Pagaiando con Pitagora

di Paolo Manca

Mario Mancini
7 min readJul 16, 2021

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Piet Mondrian, “Il Teorema di Pitagora”, Mathematisch Instituut voor Hedendaagse Kunst, Universiteit Leiden, Naturalmente è un fake fatto con Adobe Photoshop.

Pagaiando lungo le coste elbane

Il “nirvana” è il mio surfski in carbonio: pesa 15 chili ed è lungo 580 centimetri. Anche la pagaia è in carbonio e costa troppo ma si vive così poco che qualche soddisfazione bisogna concedersela.

Pagaiando dunque sul “nirvana” lungo le coste elbane, la mia mente corre alla millenaria storia di questa piccola isola e, per associazione, al ruolo delle civiltà nate nelle isole del Mediterraneo, alla meraviglia della Grecia e della Magna Grecia (Μεγάλη ῾Ελλάς) e a superuomini che hanno donato all’umanità lo spirito della curiosità e della ragione e quindi la filosofia, la poesia, il teatro, la musica, la matematica.

È con questi pensieri che ieri, pagaiando pagaiando, mi è parso di scorgere lontano, in piedi su una tavola (stand up paddle surf), la sagoma del grande Pitagora.

Mi è sovvenuto l’eterno e quel suo dannato teorema.

Quel dannato teorema

Come noto l’enunciato del teorema afferma che un triangolo è rettangolo se e solo se l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è pari alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti.

Per cui, detti a e b i cateti e c l’ipotenusa, risulta (1):

Quello che modernamente conosciamo come teorema di Pitagora era già noto nell’enunciato ai Babilonesi, era conosciuto anche in Cina e sicuramente in India, come dimostrano molte scritture fra cui lo Yuktibhāṣā e gli Śulbasūtra che risalgono al VIII secolo a.C.

Elisha Scott Loomis , nel suo libro ThePythagorean Proposition (1927), elenca ben 371 differenti dimostrazioni del teorema.

La prima dannata conseguenza

Dunque un teorema importante, ma più importanti ancora sono alcune conseguenze che hanno travalicato ampiamente il campo della matematica (a prescindere da tutti gli allievi bocciati nei secoli).

Se consideriamo un triangolo rettangolo i cui cateti siano pari ad 1, in base alla (1) avremo:

cioè: c al quadrato uguale 2
e, quindi: c = √2 = (“radice di 2”).

Come dire che la diagonale di un quadrato di lato unitario misura √2.

Ora se ci fossero due numeri interi m ed n per cui vale la proprietà:
(2) m/n = √2
potremmo affermare che esiste un sottomultiplo del lato del quadrato (pari ad 1/n) contenuto esattamente m volte nella diagonale.

Ma purtroppo m ed n non esistono1 e ciò significa che comunque piccolo si prenda un sottomultiplo del cateto (ovvero il lato del quadrato) non sarà possibile misurare con esso l’ipotenusa (ovvero la diagonale del quadrato).

Dunque, a causa di Pitagora, accade che √2 sia la misura dell’ipotenusa ma, al tempo stesso, che non esista nessuna coppia di interi per i quali risulti:

m/n = √2. (Rileggete… se avete del coraggio).

Per i pitagorici, seguendo anche l’idea atomica di Democrito (e di Leucippo e di Anassagora)2, la materia era costituita da corpuscoli uguali fra loro, diremmo oggi punti-atomi, e questi punti materiali indivisibili erano le unità fondamentali del mondo fisico.

I pitagorici attribuivano così al punto geometrico una estensione, e ritenevano quindi i segmenti formati da un numero finito di punti: il punto era insomma il sottomultiplo comune di tutti i segmenti e dunque tutti i segmenti dovevano risultare tra loro commensurabili.

Detto in altre parole, il rapporto tra due segmenti doveva corrispondere al rapporto tra i numeri interi che esprimevano quante volte il “punto-atomo” era contenuto in ognuno dei segmenti in questione: il rapporto tra le lunghezze di due segmenti era dunque il rapporto tra il numero intero dei “punti-atomi” contenuti nel primo segmento, ossia m, e il numero intero di ”punti-atomi” contenuti nel secondo segmento, ossia n, cioè un rapporto pari alla frazione m/n, (quella che oggi chiamiamo numero razionale, da “ratio” = frazione).

La scoperta dell’incommensurabilità del lato del quadrato con la diagonale fu sconvolgente per i pitagorici.

Per essi infatti gli elementi e le proprietà dei numeri erano gli elementi costitutivi delle cose e l’universo intero era, sul modello della musica, numero e armonia.

Non per nulla, tramandano le testimonianze, che, per l’armonia e l’ordine che egli vedeva in tutte le cose, Pitagora fu il primo a chiamare l’universo “cosmo”, parola che in greco significava “ordine”.

La seconda dannata conseguenza

Un’altra sconvolgente conseguenza del teorema di Pitagora riguarda la musica.

Come riportato anche da Aristotele, (Metafisica), per i pitagorici tutto era numero e dunque ogni cosa andava riportata al numero, sia la regolarità dei fenomeni naturali sia i suoni.

Nella visione pitagorica la musica aveva un ruolo assai rilevante: rappresentava l’armonia invisibile del mondo e le relazioni tra i suoni imitavano l’evoluzione delle sfere celesti, l’energia dell’anima universale e l’ordine interno di ogni singolo individuo, scintilla sulla terra dell’anima universale.

I pitagorici verificarono che l’armonia musicale è strettamente legata ai rapporti numerici che sussistono tra certe grandezze misurabili sullo strumento che produce i suoni.

Le consonanze fra i suoni furono studiate dai pitagorici analizzando i suoni prodotti dal monocordo, uno strumento costituito da una corda tesa tra due estremi fissi, al di sotto della quale scorre liberamente un ponticello mobile che divide la corda in due segmenti di lunghezza variabile.

Uno schizzo dello strumento monocorde.

Ascoltando il suono prodotto dalle varie porzioni di corda, secondo i pitagorici si otteneva un suono consonante solo quando il rapporto tra le misure di tali porzioni risultava espresso da una frazione costituita dai numeri 1,2,3,4 ,che avevano oltretutto un significato esoterico rilevantissimo3.

Purtroppo accade che dai suoni così ottenuti non è possibile costruire con rapporti semplici la lunghezza da assegnare sul monocordo ai suoni “intermedi”, perché, al solito, ricompare l’incommensurabilità della lunghezza della corda che corrisponde al suono “intermedio”4.

La scoperta viene attribuita ad Archita (Taranto, 428 a.C.-Mattinata, 360 a.C.) che dimostrò che la media geometrica di due interi piccoli successivi non era esprimibile come rapporto tra interi e dunque, relativamente alle conoscenze del tempo, non si poteva trovare.

Sintetizzando: per i pitagorici il numero era la cosa più importante e per questo tutte le proprietà geometriche dovevano venire riportate a proprietà aritmetiche. Dopo la scoperta degli incommensurabili questa identificazione si dimostrò, per loro, impossibile e la geometria venne ad acquisire una superiorità rispetto all’aritmetica e non a caso la geometria (euclidea) segnò il periodo del più rigoglioso sviluppo della matematica greca.

Acqua in bocca

Il disorientamento provocato dalla scoperta degli incommensurabili portò alla proibizione ai membri della setta pitagorica di rivelarla ad altri e la leggenda narra che quando uno dei discepoli, Ippaso da Metaponto, divulgò il segreto, i pitagorici, non potendo confutare l’esistenza degli incommensurabili, fecero annegare Ippaso nel mare di fronte a Crotone.

Ora a me questo Ippaso è sempre apparso simpatico e per saperne di più, pagaiando pagaiando, ho cercato di raggiungere l’uomo sulla tavola, che a mio avviso era Pitagora o un parente stretto, per interrogarlo in merito.

Pagaiava come un dannato e ho dovuto desistere….

Ma se vi capitasse di incontrarlo vi prego avvisatemi: ha la barba, molto abbronzato, con un perizoma succinto, e, non vi potete sbagliare, viaggia sulla tavola pitagorica.

Note

1 La dimostrazione è banale: fidatevi.

2 Il tema va ben oltre le finalità del testo, ma è il caso di notare che i recenti sviluppi della fisica mostrano come lo spazio e il tempo si comportino, a livello subatomico, come grandezze “granulari” e non continue.

3 Nell’Aritmosofia pitagorica:
la Monade (numero 1) rappresenta la Ragione, l’Uno, il principio primo, è considerato impari cioè né pari né dispari e geometricamente rappresenta il punto;
la Diade (numero 2), rappresenta la parte femminile, l’indefinito e illimitato, l’opinione (sempre duplice) e, geometricamente, la linea;
la Triade (numero 3), rappresenta la parte maschile, il definito e limitato e geometricamente il piano;
la Tetrade (numero 4), rappresenta la giustizia in quanto divisibile equamente da entrambe le parti;
la Pentade (numero 5),rappresenta lo sposalizio poiché è la somma della parte femminile (2) e maschile (3), simboleggia la vita e il potere; il pentagramma è il simbolo dei pitagorici;
la Decade (numero 10), è il numero perfetto, la fonte e radice dell’eterna natura perché il 10 “contiene” l’intero universo essendo la somma di 1,2,3 e 4; esso veniva rappresentato con la tetractys, il triangolo equilatero di lato 4, sul quale veniva fatto il giuramento di adesione alla scuola pitagorica.

4 In formule: se f1 ed f2 sono le frequenze dei suoni di partenza, frequenze che sono inversamente proporzionali alla lunghezza del tratto di corda, allora la frequenza del suono intermedio è pari alla radice quadrata del prodotto f1 x f2 : si tratta della media geometrica di f1 ed f2. Per approfondimenti si veda: I temperamenti musicali senza le ucas, di Paolo Manca.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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