Les liaison dangereuses degli aspiranti alla Casa Bianca

… ma non troppo

Mario Mancini
10 min readOct 11, 2024

di Stefano Luconi, docente Storia degli Stati Uniti d’America nel dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova

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Marylin Monroe e John F. Kennedy

La recente vicenda della relazione tra Robert F. Kennedy Jr., l’ex candidato indipendente alla Casa Bianca, e Olivia Nuzzi, una reporter del quindicinale “New York”, ha in parte riacceso l’attenzione sull’impatto di adulteri e scandali sessuali nelle campagne elettorali per la presidenza degli Stati Uniti.

La questione dei comportamenti inopportuni nella sfera interpersonale ha colpito in passato alcuni candidati alla Casa Bianca, ma non ha quasi mai affossato le loro aspirazioni a sedersi nello Studio Ovale. Del resto, lo stesso Kennedy, sposato in terze nozze con l’attrice Cheryl Hines dal 2014, aveva sospeso la propria campagna elettorale e appoggiato Trump prima ancora che la rivista “Vanity Fair” diffondesse i particolari dei suoi rapporti con Nuzzi.

Lo aveva fatto per la contrazione dei consensi nei sondaggi e in cambio di una possibile posizione rilevante nell’amministrazione del tycoon nel caso di una vittoria di The Donald, non certo per il profilarsi di un possibile scandalo.

Quest’ultimo, d’altra parte, anziché Kennedy, ha travolto Nuzzi, sospesa dal proprio giornale per avere nascosto l’evidente conflitto di interessi mentre copriva la campagna elettorale.

Thomas Jefferson e la schiava Sally Hemings

L’impiego di rivelazioni piccanti per danneggiare le ambizioni presidenziali dei politici americani risale all’alba della storia degli Stati Uniti. Nel 1802, dalle colonne del “Recorder”, un giornale legato agli ambienti del partito federalista, James Thomas Callender accusò il presidente democratico-repubblicano in carica, Thomas Jefferson, di vivere more uxorio con una delle sue schiave afroamericane, Sally Hemings, e insinuò che con lei avrebbe procreato almeno un figlio.

Jefferson era vedovo e gli stupri delle schiave da parte dei loro padroni erano frequentissimi, ma avvenivano nel segreto delle piantagioni. Rendere di dominio pubblico il rapporto con Hemings era un’iniziativa per imbarazzare Jefferson e impedirgli di conseguire un secondo mandato nelle elezioni del 1804.

Callender, un giornalista prezzolato, aveva già contribuito a sbarrare la strada per la presidenza al segretario al Tesoro di George Washington, Alexander Hamilton, quando nel 1796 gli aveva attribuito un’avventura extraconiugale con una tale Maria Reynolds nonché speculazioni ai danni dell’erario federale in combutta col marito dell’amante.

Invece, l’operazione contro Jefferson mancò il suo obiettivo e il presidente fu confermato con il 73% dei voti grazie alla popolarità ottenuta con l’acquisto del territorio della Louisiana che, nel 1803, aveva raddoppiato la superficie degli Stati Uniti.

Rachel Donelson: quando l’adultera è la moglie

Nella campagna elettorale del 1824 e in quella del 1828 John Quincy Adams accusò Andrew Jackson, suo compagno nel partito democratico-repubblicano ma avversario nella corsa alla presidenza, di essere inadatto a guidare la nazione perché preda di passioni incontenibili e irrefrenabili in quanto la sua libido lo aveva spinto a contrarre matrimonio con una donna ancora sposata, Rachel Donelson.

Per Quincy Adams, se Jackson fosse entrato alla Casa Bianca avrebbe compromesso irreparabilmente l’integrità delle istituzioni. In effetti, quando era convolata a nozze con Jackson, Donelson non aveva ancora ottenuto il divorzio dal primo marito.

I sostenitori di Jackson ribatterono che si sarebbe trattato di una “bigamia inconsapevole”, perché Donelson avrebbe ritenuto in buona fede di essere già stata sciolta da un primo matrimonio che restava invece ancora legalmente valido soltanto a causa della lentezza delle procedure amministrative dell’epoca.

La giustificazione sembrò funzionare almeno in parte. Nel 1824 Jackson ottenne la maggioranza relativa del voto popolare (ma, poiché non raggiunse quella assoluta nel voto elettorale, la scelta del presidente — in uno dei due unici casi in tutta la storia degli Stati Uniti — passò alla Camera dei Rappresentanti che alla fine si espresse in favore di Quincy Adams per ragioni indipendenti dall’adulterio).

Poi, nel 1828, Jackson si prese facilmente la rivincita, nonostante il riaccendersi della polemica sulla bigamia di Donelson.

L’infedeltà di James Garfield e il caso di Grover Cleveland

Nel 1880 il sostegno datogli in pubblico della moglie tradita consentì al repubblicano James Garfield di superare indenne il tentativo di trasformare in uno scandalo politico la relazione extraconiugale che aveva avuto anni prima con una giornalista del “New York Times” appena diciottenne, Lucia Gilbert Calhoun. Garfield riuscì così a farsi eleggere alla presidenza.

Un analogo esito fallimentare ebbero gli sforzi per far deragliare la candidatura alla Casa Bianca del democratico Grover Cleveland nel 1884. La stampa repubblicana denunciò che era il padre di un figlio illegittimo, poi affidato a un orfanotrofio in attesa che una famiglia lo adottasse.

“Mamma, mamma, dov’è il mio papà?” era il leitmotiv che campeggiava nelle vignette, dove un neonato in lacrime veniva allontanato a forza da una figura maschile con i tratti di Cleveland, e con il quale si chiudevano i comizi repubblicani per cercare di danneggiare l’aspirante presidente, stigmatizzando la sua irresponsabilità.

Il partito democratico non smentì mai questa ricostruzione e si limitò a negare che quanto avvenuto potesse configurarsi come un adulterio in base alla constatazione che Cleveland era al tempo scapolo e la sua amante era una vedova. James G. Blaine, l’antagonista repubblicano di Cleveland, era un marito integerrimo, ma aveva fama di essere un politico corrotto.

Così, sia pure di strettissima misura, con il 48,5% dei voti contro il 48,3%, l’elettorato preferì premiare l’integrità dimostrata da Cleveland come amministratore pubblico nelle precedenti funzioni di sindaco di Buffalo e governatore dello Stato di New York, dando minore importanza ai suoi comportamenti non certo immacolati nella vita privata.

L’accortezza di Warren G. Harding

Warren G. Harding, oggi semisconosciuto successore del democratico Woodrow Wilson, ebbe l’acume politico di troncare una relazione extraconiugale con Caroline “Carrie” Phillips, sua amante da quindici anni, subito dopo aver conseguito la nomination repubblicana per la Casa Bianca nel 1920, in modo da disinnescare in anticipo uno scandalo che avrebbe potuto investire la sua campagna elettorale.

Per sicurezza, il partito repubblicano pagò a Phillips una lunga crociera in Asia, in modo da tenerla lontana dagli Stati Uniti fino alle elezioni, e comprò il suo silenzio con una consistente somma di denaro. La corruzione che funestò l’amministrazione di Harding avrebbe comunque fatto dimenticare i suoi adulteri.

L’unica a non scordarsene fu la moglie tradita, Florence Kling, che secondo alcune teorie complottistiche facilmente confutabili lo avrebbe addirittura avvelenato, portandolo alla tomba nel 1923 a metà circa del suo mandato.

Il silenzio su Franklin D. Roosevelt e sui fratelli John F. e Robert F. Kennedy

Nel periodo della depressione economica degli anni Trenta del Novecento e nel corso della seconda guerra mondiale, in particolare in occasione delle campagne elettorali del 1932, 1936, 1940 e 1944, gli Stati Uniti ebbero problemi più seri da affrontare che occuparsi della relazione adulterina che il presidente democratico Franklin D. Roosevelt intratteneva con Lucy Mercer Rutherfurd, l’ex segretaria della moglie Eleanor, fin da quando era stato sottosegretario alla marina militare durante il primo conflitto mondiale. Sebbene Roosevelt fosse morto probabilmente tra le braccia di Mercer nel 1945, nulla trapelò sui media riguardo ai loro rapporti per l’intero arco della sua carriera politica.

Un certo timore reverenziale indusse stampa, radio e televisione a ignorare le innumerevoli amanti del democratico John F. Kennedy, compresa l’attrice Marylin Monroe e la spogliarellista Judith Campbell, le cui grazie condivideva audacemente con mafiosi del calibro di Sam Giancana e John Roselli.

Del resto, per attaccare Kennedy sul piano personale nelle elezioni del 1960 c’era l’imbarazzo della scelta: dall’inesperienza politica alla confessione cattolica in una società dove i protestanti erano ancora la maggioranza, dal padre speculatore d’assalto che era stato tra i pochi uomini d’affari ad arricchirsi durante la depressione, ai legami della famiglia con la criminalità organizzata soprattutto durante il proibizionismo.

Le scappatelle del fratello Robert, senatore dello Stato di New York ed ex procuratore generale, passarono ugualmente sotto silenzio e non condizionarono la sua campagna per la presidenza nel 1968. A fermare Robert furono, invece, i proiettili della calibro 22 di Shiran Shiran, che lo ferirono mortalmente il 5 giugno.

La parziale eccezione di Edward Kennedy

Questa deferenza dei media venne meno nel caso del terzo fratello Kennedy, Edward detto Ted. Però, a stroncarne sul nascere la candidatura alla Casa Bianca nel 1972 non fu tanto la sua ipotetica relazione con Mary Jo Kopechne, una delle segretarie di Robert.

Lo scandalo consistette piuttosto nel fatto che, mentre la riaccompagnava a casa dopo una festa, Edward — probabilmente ubriaco — finì con l’auto in uno stagno e abbandonò precipitosamente il luogo dell’incidente, lasciando che Kopechne affogasse imprigionata tra i rottami del veicolo.

L’affondamento della candidatura di Gary Hart

L’adulterio, invece, mise fine alle ambizioni presidenziali del senatore del Colorado Gary Hart. Dato per favorito per il conseguimento della nomination democratica per la Casa Bianca nel 1988, fu indotto già nel 1987 a ritirare la candidatura in seguito alla pubblicazione delle fotografie, finite in prima pagina sul “National Inquirer”, che attestavano una sua relazione extraconiugale con una modella di nome Donna Rice.

Per colmo d’ironia, era stato Hart a sfidare la stampa a seguirlo nei suoi spostamenti per dargli modo di smentire le voci sulle sue relazioni extraconiugali. Hart tornò in seguito sulla sua decisione iniziale e partecipò egualmente alle primarie.

Tuttavia, il riaccendersi dello scandalo lo spinse a rinunciare definitivamente alla candidatura dopo che negli Stati dove si erano svolte le prime venti consultazioni non era mai stato capace di ottenere più del 2% dei voti.

Bill Clinton, il “donnaiolo in capo”

Nel 1992 Bill Clinton sembrò destinato a una sorte analoga. Alla vigilia delle primarie democratiche, Jennifer Flowers, una cantante di night, dichiarò che il candidato aveva avuto una relazione extraconiugale con lei per dodici anni.

Clinton smentì in modo categorico le sue affermazioni e si presentò mano nella mano con sua moglie Hillary per un’intervista trasmessa dalla rete televisiva CBS subito dopo la seguitissima finale del Super Bowl di football americano.

Hillary si dilungò su quanto amasse e rispettasse il marito, permettendogli di riguadagnare la fiducia di buona parte dell’elettorato e di rimettere in carreggiata la corsa che lo portò a conquistare non solo la nomination democratica ma anche la Casa Bianca.

Due anni dopo Paula Jones intentò causa all’oramai presidente per averla molestata sessualmente quando lui era governatore dell’Arkansas e lei un’impiegata dell’amministrazione dello Stato. Clinton ancora una volta smentì tutto e l’iter giudiziario si trascinò sufficientemente a lungo da non interferire con la sua rielezione nel 1996.

La vicenda di Jones fece da premessa al caso di Monica Lewinsky, la stagista della Casa Bianca con la quale Clinton ebbe un altro affair adulterino. Lo scandalo portò all’impeachment di Clinton per spergiuro, perché aveva dichiarato sotto giuramento di non aver avuto rapporti sessuali con Lewinsky, ma il Senato lo scagionò dall’imputazione di avere mentito e di avere cercato di comprare il silenzio della stagista.

Si fece poi avanti una pletora di altre donne che accusarono il presidente di palpeggiamenti, molestie di vario genere e financo stupri. Tuttavia, a partire dalla relazione tra adulti consenzienti con Lewinsky, tutti questi episodi vennero alla luce durante il suo secondo mandato alla Casa Bianca e, quindi, non ebbero ripercussioni elettorali dirette su Clinton che, in base alla Costituzione, non poteva candidarsi una terza volta alla presidenza.

Paradossalmente, però, le avventure extraconiugali di Bill Clinton si ritorsero contro la moglie, contribuendo alla sua sconfitta nelle elezioni del 2016. Non poche femministe, infatti, si rifiutarono di votare per Hillary, sebbene fosse la prima donna con possibilità concrete di diventare presidente, ascrivendole una mancanza di coscienza di genere e un comportamento opportunistico in quanto era rimasta accanto al marito, malgrado i ripetuti tradimenti e le pubbliche umiliazioni, per sfruttare in seguito l’influenza di Bill nel lanciare una propria carriera politica che avrebbe dovuto condurla alla Casa Bianca.

Joe Biden e Donald Trump

Alle insinuazioni di aver avuto comportamenti inappropriati con alcune donne non riuscì a sottrarsi neppure Joe Biden. Durante la campagna del 2020 l’allora candidato democratico fu accusato di molestie da una componente del suo staff quando era un membro del Senato ventisette anni prima.

Un’altra denunciò che le aveva sfiorato un braccio durante un comizio. Tuttavia, malgrado la crescente sensibilità del partito democratico per questo tipo di problematiche, contrapposto a un candidato come Donald Trump che quasi si vantava pubblicamente di avere tradito la moglie, Biden superò le forche caudine del movimento #MeToo e uscì vincitore dalle elezioni del 2020.

A Trump si può, invece, attribuire il discutibile merito di aver consolidato lo sdoganamento dell’infedeltà coniugale in politica già iniziato con Bill Clinton. Infatti, lo scandalo collegato alle sue scappatelle con la pornostar Stephanie Clifford, in arte Stormy Daniels, non riguarda l’adulterio di per se stesso, un comportamento a cui numerosi votanti sembrano ormai essersi assuefatti, ma l’uso improprio di fondi elettorali e la relativa falsificazione dei bilanci per comprare il silenzio dell’attrice, reati per i quali il tycoon è stato giudicato colpevole in sede penale lo scorso 30 maggio.

D’altra parte, salvo poche eccezioni, le relazioni extraconiugali dei candidati hanno raramente condizionato le campagne per la Casa Bianca. Al di là degli stereotipi sul retaggio puritano della nazione, agli americani si può generalmente attribuire la posizione di una donna che nel 1992, a un intervistatore che all’ingresso del seggio le aveva chiesto per quale ragione intendesse votare per un fedifrago come Clinton, rispose candidamente che stava andando a eleggere il futuro presidente degli Stati Uniti, non a scegliere il prossimo Papa.

Stefano Luconi insegna Storia degli Stati Uniti d’America nel dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova. Le sue pubblicazioni comprendono La “nazione indispensabile”. Storia degli Stati Uniti dalle origini a Trump (2020), Le istituzioni statunitensi dalla stesura della Costituzione a Biden, 1787–2022 (2022) e L’anima nera degli Stati Uniti. Gli afro-americani e il difficile cammino verso l’eguaglianza, 1619–2023 (2023).

Libri:
Stefano Luconi, La corsa alla Casa Bianca 2024. L’elezione del presidente degli Stati Uniti dalle primarie a oltre il voto del 5 novembre, goWare, 2023, pp. 162, 14,25€ edizione cartacea, 6,99€ edizione Kindle
Stefano Luconi, Le istituzioni statunitensi dalla stesura della Costituzione a Biden, 1787–2022, goWare, 2022, pp. 182, 12,35€ edizione cartacea, 6,99€ edizione Kindle

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Mario Mancini
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Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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