L’utopia del linguaggio

di Roland Barthes

Mario Mancini
4 min readNov 22, 2020

Da: Il grado zero della scrittura, Parte seconda

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I ritagli di Matisse: “Grande Décoration aux Masques”, 1953

La moltiplicazione delle scritture è un fatto moderno che costringe lo scrittore a una scelta, fa della forma un comportamento e dà luogo a un’etica della scrittura.

A tutte le dimensioni che già delineavano la creazione letteraria, si aggiunge ora una nuova profondità, in quanto la forma costituisce da sola una sorta di meccanismo parassitario della funzione intellettuale. La scrittura moderna è un vero organismo indipendente che cresce attorno all’operazione letteraria, rabbellisce di un valore estraneo alla sua intenzione, l’impegna continuamente in un duplice modo di esistenza, e al contenuto delle parole sovrappone segni opachi che portano in se stessi un’altra storia, un altro compromesso o redenzione.

In tal modo alla situazione del pensiero si mescola un destino supplementare della forma, spesso divergente, sempre ingombrante.

Ora questa fatalità del segno letterario, che fa sì che uno scrittore non possa tracciare una parola senza assumere l’atteggiamento particolare di un linguaggio già passato di moda, anarchico o imitato che sia, ma comunque convenzionale e inumano, entra in funzione proprio nel momento in cui la Letteratura, volta sempre più a superare la sua condizione di mito borghese, è richiesta dai lavori o dalle testimonianze di un Umanesimo che finalmente ha integrato la Storia nella sua immagine dell’uomo.

Cosi le vecchie categorie letterarie, svuotate nel migliore dei casi del loro contenuto tradizionale, espressione di un’essenza atemporale dell’uomo, non hanno più senso che per una forma specifica, un ordine lessicale o sintattico, in breve un linguaggio: è la scrittura che assorbe ormai l’identità letteraria di un’opera.

Un romanzo di Sartre è romanzo solo per la fedeltà a un dato tono raccontato, del resto intermittente, le cui norme sono state fissate nel corso di tutta una precedente geologia del romanzo; in effetti, non il contenuto del recitativo, ma la sua scrittura, reintegra nel romanzo di Sartre la categoria delle Belle Lettere.

Di più, quando Sartre cerca di infrangere la durata del romanzo, e sdoppia il suo racconto per esprimere l’ubiquità del reale (in Le Sursis), la scrittura narrativa ricompone, al di sopra della simultaneità degli avvenimenti, un tempo unico e omogeneo, quello del Narratore, la cui voce particolare, caratterizzata da accidenti ben riconoscibili, ingombra la rivelazione della Storia di una unità parassita, e dà al romanzo l’ambiguità di una testimonianza forse falsa.

Da ciò si deduce che un capolavoro oggi è impossibile, visto che lo scrittore è messo dalla sua scrittura in una via senza uscita: o l’oggetto della storia è candidamente consegnato alle convenzioni della forma, e la letteratura resta sorda alla nostra Storia presente, e il mito letterario non è superato; o lo scrittore riconosce la larga freschezza del mondo attuale, ma per darne conto dispone solo di una lingua splendida e morta.

Davanti alla pagina bianca, nel momento di scegliere le parole che devono francamente segnalare la sua posizione nella Storia e attestare che egli ne assume i dati, scrittore avverte una tragica disparità tra ciò che fa e ciò che vede; sotto i suoi occhi il mondo civile forma ora una vera Natura, e questa Natura parla, elabora linguaggi vivi da cui lo scrittore è escluso: al contrario, tra le sue mani, la Storia mette uno strumento decorativo e compromettente, una scrittura ereditata da una Storia passata e diversa, di cui egli non è responsabile, ma è la sola di cui possa far uso.

Nasce così una tragicità della scrittura, poiché lo scrittore, ormai cosciente, si deve dibattere contro i segni ancestrali e onnipotenti che dal fondo di un passato estraneo gli impongono la Letteratura come un rituale e non come una riconciliazione.

Cosi, salvo rinunciare alla Letteratura, la soluzione di questa problematica della scrittura non dipende dagli scrittori. Ogni nuovo scrittore apre dentro di sé il processo alla Letteratura; ma se la condanna, le accorda sempre una tregua che la letteratura adopera per riconquistarlo; ha un bel creare un linguaggio libero: se lo ritrova artificioso, perché lusso non è mai innocente; ed è invece il linguaggio raffermo, chiuso dall’enorme spinta di tutti gli uomini che non lo parlano, che egli deve continuare a usare.

C’è dunque una contraddizione di fondo della scrittura, la stessa della società: gli scrittori di oggi la sentono: per essi la ricerca di un non-stile o di uno stile «orale», di un grado zero o grado parlato della scrittura, è insomma l’anticipazione di uno stato assolutamente omogeneo della società; e i più comprendono che non può esserci linguaggio universale senza una concreta, e non più mistica o nominale, universalità del mondo civile.

C’è dunque in ogni scrittura attuale una duplice postulazione: c’è il movimento di una rottura e quello di un avvento, c’è il tracciato stesso di ogni situazione rivoluzionaria, la cui fondamentale ambiguità è che la Rivoluzione deve ben attingere da ciò che vuole distruggere, fino all’immagine di quanto essa vuole conquistare.

Come l’arte moderna nel suo complesso, la scrittura letteraria porta insieme l’alienazione della Storia e il suo sogno. In quanto necessità, essa attesta la frattura dei linguaggi, inseparabile da quella delle classi: in quanto Libertà, essa è la coscienza di questa frattura e lo sforzo stesso che tende a superarla.

Sentendosi costantemente colpevole della propria solitudine, non per questo essa cessa di essere avida immaginazione, di una felicità delle parole; e così si spinge verso un linguaggio sognato la cui freschezza, per una specie di ideale anticipazione, potrebbe rappresentare la perfezione di un nuovo mondo adamitico dove il linguaggio non fosse più alienato.

La moltiplicazione delle scritture istituisce una Letteratura nuova nella misura in cui questa inventi il proprio linguaggio solo per proiettarlo nel futuro: la Letteratura diventa l’Utopia del linguaggio.

Fonte: Roland Barthes, Il grado zero della scrittura, Milano, Lerici editore, 1960, pp. 103–108.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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