L’esperienza nel pensiero di Ockham
di Emanuele Severino
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Anticipatore della filosofia empirista
Il pensiero di Ockham finisce con l’identificare la conoscenza vera alla conoscenza intuitiva, cioè all’esperienza. Ogni ente è dunque separato dagli altri; per esistere ed essere conosciuto non ha bisogno degli altri enti.
La riduzione dell’ambito all’epistéme, già operante nel pensiero di Scoto, viene pertanto radicalmente accentuata da Ockham. Di tale radicale riduzione è espressione significativa lo stesso principio metodologico al quale Ockham costantemente si ispira, il cosiddetto “rasoio di Ockham” per il quale si deve negare l’esistenza di tutti quegli enti che non sono necessariamente richiesti dall’esperienza.
Come in Scoto, anche in Ockham la critica della metafisica, della teologia e della “ragione naturale” non ha l’intento di togliere consistenza alla fede cristiana, minandone le basi “naturali”, ma, all’opposto, ha l’intento di liberare la fede dai limiti e dalle debolezze dell’interpretazione che di essa vien data dalla “ragione naturale”. L’intento è cioè di non compromettere la fede con la ragione umana, troppo esposta alla possibilità dell’errore e troppo sicura delle sue forze.
Ma nello stesso tempo — e daccapo come in Scoto — l’intento di non compromettere la fede spinge Ockham a ridurre la “ragione naturale” a quella sorta di roccaforte inespugnabile in cui consiste l’esperienza in quanto “conoscenza intuitiva” regolata dal principio di non contraddizione. In questo arroccamento nell’esperienza, il pensiero di Ockham si presenta indubbiamente come una singolare anticipazione della filosofia empiristica, che qualche secolo dopo si svilupperà nella stessa patria di Ockham.
D’altra parte, per questo pensatore, la negazione di ogni struttura immutabile affermata dall’epistéme, equivale all’affermazione della assoluta libertà e potenza di Dio — un’affermazione, dunque, che, procedendo nella direzione indicata da Scoto, ha una funzione centrale nel pensiero di Ockham. Proprio perché Dio è potenza assolutamente libera, non esiste nella realtà alcuna struttura immutabile che vincoli l’azione di Dio. Il principio cristiano della libertà onnipotente di Dio svolge cioè un ruolo decisivo nel processo che, lungo i secoli, porterà l’epistéme al tramonto.
Ockham e il pensiero contemporaneo
Per la cultura contemporanea, il mondo è qualcosa che deve essere inventato prodotto, trasformato. L’uomo non intende più adeguarsi ad un Ordinamento eterno che prestabilisce una volta per tutte il corso e il senso dell’esistenza, ma diventa il produttore di tutti gli ordinamenti e li sovverte di continuo. L’adeguarsi a un Ordine eterno, pietra di paragone di ogni modo di vivere, è invece la caratteristica essenziale della tradizione dell’Occidente.
Ma il percorso dalla tradizione all’età moderna non è rettilineo: è un saliscendi, che complessivamente si porta ad una quota diversa, ma dove il tratto specifico della cultura attuale si trova già preannunciato nella tradizione più antica, e dove l’essenza di quest’ultima, la conformità all’Ordine eterno, si ripresenta a sua volta nelle forme più avanzate della cultura attuale. Può così accadere che Ockham, frate francescano e filosofo medioevale, si trovi in sintonia con l’anima dell’Occidente moderno in modo più profondo di tante forme di pensiero apparse in seguito nella storia europea.
Il nostro tempo vuole liberare il divenire degli uomini e della natura: liberazione da ogni ordine eterno — teologico, metafisico, politico, economico — che pretenda dominare il divenire e che finisce poi col renderlo apparente, vanificandolo. Oggi, per lo più, si vede in Dio il prototipo di ogni Ordine eterno. Se e poiché l’uomo è il creatore del suo mondo — avvertirà Nietzsche — non può esistere alcun Dio. Liberare il divenire significa innanzitutto salvare l’uomo dalle pretese di Dio.
In Ockham questo discorso si presenta in modo completamente rovesciato. E tuttavia l’esigenza fondamentale di questo pensatore è proprio quella di liberare il divenire della realtà da ogni Ordinamento presupposto all’esperienza del mondo. Ma per Ockham Dio non è il prototipo degli Ordini eterni che soffocano la libertà del divenire. All’opposto, Dio è la fonte stessa del divenire! pura e libera Volontà che crea ogni ordine e senso della realtà e che quindi non è sottoposta ad alcun ordine e ad alcun senso.
Per Ockham, chi soffoca e rende apparente il divenire non è Dio, ma il falso sapere dell’uomo, quello offerto dalla cultura tradizionale, che ha il suo centro nel pensiero greco. Tale cultura si illude di costruire una Scienza logico-metafisica (l’epistéme) capace di ricondurre la varietà e il libero movimento delle creature all’Ordine unitario e immutabile dell’esistenza.
Ecco perché questo atteggiamento che unifica, domina e livella la varietà del divenire è già presente nel modo in cui la logica e la metafisica tradizionali intendono i loro strumenti: i concetti universali. Anche il concetto universale ha la pretesa di riportare il differenziarsi di un certo insieme di cose ad una unità rigida che funziona come l’Ordine eterno al quale quell’insieme non può sfuggire. Il nemico del divenire non è Dio, ma la Metafisica, cioè la falsa conoscenza di Dio e dell’essere, che ignora l’infinita libertà e potenza creatrice di Dio.
Proprio perché è libero da ogni Ordine e legge, Dio crea ogni cosa del mondo senza dover tener conto delle altre cose: ogni creatura è prodotta isolatamente, assolutamente, libera dalle altre. Poiché Dio è libertà infinita, non esiste tra le cose alcun nesso necessario che debba essere scoperto dalla conoscenza umana.
Ecco perché la vera conoscenza delle creature è, per Ockham, la conoscenza sperimentale intuitiva, notitia experimentais, che lascia le cose nel loro libero isolamento e nella loro pura autonomia. Questa forma di conoscere sta agli antipodi della illusione metafisica di ridurre le cose alla unità di un Ordine eterno, e presenta il tratto caratteristico della scienza moderna, anzi delle forme più avanzate secondo cui la scienza oggi intende sé stessa.
Anche la scienza moderna, infatti, pensa che il mondo sia costituito da un insieme di cose isolate. E anche la scienza moderna giunge a questa convinzione perché non intende sovrapporre al divenire del mondo ordinamenti e leggi immutabili, stabiliti a priori rispetto all’esperienza. Come in Ockham la volontà di salvare l’infinita libertà di Dio; cioè dell’origine stessa del divenire, spinge a considerare la conoscenza come intuizione sperimentale di cose isolate, così la moderna specializzazione scientifica è determinata dalla volontà di salvare il divenire (che certamente ha ormai perduto ogni connotazione teologica) dalle generalizzazioni e dagli apriorismi metafisici che imprigionano in un falso sapere unitario e impediscono all’uomo di raggiungere il vero dominio delle cose.
La povertà e la falsa ricchezza
Ockham è stato un grande difensore della povertà evangelica e francescana contro il papato del tempo. Ma si può dire che in lui la povertà stia alla ricchezza e alla potenza della Chiesa e dello Stato come il libero divenire del mondo sta alle false scienze che lo soffocano con orpelli illusori. La povertà evangelica esprime sul piano etico-religioso quella stessa esigenza che sul piano metodologico è espressa dalla celebre figura del “rasoio”: tagliar via tutto ciò che nel conoscere è sovrabbondante e che offusca lo splendore delle creature equivale a tagliar via, nell’esistenza, tutti i falsi orpelli della ricchezza che nascondono lo splendore della povertà.
Anche le istanze democratiche di Ockham, singolarmente anticipatrici, sono riconducibili a quell’esigenza, giacché il dominio della Chiesa e dello Stato è il corrispettivo, sul piano sociale, della scienza metafisica che si illude di dominare il divenire.
La povertà è l’atteggiamento che lascia libere le cose e il loro corso, e cioè non si illude di dominarle con un falso potere. Ma in cambio ottiene la vera e suprema potenza, perché dei poveri è il regno dei cieli. In questo senso, si può dire che il principio evangelico anticipi l’essenza della coscienza scientifica moderna, orientata a sua volta (sia pure in modi completamente diversi da quelli della fede cristiana) a ottenere il vero potere sulla realtà.
Anche la Riforma protestante — che intende liberare il messaggio evangelico dalla “tradizione” teologico-metafisica e dall’organizzazione autoritaria della vita cristiana da parte della Chiesa — si è trovata in particolare sintonia col pensiero di Ockham — l’unico filosofo in cui Lutero non abbia visto un “sofista”. (Il che non esclude che all’interno della Riforma protestante — d’altronde come in Scoto, nel pensiero filosofico del Rinascimento e in qualche modo, nello stesso Ockham — si sia operata una sorta di ritorno al pensiero filosofico più antico, e che Filippo Melantone, 1497–1565, abbia inteso mostrare la connessione tra i principi di Lutero e la filosofia di Platone e di Aristotele.)
Quando nel mondo contemporaneo si crederà di ravvisare in Dio il prototipo dell’Ordine eterno che soffoca la vita e il divenire dell’uomo; quando il regno dei cieli verrà identificato al dominio scientifico del mondo e in quest’ultimo si vedrà la vera e suprema potenza dell’uomo, tuttavia si continuerà pur sempre a credere che per dominare è necessario spogliarsi della falsa ricchezza del sapere metafisico, è necessario ridursi alla “povertà” dell’intuizione sperimentale delle cose, che ascolta e guarda umilmente come esse si presentano e si sviluppano. La “povertà” che la scienza può vantare rispetto alla metafisica e alle sue grandiose sistemazioni del senso unitario del mondo. La “povertà”, tuttavia, che consente di progettare e realizzare il dominio più radicale e più inquietante della terra.
Da Emanule Severino, La filosofia del greci al nostro tempo. La filosofia antica e medievale, Garzanti, Milano, 2004, pp. 302–307