Profili dei filosofi antichi e medievali

di Emanuele Severino

Mario Mancini
26 min readApr 20, 2022

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Esiodo

Esiodo (VIII-VII sec. a.C.) fu, insieme a Omero, il punto di riferimento principale per la morale e la religiosità dei Greci. A Esiodo la tradizione attribuiva un insieme di opere concatenate tra loro, sulla paternità delle quali sono stati sollevati dubbi sin dall’antichità. Sicuramente esiodee sono comunque la Teogonia (un poema che narra la generazione degli dèi dal Caos originario) e Le opere e i giorni (un poema nel quale Esiodo espone, prendendo spunto da una contesa con il fratello Perse a proposito di un’eredità, una serie di precetti morali e di considerazioni generali intorno alla giustizia e alla vita umana).

La tragedia attica

3. La tragedia attica è una delle massime espressioni letterarie e filosofiche della grecità classica; Eschilo (525/4–456 a.C.), Sofocle (497 /6–406/5 a.C.) ed Euripide (485/4–406 a.C.) sono i tre autori maggiori. Scrissero tutti e tre numerose tragedie. Del primo rammentiamo la trilogia dell’Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi), Il Prometeo incatenato, I Persiani, Le supplici, I sette a Tebe, del secondo le tragedie del ciclo tebano (Antigone, Edipo re, Edipo a Colono), di Euripide Medea, le Troiane, le Baccanti. L’interesse del pensiero filosofico per la tragedia greca è indicato, in particolare, da Aristotele (che dedica alla tragedia gran parte del primo libro della Poetica) e da Nietzsche (che fa della tragedia uno degli assi portanti del suo pensiero; si vedano, in particolare, La nascita della tragedia e La filosofia nell’epoca tragica dei Greci).

Talete

Talete, Anassimandro e Anassimene operarono a Mileto, sulle coste dell’Asia Minore e la tradizione fa di loro gli iniziatori della storia della filosofia occidentale.
Talete, in particolare (stando a quanto riferisce Diogene Laerzio [III sec. d.C], autore di una preziosa Raccolta delle vite e delle dottrine dei filosofi) «era uno dei sette sapienti […] e per primo fu chiamato sapiente» (DK, 11A1 [per la numerazione dei frammenti dei presocratici cfr. più sotto]). Le testimonianze lo presentano come un uomo dai molteplici interessi: si occupò di politica, di studi naturalistici, di astronomia («fu il primo a studiare i corpi celesti e a predire le eclissi del sole e i solstizi», ibidem), di matematica. Non ci è pervenuto alcun frammento delle sue opere e, anzi, «secondo alcuni non lasciò nessun’opera» (ibidem).

Anassimandro

Anassimandro fu, pare, discepolo di Talete. Della sua opera Perì physeos (= Intorno alla natura. È il titolò ricorrente degli scritti dei presocratici) ci resta un unico frammento, tramandatoci da Simplicio (VI sec. d.C.), che costituisce il primo testo pervenutoci della più antica filosofia greca. Anche Anassimandro, come Talete, fu una personalità poliedrica: si occupò di politica, di ricerche naturalistiche, di geografia («per primo ardì disegnare su una carta la terra abitata», DK, 12A6) e di astronomia. Tra le altre cose, gli viene attribuito un modello cosmologico in base al quale la terra è librata in alto, non è sostenuta da niente e rimane sospesa perché ha uguale distanza da ogni cosa. Ha la forma ricurva, sferica, simile a una colonna di pietra: delle sue Superfici l’una è quella sulla quale noi ci muoviamo, l’altra sta dalla parte opposta» (DK, 12A11).

Anassimene

Anassimene fu discepolo di Anassimandro, e scrisse un trattato Perì physeos (del quale possediamo tre frammenti) usando «un dialetto ionico semplice e non ricercato» (DK, 13A1).

I frammenti dei filosofi presocratici

I frammenti dei filosofi presocratici sono raccolti in H. Diels-W. Kranz, Die fragmente der Vorsokratiker [1903], Berlino 1951–52, 3 voll. È d’uso citare i frammenti da questa edizione (abbreviata in DK) indicando con un primo numero il capitolo che riguarda ciascun filosofo; con una lettera maiuscola il fatto che si tratti di una testimonianza indiretta (A), di un frammento autentico (B) o di un’imitazione ©; con un secondo numero il numero progressivo assegnato a quel particolare frammento nella raccolta. Tutto il materiale del Diels-Kranz è stato tradotto da vari specialisti in I Presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni, La- terza, Roma-Bari 1986, 2 voll. Un’altra traduzione dei frammenti da tenere presente è quella curata da A. Pasquinelli, I Presocratici, frammenti e testimonianze, Einaudi, Torino 1976 (che arriva però solo sino alla filosofia eleatica). Una diversa raccolta dei frammenti (con traduzione italiana a fronte) era stata avviata da G. Colli ne La sapienza greca, Adelphi, Milano 1977 sgg. [rist., ivi, 1990 sgg.], ma la morte del curatore ha impedito che si andasse oltre Eraclito.Eraclito

Eraclito

Eraclito nacque ad Efeso, poco più a nord di Mileto. «Fu altero quant’altri mai e superbo» (DK, 22A1), si tenne lontano dalla vita pubblica e «per insofferenza verso gli uomini […] visse sui monti, cibandosi di erbe e di piante» (ibidem). Venne soprannominato “l’oscuro”, probabilmente per lo stile aforistico del suo trattato Sulla natura (del quale ci restano numerosi frammenti): Eraclito lo depose «nel tempio di Artemide, avendo deciso intenzionalmente, secondo alcuni, di scriverlo in forma oscura, affinché ad esso si accostassero solo quelli che ne avessero la capacità e affinché non fosse dispregiato per il fatto di essere alla portata del volgo» (ibidem).

Pitagora

Della vita di Pitagora (nativo di Samo, un’isola posta di fronte alla costa sulla quale sorgono Efeso e Mileto) non si conosce quasi nulla di certo. Già Aristotele non sa niente di preciso sulla persona di Pitagora e parla, globalmente, dei “cosiddetti pitagorici” (Metafisica, 985b). Ciò è dovuto, a diverse ragioni: al fatto che Pitagora, pare, non scrisse nulla; all’aura sacrale che, assai presto, circondò la sua persona, favorendo la fioritura di numerose leggende; al carattere collettivo della ricerca nella scuola da lui fondata a Crotone; alla religiosa segretezza che circondava le dottrine pitagoriche. Risulta perciò storiograficamente più corretto riferirsi — con Aristotele — ai pitagorici, più che al singolo Pitagora.

Parmenide

Parmenide nacque ad Elea, una città della Magna Grecia non lontana da Napoli, dove fondò una scuola (la scuola eleatica, appunto), della quale fu a lungo, ma erroneamente, ritenuto fondatore Senofane (nato a Colofone, sulle coste dell’Asia Minore, poco più a nord di Efeso, e vissuto tra il VI e il V sec. a.C.). Parmenide fu quasi certamente attivo politicamente («si dice — racconta Diogene Laerzio — che abbia dato leggi ai concittadini», DK 28A1), e scrisse un poema intitolato Sulla natura (del quale ci restano ampi frammenti). Alla sua scuola appartennero anche Zenone di Elea e Melisso di Samo.

Zenone

Zenone «ascoltò Parmenide e fu il suo amato» (DK 29A1); fu «uomo eminentissimo in filosofia e in politica» (ibidem), oltre che coraggioso (è noto l’episodio che lo descrive prigioniero del tiranno Nearco — contro il quale aveva congiurato — e che lo vede denunziare «tutti gli amici del tiranno, nell’intento di fargli il vuoto intorno» (ibidem), e addentare il tiranno all’orecchio non lasciando la presa sino a che non viene trafitto). Dal punto di vista filosofico, Zenone di Elea si impegnò nella difesa della dottrina del maestro, argomentando per assurdo contro le tesi dei detrattori della dottrina parmenidea (e per questo, Zenone venne considerato, sin dall’antichità, l’inventore della dialettica).

Melisso di Samo

Melisso di Samo (V sec. a.C.) fu discepolo di Parmenide, oltre che uomo politico. Scrisse un trattato Sulla natura, o sull’essere, nel quale si propose di esporre in modo sistematico e di chiarire la dottrina parmenidea. L’eternità dell’essere è da lui affermata in base alla considerazione che dal nulla non può generarsi alcunché — un principio che diverrà celebre e che verrà ripetutamente ripreso, lungo la storia del pensiero occidentale, ma che in qualche misura già tradisce (cfr. E. Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, pp. 32–36) la perentoria lapidarietà del principio parmenideo dell’incontraddittorietà dell’essere. L’essere, inoltre, è detto da Melisso infinito perché, se così non fosse, ne risulterebbe che l’essere dovrebbe in qualche modo essere limitato dal nulla (il che sarebbe contraddittorio); Parmenide, viceversa, aveva posto la finitezza dell’essere, raffigurandolo come una “ben rotonda sfera”.

Eschilo

Eschilo vide, da giovane, la fine della tirannide, e poi l’avvento della democrazia in Atene. Combatté a Maratona e forse anche a Salamina. Accusato di aver rivelato i misteri, sostenne di non essere iniziato e fu prosciolto. È considerato il creatore del linguaggio tragico, che egli unisce a grandi effetti scenici. Sembra che egli stesso abbia affermato che i grandi pensieri, per essere espressi, hanno bisogno di grandi parole.

Empedocle

Empedocle nacque ad Agrigento, una città nella quale esercitò anche l’attività politica. Fu uomo dai molteplici interessi (filosofo della physis, poeta, politico, medico…) e scrisse due opere: un poema Sulla natura e un Poema lustrale, dei quali possediamo numerosi frammenti. Intorno a Empedocle sorsero, forse anche in ragione della sua fama di mago, numerose leggende. Della sua morte, in particolare, si narra che egli «s’incamminò verso l’Etna e che, giunto ai crateri del vulcano, vi si gettò e scomparve, volendo accreditare la voce, circolante su di lui, che era divenuto un dio; ma poi tutto si venne a sapere, avendo il vulcano rigettato uno dei suoi calzari» (DK 31A1). Si tratta comunque di notizie leggendarie, alle quali la storiografia più recente dà scarso o nullo credito.

Anassagora

Anassagora nacque a Clazomene, sulle coste dell’Asia Minore, e scrisse un’opera Sulla natura, della quale ci sono pervenuti una ventina di frammenti. Fu, probabilmente, il primo filosofo ad introdurre ad Atene quella filosofia che, sino a quel momento, era sorta e si era sviluppata nell’ambito delle colonie.

Leucippo

Pochissimo sappiamo di Leucippo, e pochissimo ne sapevano gli antichi (Epicuro, ad esempio, ne mise addirittura in dubbio l’esistenza). Nacque probabilmente a Mileto, dalla quale passò ad Elea, e infine ad Abdera, dove fondò la sua scuola. Esponente di spicco dell’atomismo fu il suo allievo Democrito, il cui nome compare quasi sempre, nelle testimonianze, in compagnia di quello del maestro. Cronologicamente, l’attività di Democrito si sviluppa contemporaneamente a quella di Socrate e dei suoi primi discepoli, anche se il suo pensiero è inserito nell’orizzonte della filosofia presocratica.

Sofistica

La sofistica si sviluppò in Grecia tra il V e il IV sec. a.C. Tra i sofisti più noti debbono essere ricordati Protagora di Abdera e Gorgia di Lentini.

Protagora

Protagora, si narra, «fu il primo ad esigere un compenso di cento mine» (DK 80A1) per il suo insegnamento (fatto, questo, che contribuì non poco a costruire e ad accentuare l’opinione negativa che della sofistica ebbero filosofi come Socrate e Platone). Fu, pare, scolaro di Democrito («ma fu in relazione anche coi Magi persiani, al tempo della spedizione di Serse contro la Grecia», DK 80A2) e fu spesso ad Atene dove probabilmente si legò di amicizia con Pericle. A causa di uno scritto nel quale affermava di non poter accertare né l’esistenza né l’inesistenza degli dèi, tuttavia, «fu cacciato via dagli Ateniesi, e i suoi libri, sequestrati da un banditore a chiunque li possedesse, furon bruciati nell’agorà» (DK 80A1). Tra i suoi scritti ricordiamo le Antilogie (o Discorsi contrapposti), e La verità (o Discorsi sovvertitori), che si apriva con la celebre affermazione che «Di tutte le cose misura è l’uomo: di quelle che sono, per ciò che sono, di quelle che non sono, per ciò che non sono» (DK 80B1). Morì forse «in un naufragio navigando verso la Sicilia» (DK 80A3), all’età di settanta o di novantanni.

Gorgia

Gorgia fu retore e filosofo, e scrisse — tra le altre cose — un trattato Sulla natura o sul non essere, che già nel titolo indica l’intento polemico dell’Autore nei confronti dell’ontologia eleatica. Le fonti sottolineano la sua straordinaria capacità oratoria: «Fu lui ai sofisti maestro di impeto oratorio, e audacia innovatrice d’espressione, e mossa ispirata, e tono sublime per le cose sublimi, e distacchi di frasi, e inizi improvvisi, tutte cose che rendono il discorso più armonioso e solenne. Inoltre lo ampliava con espressioni poetiche, per gusto dell’ornato e del grandioso» (DK 82A1). Tra le sue opere, oltre allo scritto sopra citato, vanno ricordate l’Encomio di Elena e l’Apologia di Palamede (che ci sono pervenute per intero), due grandi esercizi retorici che mostrano, in atto, tutta la capacità seducente della parola e l’abilità discorsiva di Gorgia.

Tra gli altri esponenti della sofistica antica si ricordano Prodico di Ceo, Trasimaco di Calcedonia, Ippia di Elide, Antifonte di Atene, Crizia di Atene.

Socrate

La vicenda biografica di Socrate è strettamente legata a quella filosofica. Nacque ad Atene, figlio di uno scultore (Sofronisco) e di una levatrice (Fenarete). Non scrisse nulla, ritenendo la ricerca filosofica possibile solo in presenza di un dialogo vivente tra gli interlocutori. (Ciò, tra le altre cose, rende non semplice il compito di ricostruire il suo pensiero, per il quale è necessario appoggiarsi, mettendole a confronto, alle testimonianze, spesso tra loro divergenti, di Platone, Aristotele, Senofonte, Aristofane e altri.) Socrate fu, pare, inizialmente scultore come il padre; fu poi soldato nel corso della guerra del Peloponneso e pritano nel Consiglio dei cinquecento (e fu, nell’esercizio della sua carica, l’unico ad opporsi al giudizio sommario degli strateghi vincitori alle Arginuse, che erano stati accusati di non aver salvato naufraghi e feriti dopo la battaglia).
Dal punto di vista filosofico, pare accertato che in un primo tempo Socrate seguisse le tesi dei filosofi della physis, passando poi — certamente sotto l’influsso della sofistica — a quel pensiero e a quel metodo di indagine che ci sono stati tramandati dalle pagine platoniche e senofontee. Il suo insegnamento, spregiudicato e tagliente, dovette apparire pericoloso agli occhi degli Ateniesi conservatori, che lo accusarono di corrompere i giovani e di non credere agli dèi della patria (399 a.C.). Fu processato e condannato a morte: nel córso del processo, Socrate sostenne in modo appassionato le sue opinioni, senza cedimenti e senza scendere a compromessi (il resoconto della sua autodifesa ci è stato tramandato da Platone, in uno degli scritti suoi più belli: L’Apologia di Socrate). Rifiutò di fuggire dalla prigione nella quale era rinchiuse» (persuaso che alle Leggi della città, per quanto ingiuste potessero essere, fosse dovuta obbedienza), e attese con serenità la morte, discutendo di filosofia con alcuni discepoli (nel Critone e nel Fedone, Platone ci ha lasciato appunto la testimonianza viva di queste vicende).
Dopo la morte di Socrate, i suoi discepoli diedero vita a scuole di pensiero diverse, in polemica tra loro circa l’interpretazione più corretta del pensiero del maestro. Oltre all’Accademia, fondata da Platone (cfr. cap. DC, Nbb 1), devono essere qui ricordate la scuola cinica, fondata da Antistene nel IV sec. a.C. e durata fino al IV sec. d.C. (la scuola deriva il suo nome dalla parpla küon, che in greco significa “cane”: nel ginnasio Cinosarge — cioè del “cane agile” — Antistene aveva fondato infatti la sua scuola; ma il nome fa riferimento anche alla vita randagia che i cinici praticavano, come risulta chiaro dalla figura di Diogene di Sinope, che è probabilmente la più significativa della scuola); quella megarica di Euclide (fondata a Megara e sviluppatasi anche in età ellenistica), quella cirenaica di Aristippo (fondata a Cirene, la scuola non ebbe molta fortuna, e in età ellenistica declinò rapidamente, soppiantata da quella epicurea).

Platone

Platone (il cui vero nome era Aristocle: Platone è un soprannome che deriva da platòs, che in greco significa “ampio, largo, esteso”) fu il più importante tra i discepoli di Socrate e, probabilmente, quello che meglio riuscì a cogliere lo spirito autentico del filosofare socratico. Nacque ad Atene, da una famiglia ricca e aristocratica e, come egli stesso ci narra in un passo della Lettera VII (324b [per la numerazione delle pagine dei testi platonici cfr. più sotto]), fu presto interessato alla vita politica della sua città. Le concrete vicende politiche ateniesi (e, in particolare, il processo e la condanna a morte di Socrate), fecero sì, tuttavia, che Platone sviluppasse una sorta di disgusto per il modo in cui veniva condotta l’attività politica e di governo e per la corruzione che l’accompagnava: «Indotto di nuovo a riflessione su queste vicende, su chi si occupa di politica, su le leggi, su la morale in genere, quanto più passava il tempo e andavo avanti nell’età facendo di queste considerazioni, tanto più mi sembrava difficile riuscire a far qualcosa con la politica. […] Compresi, infine, che tutte quante le città di allora si trovavano ad essere malamente governate […], e fui costretto a limitarmi a fare gli elogi della retta filosofia, come quella da cui sola può venire la capacità di scorgere ciò che è giusto nella vita pubblica e in quella privata; mai le generazioni degli uomini avrebbero potuto liberarsi dai mali, fino a che o non fossero giunti ai vertici del potere politico i filosofi veri e schietti, o i governanti della città non diventassero, per un destino divino, filosofi» (Lettera VII, 325c-326b, tr. it. in Platone, Lettere, Rizzoli; Milano 1986, pp, 143–147). Nacque così il progetto, articolato nelle pagine della Repubblica, di una città giusta, governata dai filosofi, che Platone tentò anche, senza successo, di attuare concretamente presso la corte del tiranno Dionigi di Siracusa. Dopo la morte di Socrate (399 a.G.) Platone aveva infatti abbandonato Atene, così come avevano fatto là maggior parte dei suoi condiscepoli (con l’eccezione di Antistene). Fu per qualche tempo a Megara ospite di Euclide; poi a Cirene, ospite del matematico Teodoro; quindi in Italia, presso i pitagorici; e in Egitto. La Lettera VII tace dei viaggi a Cirene e in Egitto, ma conferma esplicitamente (326b sgg.) il viaggio in Italia (e parla anche di viaggi successivi, ancora in Italia, svoltisi nel 367 e nel 361 a.C.). Fu durante questo viaggio, fatto probabilmente per conoscere i pitagorici, che Platone conobbe Dionigi di Siracusa (col quale i rapporti divennero presto difficili), e il suo parente Dione, nel quale Platone credette, erroneamente, di trovare quel filosofo-re del quale abbiamo detto poc’anzi. Tornato ad Atene dal primo viaggio in Sicilia, Platone fondò una scuola (l’Accademia, così chiamata perché situata nei pressi dei giardini dedicati all’eroe Accademo), che divenne una vera e propria istituzione, all’interno della quale la filosofia platonica venne conservata e rielaborata per secoli (gli storici distinguono, nella storia dell’Accademia platonica, tre fasi successive: l’Antica Accademia, composta dai platonici che furono direttamente discepoli del maestro, dal 387 al 264 a.C. circa; la Media Accademia, da Arcesilao di Pitane, IV-III sec. a.C., a Cameade di Cirene, III-II sec. a.C., di orientamento scettico; la Nuova Accademia, II-I sec. a.C., iniziata da Filone di Larissa). Le opere di Platone ci sono pervenute per intero. Sono trentasei scritti, che già gli antichi avevano suddiviso in nove tetralogie che riuniscono opere tematicamente affini:
1) Eutifrone (o della santità), Apologia di Socrate, Critone (o del dovere), Fedone (o dell’anima).
2) Cratilo (o della correttezza dei nomi), Teeteto (o della conoscenza), Sofista (o dell’essere). Politico (o dell’arte di governare).
3) Parmenide (o delle Idee), Filebo (o del piacere), Simposio (o del bene), Fedro (o della bellezza).
4) Alcibiade maggiore (o della natura dell’uomo), Alcibiade minore (o della preghiera), Ipparco (o dell’avidità di guadagno), Gli amanti (o della filosofia),
5) Teagete (o della sapienza), Carmide lo della temperanza), Lachete (o della fortezza), Liside (o dell’amicizia).
6) Eutidemo (o dell’eristica), Protagora (o dei sofisti), Gorgia (o della retorica), Menone (o della virtù).
7) Ippia maggiore lo del bello), Ippiaminore (o della falsità), Ione (o sull’Iliade), Menesseno.
8) Clitofonte (o Protrettico), Repubblica (o della giustizia), Timeo (o della natura), Crizia (o sull’Atlantide).
9) Minosse (o della legge), Leggi (o della legislazione), Epinomide (o filosofo), Lettere.
Le edizioni moderne degli scritti platonici fanno riferimento alla paginazione della prima edizione critica, quella di Enrico Stephanus (Parigi 1578). Ogni pagina di questa edizione è suddivisa in cinque paragrafi, che vengono indicati con le prime cinque lettere dell’alfabeto. Nelle edizioni scientifiche degli scritti platonici vengono riprodotti in margine il numero della pagina e la lettera corrispondente al paragrafo (e, eventualmente, la riga) cui il passo si riferisce (Simposio, 192e, per esempio, significa che il passo in questione si trova a p. 192 dell’edizione Stephanus nel quinto paragrafo).

Aristotele

Nato a Stagira, Aristotele era figlio del medico Nicomaco, che lavorava al servizio del re Aminta di Macedonia, padre di Filippo il Macedone (intorno al 343–342 a.C., Filippo chiamerà a corte Aristotele, per affidargli l’educazione del figlio tredicenne, Alessandro). Diciottenne, Aristotele si recò ad Atene, ed entrò quasi subito nell’Accademia di Platone, dove rimase per vent’anni, abbandonandola soltanto alla morte del maestro. Dopo il 347, Aristotele lasciò Atene e si recò in Asia Minore (dapprima ad Asso, poi a Mitilene), per passare poi, come s’è accennato, alla corte di Filippo il Macedone, nella quale rimase, forse, fino a quando Alessandro divenne re (335). Tornato ad Atene, Aristotele aprì una scuola (il “Liceo” — dal nome del tempio, dedicato ad Apollo Licio, che sorgeva vicino ai locali della scuola -, o “Peripato” — dall’abitudine aristotelica di insegnare passeggiando nel giardino della scuola [peripatos, in greco, significa appunto “passeggiata”]). Poco prima di morire, Aristotele fu costretto all’esilio dal partito antimacedone, affermatosi ad Atene dopo la morte di Alessandro Magno, che non approvava il fatto che lo Stagirita fosse stato maestro del Macedone.
Le opere di Aristotele sono suddivise in due gruppi: gli scritti essoterici (destinati al pubblico; la parola è costruita sul greco éxo, che significa “fuori”) e quelli esoterici o acroamatici (non destinati al pubblico, bensì solo ai discepoli della scuola; “esoterico” è costruito sul greco èro, che significa “dentro”, mentre “acroamatico” deriva dal verbo àkroàmai che significa “ascoltare”, e indica appunto l’insegnamento destinato agli ascoltatori di Aristotele all’interno della scuola). Gli scritti essoterici sono andati perduti pressoché per intero (restano solo alcuni frammenti), mentre ci è pervenuta la maggior parte delle opere esoteriche, così ordinate, verso la metà del I sec. a.C., da Andronico di Rodi:
1) Organon (titolo Collettivo per l’insieme degli scritti logici: Categoria, De Interpretatione, Analitici primi, Analitici secondi, Topici,
2) Opere di filosofia naturale: Fisica, Il cielo, La generazione e la corruzione, La meteorologia, Storia degli animali, Le parti degli animali, Il moto degli animali, La generazione degli animali, ecc.
3) Opere di psicologia (connesse alle precedenti, in quanto Aristotele considera lo studio dell’anima, oggetto della psicologia, come parte della fisica): De anima, Parva naturalia.
4) La Metafisica, probabilmente l’opera più celebre di Aristotele, suddivisa in quattordici libri.
5) Opere di filosofia morale e politica: Etica Nicomachea, Grande Etica, Etica Eudemia, Politica.
6) Poetica
e Retorica.
L’edizione di riferimento per la citazione delle opere di Aristotele è quella dell’Accademia delle Scienze di Berlino curata da I. Bekker (Reimer, Berlino 1831–1870, 5 voll.; il testo greco delle opere aristoteliche si trova nei primi due volumi; una ristampa è stata curata da O. Gigon, De Gruyter, Berlino 1960–1961). Le pagine dei volumi contenenti il testo greco sono stampate su due colonne, che vengono indicate con le lettere a (per la colonna di sinistra) e b (per quella di destra). Per esempio: Categorie, 13a5 indica che il passo in questione si trova alla quinta riga della prima colonna della tredicesima pagina dell’edizione suddetta. Questa numerazione viene riprodotta in margine a tutte le edizioni scientifiche degli scritti aristotelici.

Epicuro

Nato a Samo (dove il padre, ateniese, si era stabilito come colono), Epicuro si recò diciottenne ad Atene, dove forse poté assistere alle lezioni dell’Accademia platonica (l’influsso decisivo per la sua dottrina, tuttavia, gli venne dall’incontro con l’atomismo democriteo). Dopo un non lungo soggiorno ateniese, Epicuro fu a Colofone, a Mitilene, a Lampsaco, prima di stabilirsi definitivamente ad Atene (305 a.C.) dove aprì una scuola (chiamata il “Giardino” poiché l’edificio nel quale era collocata era circondato appunto da un ampio appezzamento di terreno).

Zenone di Cizio

Fondatore della scuola stoica fu Zenone di Cizio, giunto ad Atene dalla nativa Cipro intorno al 300 a.C. La scuola stoica prende il nome dal Portico (in greco Stoà) nelle vicinanze del quale si trovava, ed è per solito suddivisa dagli storici del pensiero in tre fasi successive: l’Antica Stoà (IV-II sec. a.C.), la Media Stoà (II-I sec. a.C.), e la Nuova Stoà (I-III sec. d.C.). A fondare e a consolidare la dottrina stoica furono gli stoici antichi (oltre a Zenone vanno ricordati almeno Cleante di Asso e Crisippo di Soli), mentre la Media e Nuova Stoà mutarono l’originaria dottrina della scuola aprendosi a posizioni eclettiche (Media Stoà), ciniche e medio-platoniche (Nuova Stoà).

Pirrone di Elide

Iniziatore dello scetticismo è considerato Pirrone di Elide che, pur non fondando una vera e propria scuola filosofica (forse perché influenzato dall’atteggiamento di Socrate, dato che aveva avuto come maestri alcuni filosofi delle scuole socratiche), diede tuttavia inizio ad un atteggiamento di pensiero destinato ad avere un’ampia risonanza non solo nell’antichità classica. Si sa che Pirrone seguì Alessandro Magno nella spedizione in India del 334–324 a.C., venendo così direttamente in contatto con la sapienza indiana dalla quale, sembra, fu fortemente colpito. Come Socrate, Pirrone non scrisse alcunché (tranne un poema in onore di Alessandro Magno), ma il suo allievo Timone di Fliunte raccolse per iscritto il suo insegnamento, diventando una fonte importantissima per la ricostruzione della personalità e della dottrina del maestro. La storia dello scetticismo viene per solito suddivisa in tre fasi successive: quella iniziale del pirronismo (risalente appunto a Pirrone e a Timone di Fliunte, sviluppatasi tra il IV e il III sec. a.C.); quella neoaccademica (sviluppata appunto dall’Accademia platonica tra il III e il II sec. a.C., nel periodo di Arcesilao e di Cameade); e quella neoscettica (dalla seconda metà del I sec. a.C. all’inizio del III sec. d.C.), che cercò di recuperare lo spirito autentico del pirronismo originario, in polemica con la degenerazione che esso aveva subito all’interno dell’Accademia; di quest’ultima fase dello scetticismo sono protagonisti Enesidemo di Cnosso (impegnato nella riformulazione della dottrina pirroniana) e Sesto Empirico, i cui scritti ci sono giunti per intero e che è la fonte più importante per la ricostruzione dello scetticismo classico.

Plotino

È grazie al discepolo Porfirio (223–305) che possiamo ricostruire la biografia di Plotino. Porfirio, infatti, oltre a riunire, per incarico dello stesso Plotino, gli scritti del maestro nelle Enneadi (cioè libri composti di nove parti ciascuno, che riuniscono insieme scritti tematicamente affini), scrisse una Vita di Plotino che è la fonte principale per la ricostruzione delle vicende biografiche del filosofo di Licopoli. Plotino iniziò la sua formazione filosofica ad Alessandria, seguendo le lezioni del platonico Ammonio Sacca (175–242); trentacinquenne, seguì l’esercito imperiale in una spedizione in Oriente, che intendeva ripercorrere i passi di Alessandro Magno. Dopo il fallimento della spedizione, giunse a Roma (244), dove fondò una scuola filosofica, fortemente permeata di esigenze mistico-religiose, e dove scrisse i suoi trattati. Tra i discepoli di Plotino, oltre al già ricordato Porfirio, vanno ricordati Giamblico di Calcide (250–326), Giuliano l’Apostata (332–363) e Proclo di Atene (410–485).

Patristica

Con il nome di Patristica si indica la filosofia cristiana dei primi secoli, caratterizzata dal pensiero dei Padri della Chiesa. Si tratta di una categoria storiografica forse un po’ riduttiva, stante che i secoli in cui la Patristica si è sviluppata (dal I alI’VIII) sono stati caratterizzati da una cultura complessa e articolata, ricca di espressioni non completamente riducibili alle posizioni dei Padri, quando non addirittura da esse divergenti. Avvertiti di ciò, possiamo tuttavia continuare ad usare la categoria storiografica tradizionale, che rende pur sempre efficacemente il senso della predominanza, sulle altre espressioni culturali, della posizione dei Padri della Chiesa, impegnati nella complessa opera di elaborazione dottrinale delle credenze religiose del cristianesimo e nella non facile opera di difesa di esse contro gli attacchi di pagani e di eretici. Solitamente la Patristica viene suddivisa in tre periodi: 1) quello dedicato alla difesa della dottrina cristiana contro gli attacchi dei pagani e degli gnostici (I-II sec.); 2) quello dedicato alla formulazione dottrinale e dogmatica del cristianesimo (II-V sec.); 3) quello dedicato alla sistemazione e alla rielaborazione delle dottrine già consolidate (V-VIII sec.). Al primo periodo appartengono, tra gli altri, filosofi come Giustino, Taziano l’Assiro, Atenagora di Atene, Teofilo di Antiochia, Ireneo, Tertulliano, Cipriano, Lattanzio; al secondo Clemente Alessandrino, Origene, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa e, soprattutto, sant’Agostino; al terzo lo Pseudo Dionigi, Massimo il Confessore, Giovanni Damasceno, Severino Boezio, Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile.

Scolastica

Scolastica è parola che designa globalmente la cultura filosofico-scientifica del Medioevo, elaborata, per la maggior parte, nelle scuole ecclesiastiche, incentrata, principalmente, su questioni di carattere teologico e impegnata ad individuare possibili modi di conciliazione o di prossimità tra fede cristiana e pensiero filosofico. Dal VI al XIV secolo, infatti, la storia della filosofia è dominata da pensatori cristiani, impegnati, in modi diversi ma spesso convergenti, in un’opera di elaborazione concettuale dei contenuti della fede e di confronto tra i contenuti della fede religiosa e quelli della conoscenza filosofica. Si è soliti dividere l’epoca della Scolastica medioevale in tre periodi: la prima Scolastica (VI-XII sec.), alla quale appartengono pensatori come Severino Boezio, Giovanni Scoto Eriugena, Anseimo d’Aosta, Pietro Abelardo; l’età aurea della Scolastica (XIII sec.), che trova nelle Università il centro maggiore di elaborazione dottrinale e che è dominata da personalità comequella di Bonaventura da Bagnoregio, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Duns Scoto; la tarda Scolastica(XIV sec.), alla quale appartiene, tra gli altri, Guglielmo di Ockham.

Agostino

Agostino di Tagaste (la sua città natale) o d’Ippona (la città nella quale nel 396, fu consacrato vescovo) è la: personalità filosoficamente più importante della Patristica. cristiana. Dopo un’iniziale adesione al manicheismo maturò una profonda conversione al cristianesimo, della quale sono testimonianza diretta molte pagine delle Confessioni, una sorta di autobiografia spirituale scritta nel 400. Oltre alle Confessioni, e ai numerosi scritti dedicati alla lotta contro gli eretici (Contra Manicheos, De libero arbitrio, De natura et gratia contra Pelagium, De praedestinatione, ecc.), vanno ricordate, tra le sue opere, almeno le seguenti: il Contra Academicos, nel quale è svolta una critica al dubbio scettico che anticipa la posizione cartesiana; i Soliloquia (composti all’inizio del 387), dove Agostino sviluppa, emblematicamente, un dialogo tra sé stesso e la Ragione, intorno ad argomenti fondamentali della fede (sottolineando così, programmaticamente, la volontà di unire l’opera della fede e quella della ragione); il De vita beata e il De immortalitate animae, dove è sostenuta la tesi che l’anima ritrova al proprio interno quella verità che Dio ha posto in essa; il De magistro (389), nel quale è “socraticamente” descritto il rapporto spirituale che deve legare maestro e discepolo; il De vera religione (389–391), autentica sintesi dell’opera della ragione e di quella della fede; il De dottrina christiana (397), che contiene una rivalutazione della classicità, vista come base possibile per la filosofia cristiana; il De civitate Dei(413–426), ispirata dal sacco di Roma compiuto, nel 410, dai Visigoti di Alarico, e incentrata sulla contrapposizione tra la città terrena e la città celeste degli eletti; le Ritrattazioni (427), che contengono alcune risposte agli avversari e alcune correzioni alle tesi sostenute sino a quel momento.

Gnosticismo

Lo gnosticismo ebbe notevole diffusione nei primi secoli del cristianesimo, soprattutto nel II e nel III. “Gnosi”significa, in greco, “conoscenza”: e appunto la conoscenza è, per gli gnostici, condizione indispensabile alla salvezza. Quella gnostica fu anche per questo una vera e propria riflessione filosofica sulla dottrina cristiana, nella quale confluirono temi religiosi, mitici e misterici, oltre che propriamente filosofici, derivati sia dall’Oriente che dall’Occidente. Le sette gnostiche furono numerosissime (e dovettero esistere, probabilmente, sin dall’epoca della predicazione di Cristo). Si distingue, in genere, la gnosi popolare (sviluppatasi e diffusasi in Oriente e a Roma e rappresentata da figure come Carpocrate, Simon Mago, Menandro) da quella dotta(sviluppatasi ad Alessandria e rappresentata da personaggi come Basilide, Valentino, Marcione e Bardesane, nei quali appare primario l’intento speculativo). Fu soprattutto quest’ultima a destare le preoccupazioni e la reazione dei Padri della Chiesa e, in particolare, di Ireneo, di Ippolito, di Tertulliano e di Clemente Alessandrino. Un tentativo di confutazione dello gnosticismo si trova anche nelle Enneadi di Piotino (cfr. cap. XIII).

Manicheismo

Il manicheismo, fondato dal principe persiano Mani (216–277), si basa sulla compresenza di due principini conflitto tra loro: quello benefico della Luce e quello malefico delle Tenebre. Contro l’eresia manichea si impegnò soprattutto, dopo un’iniziale adesione ad essa, Agostino, combattendola in numerosissimi scritti.

Anselmo

Anselmo, nato ad Aosta nel 1033, fu dapprima abate nel monastero del Bec (Normandia), poi arcivescovo di Canterbury (dal 1093 alla morte, avvenuta nel 1109). Il suo nome è legato all’elaborazione del cosiddetto argomento ontologico per la dimostrazione dell’esistenza di Dio, sviluppato nel Proslogion. Oltre ad esso, i suoi scritti filosofici di maggiore rilievo sono il Monologion — nel quale sono elaborati altri argomenti (a posteriori) per la dimostrazione dell’esistenza di Dio il De ventate e il De grammatico, due scritti di carattere primariamente logico.

Tommaso d’Aquino

Tommaso d’Aquino, nacque nel castello di Roccasecca (nei pressi-di Frosinone) intorno al 1220 (la data esatta non è nota, ma è probabile che si tratti del 1225 o comunque di un anno compreso tra il 1220 e il 1227) e studiò dapprima presso l’Università di Napoli (di impostazione aristotelica), poi a Parigi, infine a Colonia, dal 1248 al 1252, sotto la guida di Alberto Magno (1205–1280). Dal 1252 Tommaso fu nuovamente a Parigi, dove insegnò come baccelliere (un incarico accademico che precedeva la laurea e il dottorato, in forza del quale svolse letture dapprima della Scrittura, poi dei Libri quattuor sententiarum di Pietro Lombardo (1095–1160) — un’opera nella quale erano sistematicamente raccolte le tesi dei più prestigiosi maestri della storia del cristianesimo, e che, proprio per la sua sistematicità e per la sua completezza, era usata come libro di testo nelle facoltà teologiche tra il XIII e il XVI secolo, sino a che non venne sostituita proprio dalla Summa theologica di Tommaso d’Aquino). Dal 1259 al 1268 Tommaso fu nuovamente in Italia, dove compose o iniziò a comporre la maggior parte delle sue opere maggiori. Dall’Italia ripartì verso la fine del ’68, per rientrare a Parigi, dove rimase sino al 1272: un periodo estremamente fecondo per la sua produzione filosofico-teologica, nel quale — tra le altre cose — Tommaso polemizzò apertamente contro averroisti e agostiniani. Nel 1272 fu a Napoli, chiamatovi come direttore dello Studium generale, e vi restò sino al 1274, quando venne chiamato a partecipare al Concilio di Lione: fu appunto durante il viaggio che avrebbe dovuto condurlo nella città francese che Tommaso si ammalò e morì, nell’Abbazia di Fossanova, nei pressi di Latina.
Le opere di Tommaso sono numerosissime, e sono diventate un punto di riferimento dottrinario imprescindibile per la Chiesa cattolica. Il suo capolavoro è la Summa theologica (iniziata probabilmente durante il soggiorno romano del 1265–67, proseguita a Parigi e rimasta incompiuta nella terza parte), ma vanno ricordate anche la Summa contra Gentiles; i commentari alle opere di Aristotele, al De Trinitate di Boezio, alle Sentenze di Pietro Lombardo, alle Lettere di San Paolo; le Quaestiones quodlibetales; il De unitate intellects contra Averroistas; il De ente et essentia; le numerose Quaestiones disputatae.

Averroè

Averroè (Ibn Rushd, 1126–1198) è il più noto filosofo arabo, autore di opere originali di medicina, diritto e filosofia (Sulla possibilità della congiunzione fra l’intelletto materiale e l’intelletto separato, la Soluzione al problema: eternità o creazione del mondo, la Sentenza risolutiva intorno al modo in cui la filosofia è unita alla religione, ecc.), ma celebre in Occidente soprattutto per i suoi commentari ai testi aristotelici: il Grande Commento (che segue passo passo il testo aristotelico), il Medio Commento (dove i temi aristotelici sono esposti sinteticamente e discussi), e il Piccolo Commento o parafrasi (che riespone, in forma più semplice, gli scritti di Aristotele).
Fu proprio grazie all’opera di Averroè (e, più in generale, della cultura araba) che l’Occidente rientrò in possesso, a partire dal XII sec., del patrimonio fondamentale della cultura greca. Da un lato, infatti, l’Occidente, dopo che Giustiniano ebbe decretato la chiusura delle scuole filosofiche pagane (529), aveva visto la cultura filosofica indirizzarsi verso Oriente, e aveva serbato memoria di pochi testi della grecità classica; dall’altro e per questo gli Arabi si trovarono presto a contatto con numerosi testi della cultura (non solo filosofica) greca, che assimilarono e tradussero nella loro lingua.

Avicenna e altri filosofi arabi

Oltre ad Averroè è necessario ricordare il persiano Avicenna (Ibn-Sinà, 980–1037), che insieme a quello costituisce il punto più alto raggiunto dalla filosofia araba. Tra i suoi scritti: il Canone di medicina, il Libro della guarigione, il Libro della Calvezza. E inoltre: Al-Kindi (IX sec.), autore di uno scritto Sull’intelletto, Al-Fafabi (X sec.), autore di uno scritto sulla Concordanza tra Platone e Aristotele, Al-Ghazali (1058–1111), autore del libro L’incoerenza dei filosofi (al quale replicò Averroè con L’incoerenza dell’incoerenza dei filosofi) e de La vivificazione delle scienze religiose. Minore rilievo hanno le figure di Avempace (1070–1138) e Abubacer (1110- 1184).

Duns Scoto

Il francescano Giovanni Duns Scoto (così chiamato perché originario della Scozia) si formò intellettualmente nelle Università di Oxford e di Parigi — nelle quali fu anche insegnante di teologia: nel 1300–1301 a Oxford, dal 1305 al 1307 a Parigi; in quest’anno fu inviato, per dissensi politici (aveva rifiutato di aderire alla richiesta di un concilio che giudicasse l’operato di Bonifacio VIII), a Colonia, dove rimase fino alla morte, avvenuta l’anno seguente. Soprannominato “doctor subtilis” per le sue straordinarie capacità intellettuali, Duns Scoto tentò, con la sua opera, di fondere aristotelismo e agostinismo, allo scopo di costruire un nuovo accordo tra conoscenza razionale e fede religiosa. Uno sforzo profondo, documentato da un’imponente massa di scritti, tra i quali ricordiamo quelli di logica (con i commenti, tra gli altri, al De interpretatione e agli Elenchi sofistici di Aristotele) e quelli di teologia e di metafisica (tra i quali spiccano il cosiddetto Opus Oxoniense, i Reportata parisiensa, il commento alle Sentenze di Pietro Lombardo).

Guglielmo di Ockham

Guglielmo di Ockham, frate francescano, studiò all’Università di Oxford, conseguendo il titolo di Baccalaureus sententiarum (nel 1318) e quello di Baccalaureus formatus (nel 1320). Nel 1324 si trasferì ad Avignone, convocato dal pontefice Giovanni XXII, per rispondere all’accusa di eresia che gli era stata mossa da Giovanni Lutterell, cancelliere di Oxford. Da Avignone Ockham fuggì nel 1328, insieme al generale dell’ordine francescano, Michele da Cesena, e ad altri confratelli che condividevano il loro ideale di povertà evangelica, nettamente in contrasto con l’interpretazione che, di essa, dava il pontefice. Raggiunse Pisa, allora quartier generale di Ludovico il Bavaro, al seguito del quale Ockham si stabilirà più tardi (1330) a Monaco di Baviera, la città nella quale rimarrà sino alla morte (1349). Tra i suoi scritti maggiori ricordiamo la Summa Totius Logicae.

Martin Lutero

Martin Lutero (1483–1546) fu l’iniziatore e uno dei massimi esponenti della Riforma protestante. Di origine contadina, Lutero divenne monaco agostiniano e fu, dopo il 1510, priore del convento di Wittenberg. Proprio a Wittenberg, nel 1517, pubblicò le celebri «95 tesi», dirette contro la pratica ecclesiastica della vendita delle indulgenze e che costituiscono, in qualche misura, il punto di partenza della Riforma. Il distacco esplicito dalla Chiesa romana avviene con tre scritti composti nel 1520: Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca, Per la riforma del ceto cristiano, Sulla cattività babilonese della Chiesa, Sulla libertà cristiana. Invitato dal pontefice e dall’imperatore Carlo V a discolparsi, Lutero mantenne un atteggiamento intransigente, rifiutando.si di ritrattare alcunché e non retrocedendo né di fronte alla scomunica papale, né di fronte alla condanna imperiale (Dieta di Worms, 1521). Dopo la condanna di Worms, Federico il Savio simulò il rapimento di Lutero, allo scopo di sottrarlo all’ arresto. Lutero fu condotto al castello di Wartburg, dove rimase oltre un anno e dove, oltre alla stesura di altri scritti polemici, si dedicò alla traduzione della Bibbia in tedesco. Il luteranesimo si diffuse rapidamente, acquisendo presto anche importanti implicazioni politiche (la rivolta dei cavalieri Sickingen e Hutten, la rivolta dei contadini).

Ulrico Zwingli

Quello di Lutero non fu comunque l’unico movimento di Riforma: Ulrico Zwingli (1484–1531) operò in Svizzera, assimilando la lezione luterana ma restando maggiormente legato alla cultura umanistica (Lutero aveva duramente criticato, nel De servo arbitrio, le tesi di Erasmo da Rotterdam, 1466–1536, uno dei maggiori esponenti della cultura dell’epoca).

Giovanni Calvino

E ancora in Svizzera operò il francese Giovanni Calvino (1509–1564), che radicalizzò alcuni aspetti della religione luterana e instaurò a Ginevra una sorta di vero e proprio Stato confessionale.

Meister Eckhart

Meister Eckhart — probabilmente il maggiore tra i mistici tedeschi del Medioevo — appartenne all’ordine domenicano. Studiò e insegnò a Parigi, per passare poi allo Studium generale di Colonia (1322). Proprio a Colonia subì, nel 1326, un processo per eresia, durante il quale replicò alle accuse con alcuni scritti e con un appello al pontefice. Il processo si concluse soltanto dopo la morte di Eckhart, e nel 1329 Giovanni XXII condannò alcune proposizioni contenute nei suoi scritti.

Da Emanule Severino, La filosofia del greci al nostro tempo. La filosofia antica e medievale, Garzanti, Milano, 2004

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.