i due Trattati sul governo civile, che pubblicò in Inghilterra nel ’90. Morì nel 1704, in un paesino nei pressi di Londra.

George Berkeley

Nacque in Irlanda nel 1685. Studiò al Trinity College di Dublino (dove insegnò dall’età di 22 anni). Nel 1713 andò a Londra, e poi in Francia (dove conobbe Malebranche e Voltaire) e in Italia tra il 1714 e il 1720. Già nel 1709 aveva pubblicato il Saggio di una nuova teoria della visione e nel 1710 il suo capolavoro, il Trattato sui principi della conoscenza umana; nel 1713 diede alle stampe i Dialoghi fra Hylas e Philonous, che cercavano di esporre in modo più immediato le tesi già espresse nel Trattato. Rientrato in patria dall’Italia, pubblicò il trattato De motu (1721). Nel ’24 lasciò l’insegnamento al Trinity College (era stato docente di teologia, greco ed ebraico) e si dedicò al progetto della, fondazione di un college alle Bermude, per l’educazione degli indigeni. Il progetto fu approvato dal Parlamento inglese, ma Berkeley attese invano, dopo essersi trasferito nel New England, i fondi necessari alla sua attuazione. Tornò in Inghilterra nel 1731, dove pubblicò, nel ’32, l’Alcifrone, un’opera in forma di dialogo stesa durante l’inutile attesa del denaro promessogli per il progetto. Nel ’34 divenne vescovo di Cloyne, località nella quale rimase sino al 1753, quando si trasferì ad Oxford, dove morì quello stesso anno. Negli anni di Cloyne aveva pubblicato, tra l’altro, l’Analista: discorso a un matematico infedele (1734) e la Siris (1744) — uno scritto sulle virtù terapeutiche dell’acqua di catrame, che ebbe un grande successo sia in Inghilterra che all’estero.

David Hume

Il filosofo scozzese compì gli studi di giurisprudenza nella nativa Edimburgo, trascurandoli tuttavia a favore della lettura dei classici della filosofia. Dal 1734 al 1736 fu in Francia: a La Flèche scrisse, traendolo da una cospicua massa di appunti, il suo capolavoro: quel Trattato sulla natura umana che pubblicherà solo al suo rientro in Inghilterra (all’inizio del 1739 usciranno i primi due libri — Sull’intelletto e Sulle passioni –; il terzo — Sulla morale — sarà pubblicato nel marzo del ’40). Il libro fu accolto in modo quanto meno tiepido dai contemporanei, cosa che amareggiò non poco l’autore e lo indusse dapprima a pubblicarne un Estratto riassuntivo (1740. L’Estratto fu a lungo erroneamente attribuito ad Adam Smith, e solo alla fine degli anni Trenta del nostro secolo la sua paternità sarà data a Hume); poi a dedicarsi a studi di carattere morale, una prima silloge dei quali venne pubblicata nel ’41 sotto il titolo di Saggi morali e politici: contrariamente a quanto era accaduto per il Trattato, i Saggi incontrarono un buon successo, cosa che indusse l’autore ad ampliarli in edizioni successive. Fu un successo, tuttavia, che dovette inimicargli la Chiesa presbiteriana, che si oppose a che lui ottenesse la cattedra di etica all’Università di Edimburgo (Hume era infatti, dal punto di vista religioso, uno scettico, e certo l’ortodossia ecclesiastica non dovette vedere di buon occhio la possibilità che venisse assegnato a lui l’insegnamento della filosofia morale). E le cose non andarono meglio quando, nel 1751, Hume tentò di succedere ad Adam Smith sulla cattedra di logica dell’Università di Glasgow. Nel frattempo Hume aveva pubblicato i Saggi filosofici sull’intelletto umano (1748; nel ’58 verranno ripubblicati sotto il titolo di Ricerca sull’intelletto umano), mentre nel ’51 uscirono la Ricerca sui principi della morale, i Dialoghi sulla religione naturale e la Storia naturale della religione. Chiamato come bibliotecario della Biblioteca degli Avvocati dell’Università di Edimburgo (1752), Hume raccolse gli scritti già pubblicati nei quattro volumi dei Saggi e trattati su argomenti diversi (1753- 54) e stese i sei volumi della Storia d’Inghilterra (1754–1761). Nel ’57 pubblicò le Quattro dissertazioni (Storia naturale della religione, Sulle passioni, Sulla tragedia, Sulla regola del gusto — quest’ultima inserita all’ultimo momento al posto delle troppo pericolose dissertazioni Sull’immortalità dell’anima e Sul suicidio), che in qualche modo chiudono il suo percorso speculativo più autentico. Dal 1763 al 1766 fu segretario all’Ambasciata di Parigi (in questo periodo ebbe modo di conoscere l’ambiente degli illuministi, frequentando, in particolare, D’Alembert, Diderot, d’Holbach e Rousseau), poi sottosegretario nel ministero Pitt (1767–1769). Nel 1769 Hume si recò a Edimburgo dove si occupò della revisione e della riedizione delle sue opere, e dove si spense nel 1776, dopo aver steso ai primi sintomi della malattia che lo avrebbe condotto alla morte una breve autobiografia.

Illuminismo

È l’indirizzo di pensiero dominante in Europa (e, in modo particolare, in Francia) nel XVIII secolo. I suoi elementi caratterizzanti sono la netta fiducia nelle capacità della ragione, la volontà “pedagogica” di diffondere la cultura in strati sempre più ampi dell’opinione pubblica, un atteggiamento critico nei confronti delle pretese della tradizione, della religione, della metafisica e del dogmatismo in generale, la fede in un progresso in linea di principio illimitato che l’uomo, grazie appunto all’opera della ragione, avrebbe potuto perseguire. Espressione filosofica della borghesia settecentesca in ascesa (non a caso l’ideologia illuminista gioca un ruolo decisivo nella trama complessiva della Rivoluzione francese), l’illuminismo si presenta insieme come una ripresa e un approfondimento di ideali già apparsi nella cultura rinascimentale (soprattutto per quanto concerne la posizione centrale assegnata all’uomo) e durante la cosiddetta Rivoluzione scientifica (in particolare per quanto concerne la sottolineatura del ruolo autonomo e tendenzialmente onnipotente assegnato alla razionalità e il privilegiamento, almeno implicito, dell’atteggiamento di pensiero tipico dell’empirismo moderno).
I temi caratteristici dell’illuminismo si presentano particolarmente accentuati ed evidenti in Francia.
Pierre Bayle (1647–1706), autore dei Pensieri sulla cometa (1682), del celeberrimo Dizionario storico-critico (1695–97) e di un Commentario filosofico.
Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657–1757), autore dei Dialoghi dei morti (1683), della Digressione sugli antichi e sui moderni (1688) — nella quale propone una vera e propria teoria generale del progresso — e della Conversazione sulla pluralità dei mondi (1686) — un’esposizione divulgativa del copernicanesimo. Montesquieu (1689- 1755), Charles-Louis de Secondat, barone di — è autore delle Lettere persiane (1721) nelle quali l’autore, fingendosi il traduttore di alcune lettere scritte da amici persiani, svolge una pungente e raffinata satira antifrancese e antiecclesiastica. Ha scritto anche Considerazioni sulle cause della grandezza e della decadenza dei romani (1734) e dello Spirito delle leggi (1748) — il suo capolavoro, dove è espressa una concezione antidispotica della gestione del potere e sostenuta la tesi, anti-hobbesiana, di una naturale socievolezza degli esseri umani.
Voltaire (1694–1778), una delle figure più importanti del secolo dell’illuminismo, autore di numerosissime opere, tra le quali: le Lettere sugli Inglesi (o Lettere filosofiche, 1733); un Trattato di metafisica (1734), due scritti sulla scienza newtoniana (gli Elementi della filosofia di Newton, 1737, e la Metafisica di Newton, 1741), il celeberrimo Dizionario filosofico (1764), alcuni splendidi racconti filosofici (Il mondo come va, 1746, Zadig, 1747, Memnone, 1750, Micromega, 1752, e soprattutto Candido, 1759), alcune opere storiche (la Storia di Carlo XII, 1731, Il secolo di Luigi XIV, 1753, il Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni, 1756), Il filosofo ignorante (1766).
Condorcet (1743–1794) che, interessatosi principalmente di matematica, è tuttavia noto soprattutto per l’Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano.
Diderot (1713–1784) che, oltre ad essere stato uno degli ideatori e dei collaboratori dell’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, scrisse i Pensieri filosofici (1746) — condannati dal Parlamento — la Lettera sui ciechi — che, per il suo orientamento marcatamente ateistico, gli costò la prigione –, i Pensieri sull’interpretazione della natura (1753), Il nipote diRameau (pubblicato postumo), Il sogno di d’Alembert (scritto nel 1769 e pubblicato nell’82).
Jean Baptiste Le Rond D’Alembert (1717–1783), che diresse, insieme a Diderot, l’Enciclopedia (alla quale collaborò con la stesura di numerose voci e del Discorso preliminare), e che scrisse, oltre ad opere di carattere principalmente scientifico (come la Memoria sul calcolo integrale, 1739, il Trattato di dinamica, 1743, le Ricerche sulla precessione degli equinozi, 1749), una Miscellanea di letteratura, storia e filosofia (1753) e un Saggio sugli elementi di filosofia (1759) nel quale espose la sua concezione filosofica.
Étienne Bonnot, abate di Condillac (1714–1780), autore del Saggio sulle origini delle conoscenze umane (1746), del Trattato sui sistemi (1749), del Trattato sulle sensazioni (1754), nei quali è sviluppata una gnoseologia sensistica radicale: le idee provengono tutte dall’esperienza sensibile, e tutta intera la vita psichica si forma a partire dalle sensazioni (è rimasto celebre l’esempio della statua di marmo, priva del tutto di sensibilità e perciò di idee, che acquista progressivamente coscienza a mano a mano che agiscono su di essa i cinque sensi). Condillac fu anche invitato a collaborare all’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert e, se anche non lo fece mai direttamente, la sua influenza è rilevabile in svariati luoghi della stessa, a partire dal celebre Discorso preliminare.
Illuminismo fuori dalla Francia. Come si è accennato, comunque, l’illuminismo si diffuse anche nel resto d’Europa: In Inghilterra con pensatori come Hume, J. Toland (1670–1722), autore di un Cristianesimo senza misteri (1696) che è il testo fondamentale del deismo inglese (cioè di quel movimento filosofico che si proponeva di pensare Dio prescindendo dalla rivelazione e utilizzando unicamente gli strumenti della ragione naturale). S. Clarke (1675- 1729), autore di un Discorso sull’essere e gli attributi di Dio (1705); M. Tindal (1656–1733), che pubblicò Il cristianesimo antico quanto la creazione (1730), altro testo fondamentale del deismo; A. Collins (1676–1729), che scrisse un Saggio sull’uso della ragione (1707), un Discorso sul libero pensiero (1713), una Indagine filosofica sulla libertà umana (1717) e un Discorso sui fondamenti e le ragioni della religione cristiana (1724); J. Butler (1692–1752), autore di Quindici sermoni sulla natura umana (1726) e de L’analogia della religione naturale e rivelata con la costituzione e il corso della natura (1736); A. Shaftesbury (1671–1713), autore della Lettera sull’entusiasmo (1708), de I Moralisti (1709 e delle Caratteristiche di uomini, maniere, opinioni e tempi (1711). Inoltre Saggio sulla virtù e il merito; Una lettera sull’entusiasmo; F. Hutcheson (1694–1747), che scrisse un Sistema di filosofia morale pubblicato solo dopo la sua morte; B. de Mandeville (1670–1733), celebre soprattutto per La favola delle api. In Germania, dove vanno ricordati soprattutto C. Wolff (1679–1754), che ebbe un influsso considerevole sulla cultura tedesca grazie al suo spirito sistematico e alla sua opera di codificazione del linguaggio filosofico; A.G. Baumgarten (1714–1762), al quale si fa risalire la nascita dell’estetica moderna; G.E. Lessing (1729–1781) con Religione, storia, società. In Italia, l’illuminismo si sviluppò con ritardo rispetto al resto d’Europa. Oltre ad Antonio Genovesi, Gaetano Filangieri e Cesare Beccaria, meritano di essere menzionati anche i fratelli Pietro e Alessandro Verri (rispettivamente 1728–1797 e 1741–1816), che diressero “Il caffè” (1764–1765), un giornale intorno al quale si riunirono numerosi intellettuali e che svolse un importante ruolo di rinnovamento culturale.

Isaac Newton

Fu uno dei massimi scienziati di tutti i tempi. La sua opera fondamentale, i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687) chiude, in qualche modo, l’epoca della rivoluzione scientifica. L’importanza di Newton nella cultura moderna non è circoscrivibile all’ambito scientifico: il suo pensiero, infatti, esercitò un notevole influsso sull’empirismo inglese, sull’illuminismo e sul pensiero kantiano: il suo nome è legato anche alla polemica con Leibniz a proposito della scoperta del calcolo infinitesimale. Leibniz, infatti, che nel 1684 aveva pubblicato il saggio Nova methodus pro maximis et minimis, fu accusato di plagio, in quanto Newton gli avrebbe comunicato sin dal 1676 i risultati delle proprie ricerche intorno al calcolo delle flussioni, molto simili a quelli esposti da Leibniz nel suo scritto dell’84. La paternità della scoperta fu attribuita a Newton, ma “oggi gli storici della scienza sono concordi nel dichiarare insussistente la questione della priorità e nel sostenere che Newton e Leibniz, sulla base delle ricerche compiute dai matematici del XVII secolo e partendo da punti di vista differenti (fisico quello newtoniano, geometrico e logico quello di Leibniz) seppero giungere, indipendentemente l’uno dall’altro, a risultati press’a poco uguali”

Adam Smith

L’Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776) può essere considerata ratto di nascita dell’economia politica. Smith, che fu docente di filosofia morale all’Università di Glasgow, è autore anche di una Teoria dei sentimenti morali (1759).

Fisiocratici

furono detti un gruppo di studiosi dell’economia che si autodefinivano “gli economisti”, e che si ispirarono alla riflessione di Francesco Quesnay (1694–1774). Secondo la fisiocrazia (il nome deriva dalle parole greche phýsis = natura e kratêin = dominare) l’ordine naturale socio-economico è regolato dalla produzione “naturale” dell’agricoltura: “I fisiocratici organizzarono la loro analisi attorno a un concetto che da allora divenne centrale nella teoria economica: il prodotto netto. In termini generici, il prodotto netto […] è quella parte dell’intera produzione sociale che eccede la ricostituzione sia dei mezzi di produzione sia dei mezzi di sussistenza necessari a coloro che, con il loro lavoro, hanno portato all’esistenza la produzione sociale stessa. […] Il carattere peculiare della posizione fisiocratica sta in ciò, che essa ritiene che il prodotto netto si formi soltanto in agricoltura”. Per i fisiocratici, in altri termini, “solo il lavoro agricolo è produttivo”, e questa sua produttività “non è che un segno della produttività della natura, della quale il lavoro può usufruire quando i processi naturali sono, come nell’agricoltura, la sostanza stessa del processo produttivo”. Oltre a Quesnay appartennero alla fisiocrazia P.-P. Mercier de la Rivière, P.-S. Dupont de Nemours, R.-J. Turgot, Condorcet.

Jean-Jacques Rousseau

Visse nel secolo dell’illuminismo, ma il suo pensiero può essere ricondotto solo parzialmente a quel movimento di pensiero. Rousseau nacque a Gmevra nel 1712 e visse una giovinezza irrequieta (letture, fantasie, fughe, avventure di vario genere). Stabilitosi a Parigi, entrò a far parte dell’ambiente intellettuale della capitale francese, legandosi in particolare a Diderot e a Condillac e collaborando all’Enciclopedia. Nel 1750 vinse, grazie al Discorso sulle scienze e sulle arti, il concorso dell’Accademia di Digione sul tema “Se il progresso delle scienze e delle arti abbia contribuito a migliorare i costumi”. Qualche anno dopo, partecipando a un secondo concorso, bandito anch’esso dall’Accademia di Digione, Rousseau scrisse il Discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini (1755), che ebbe anch’esso una vasta eco tra il pubblico. Mentre i rapporti con gli illuministi cominciavano a guastarsi, Rousseau interruppe la sua collaborazione all’Enciclopedia (1757), entrando poco dopo in aperta polemica con D’Alembert e Voltaire e ritirandosi a vivere in solitudine. Sono di questi anni gli scritti maggiori: Giulia o La nuova Eloisa (1761), Emilio, o dell’educazione (1762), il Contratto sociale (1762). Emilio e il Contratto sociale furono condannati dal Parlamento parigino e dalla magistratura ginevrina, costringendo Rousseau alla fuga, dapprima in Svizzera, poi in Inghilterra, dove Hume gli offrì ospitalità. Anche con Hume, tuttavia, i rapporti si guastarono, e Rousseau rientrò in Francia, dove attese al completamento delle Confessioni, iniziate nel 1765 e che usciranno solo postume, e alla stesura di altri scritti. Morì nel 1778.

Immanuel Kant

Nacque il 22 aprile del 1724 a Königsberg (l’attuale Kaliningrad), «una grande città, centro di uno Stato, dove si trovano i consigli locali di governo, che possiede un’università (per la cultura scientifica) ed è anche sede di commercio marittimo, che per mezzo di fiumi favorisce il traffico dall’interno e coi paesi finitimi e lontani di diverse lingue e costumi», una città che «può esser presa come sede adatta per l’ampliamento della conoscenza dell’uomo e per la conoscenza del mondo, la quale vi può essere acquistata anche senza viaggiare» (I. Kant, Antropologia pragmatica). E a Königsberg, in effetti, Kant trascorse tutta la sua vita, allontanandosene solo per brevi periodi. Nel 1740 si iscrisse all’Università locale, dove studiò matematica, scienze, filosofia, teologia, letteratura latina, mantenendosi agli studi con lezioni private e con il gioco del biliardo (nel quale era, a quanto pare, particolarmente abile).

Del 1746 è il suo primo scritto, i Pensieri sulla vera estimazione delle forze vive (pubblicato solo nel ’49). Nel 1755 ottenne il dottorato con una dissertazione Sul fuoco e divenne “magister legens” con la Nuova delucidazione dei primi principi della conoscenza metafisica. Nei quindici anni successivi Kant tenne, con successo crescente, numerose lezioni di materie diverse; gli scritti di questo periodo evidenziano l’interesse del Nostro tanto per le discipline filosofiche quanto per quelle naturalistiche: ancora del 1755 è la Storia generale della natura e teoria del cielo, che anticipa la teoria di Laplace sull’origine del cosmo; del ’56 sono la Monadologia fisica, alcuni scritti sui terremoti, uno scritto sui venti; altri scritti di carattere scientifico seguono negli anni successivi, fino al 1760, quando comincia a diventare più evidente e prevalente l’interesse per le tematiche filosofiche: del ’62 è La falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche, del ’63 sono lì unico argomento possibile per la dimostrazione dell’esistenza di Dio e il Tentativo per introdurre le grandezze negative in filosofia; del ’64 le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime; del ’66 i Sogni di un visionario chiariti attraverso i sogni della metafisica, al 1770 risale, infine, la celebre dissertazione Sulla forma e sui principi del mondo sensibile e del mondo intellegibile, lo scritto che viene per solito indicato come conclusivo della fase precritica del pensiero kantiano, e nel quale sono già presenti alcune delle tesi caratteristiche della futura Critica della ragion pura (in particolare quelle relative alla dottrina dello spazio e del tempo, riprese e approfondite nelle pagine dell’Estetica trascendentale); grazie a questo scritto, inoltre, Kant ottenne la cattedra di Logica e di Metafisica all’Università. Tra il 1770 e il 1781 Kant pubblicò pochissime cose, occupatissimo com’era nell’elaborazione della sua filosofia, concretizzatasi nelle pagine della Critica della ragion pura, la sua opera di maggior spessore teoretico, uscita appunto nel 1781 (e, in una seconda edizione riveduta e modificata, nell’87). Un’opera frutto di un’elaborazione più che decennale, ma stesa di getto nel giro di pochi mesi — come Kant stesso spiega in una celebre lettera a Mendelssohn del 1783 — e che non ebbe (anche in ragione della non sempre perspicua forma espositiva) grande riscontro immediato tra i lettori (ciò che spinse Kant a riassumerne il contenuto nei Prolegomeni ad ogni futura metafisica che intenda presentarsi come scienza, usciti nel 1783, e a por mano a quella riedizione dell’opera alla quale abbiamo fatto cenno poc’anzi). Il pensiero kantiano maturo trovò poi forma concreta nelle pagine della Critica della ragion pratica (1788) e della Critica del giudizio (1790). Nell’86, tra l’altro, era comparsa la Fondazione della metafisica dei costumi, mentre nel ’93 uscì La religione entro i limiti della semplice ragione.
Nel frattempo, morto Federico II il Grande (1786), gli era succeduto Federico Guglielmo II che, nell’ambito di un’opera di limitazione dell’ampia tolleranza religiosa della quale la Prussia aveva goduto, accusò Kant — tramite un rescritto del Ministro del Culto, Johann Christoph Wöllner — di travisare il senso autentico della Scrittura e di mancare, perciò, ai suoi doveri di educatore. Kant replicò alle accuse con una lunga lettera e, dopo la morte di Federico Guglielmo, con la prefazione a Il conflitto delle facoltà (1798). Tra gli scritti kantiani dell’ultimo periodo meritano di essere ricordati Per la pace perpetua (1795) e La metafisica dei costumi (1797). Nel ’96, inoltre, Kant cominciò a lavorare ad uno scritto, intitolato Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, che rimase incompiuto e i cui lavori preparatori furono poi raccolti nel cosiddetto Opus postumum.
Nel 1803 Kant si ammalò gravemente e, il 12 febbraio dell’anno seguente, morì e fu sepolto nella Chiesa dell’Università di Königsberg (sulla sua tomba, come è noto, fu posta una lapide con su scritte le celebri parole del finale della Ragion pratica: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”). Alcuni suoi allievi pubblicarono gli appunti delle lezioni kantiane di Logica (1800), di Geografia (1802), di Pedagogia (1803); uscirono più tardi anche quelle di Filosofia della religione (1817), di Metafisica (1821), di Antropologia (1831), di Etica (1924).

Johann Gottlieb Fichte

Nacque il 12 maggio del 1762 e studiò — grazie al contributo di un possidente terriero, che era rimasto fortemente colpito dalla sua intelligenza — a Jena (1780–81) e a Lipsia (1781–84). Nel 1790 conobbe il pensiero kantiano, che influenzò in modo decisivo la sua formazione filosofica (Fichte si dirà convinto — nella “Prefazione alla prima edizione” della Dottrina della scienza — «che nessun intelletto umano possa spingersi oltre i confini in cui si è posto Kant», e «di non poter mai dire qualcosa cui Kant, in modo diretto o indiretto, chiaro od oscuro, non abbia già accennato». Si recò a Königsberg, nel 1791, per conoscere personalmente Kant e per sottoporgli il suo Saggio di una critica di ogni rivelazione, un’opera fedele allo spirito del criticismo che verrà pubblicata anonima l’anno successivo dall’editore di Kant. Ciò generò l’equivoco, presso i contemporanei, che l’autore dovesse essere Kant stesso; equivoco che, una volta chiarito, non fu ininfluente nell’imporre all’attenzione degli addetti ai lavori la personalità dell’allora trentenne Fichte. Nel 1794 egli fu chiamato all’Università di Jena, sulla cattedra che era già stata di K.L. Reinhold (1758–1823, uno dei più importanti divulgatori della filosofia kantiana). A Jena Fichte pubblicò alcuni dei suoi scritti più importanti: Sul concetto della dottrina della scienza, i Fondamenti dell’intera dottrina della scienza e Alcune lezioni sulla missione del dotto (1794); i Fondamenti del diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza (1796); il Sistema della dottrina morale secondo i principi della dottrina della scienza (1798). Un periodo dunque, quello di Jena, di intensa produzione intellettuale, ma che non doveva durare a lungo, soprattutto a causa della polemica sull’ateismo, iniziata appunto nell’estate del ’98 e destinata a costringere Fichte ad abbandonare, nel marzo dell’anno successivo, l’Università jenese. Recatosi a Berlino, Fichte entrò nel circolo dei romantici e tenne numerosi corsi. Tra la fine del 1807 e il 1808 pronunciò i celebri Discorsi alla nazione tedesca, e nel 1810 — quando venne fondata l’Università di Berlino — fu eletto primo rettore (un incarico che, comunque, abbandonò dopo poco tempo). Morì il 29 gennaio del 1814.

Friedrich Wilhelm Schelling

Studiò allo Stift di Tubinga, dove divenne amico, tra gli altri, di Friedrich Hölderlin (1770–1843) e di Hegel. Dopo una serie di scritti sulla mitologia e sulla esegesi della Scrittura, compose alcune opere influenzate dal pensiero fichtiano: Sulla possibilità di una forma della filosofia in generale (1794), Sull’Io come principio della filosofia o sull’incondizionato nel sapere umano (1795), le Lettere filosofiche sul dogmatismo e sul criticismo (1795–96). Già in questi scritti, comunque, erano presenti divergenze anche sostanziali tra il pensiero di Schelling e quello di Fichte, che diverranno esplicite soprattutto nel Sistema dell’idealismo trascendentale (1800) e nell’Esposizione del mio sistema filosofico (1801). Nel frattempo Schelling aveva pubblicato altri scritti — come le Idee per una filosofia della natura (1797) e Sull’anima del mondo (1798) — che avevano destato l’interesse di Goethe (1749–1832), grazie all’appoggio del quale (e a quello dello stesso Fichte) Schelling ottenne, nel 1798, una cattedra all’Università di Jena, dove fu collega di Fichte e di Hegel e dove ebbe rapporti con i romantici. Dal 1803 al 1806 fu a Würzburg, e in questo periodo il suo pensiero si orientò sempre più verso tematiche di impronta filosofico-religiosa. Dal 1806 al 1841 fu a Monaco. Dal 1809 cessò pressoché del tutto le sue pubblicazioni, e nel 1847 smise di tenere lezioni pubbliche. Morì nel 1854.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Nasce a Stoccarda nel 1770. Nell’ottobre del 1788 è a Tubinga, dove si iscrive all’Università locale e viene ammesso allo Stift (il celebre collegio, destinato alla formazione del clero protestante, nel quale è compagno di studi, tra gli altri, di Schelling e di Hölderlin). Tra il 1793 e il 1800 è dapprima a Berna, poi a Francoforte: a questo periodo risalgono quegli Scritti teologici giovanili che verranno pubblicati, postumi, soltanto nei primi anni del Novecento. All’inizio del 1801 è a Jena (dove, da qualche anno, insegnava Schelling), deciso ad intraprendere la carriera universitaria: pubblica la Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e di Schelling e consegue l’abilitazione all’insegnamento con una dissertazione Sulle orbite dei pianeti. Nei due anni successivi, Hegel dirige insieme a Schelling il “Giornale critico della filosofia”. Nel 1807 pubblica la Fenomenologia dello spirito, la prima delle sue opere edite fondamentali. L’anno seguente è a Norimberga, dove dirige — fino al 1816 — il Ginnasio locale. In questo periodo esce, in due volumi, la Scienza della logica (1812–16), il suo capolavoro teoretico. Nel 1816 è nominato professore di filosofia a Heidelberg, un incarico che lascerà due anni dopo, per trasferirsi a Berlino, dove rimarrà sino alla morte, dapprima come docente, poi come rettore dell’Università locale. Negli anni di Heidelberg compare l’Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817. Hegel stesso curerà nel 1827 e nel 1830 una seconda e una terza edizione dell’opera, apportando integrazioni e variazioni anche di rilievo). Le sue altre opere, e innanzitutto i celeberrimi Lineamenti di filosofia del diritto (1821), risalgono al periodo berlinese. Hegel muore il 14 novembre del 1831, vittima di un’epidemia di colera.

Da: Emanuele Severino, La filosofia del greci al nostro tempo. La filosofia moderna, Garzanti, Milano, 1996

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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