L’alienazione in Marx

di Nicola Abbagnano

Mario Mancini
6 min readJan 6, 2025

Vai agli altri articoli della serie “Grandi pensatori”

Gustave Courbet, “Le Desespere”, 1845

Il concetto di alienazione in Hegel

La condizione dell’uomo nella società capitalistica è stata tavolta, e specialmente nelle opere giovanili, caratterizzata da Marx come alienazione. Marx aveva desunto questo concetto da Hegel che se ne era avvalso, nelle ultime pagine della Fenomenologia, per illustrare il procedimento attraverso il quale l’Autocoscienza pone l’oggetto cioè pone se stessa come oggetto e cosi si aliena da sé per poi ritornare a se stessa.

«L’alienazione dell’Autocoscienza, dice Hegel, pone, essa proprio, la cosaiità: onde questa alienazione ha significato non solo negativo ma anche positivo e ciò non solo per noi o in sé ma anche per l’Autocoscienza stessa. Per essa, il negativo dell’oggetto o l’autotogliersi di quest’ultimo ha un significato positivo, ovvero essa sa quella nullità dell’oggetto perché, da una parte, essa aliena se stessa: infatti in questa alienazione pone sé come oggetto o, per l’inscindibile unità dell’esser-per-sé, pone l’oggetto come se stesso. E d’altra parte, c’è qui anche l’altro momento per cui essa ha anche tolto e ripreso in se medesima quell’alienazione e oggettività rimanendo dunque presso di sé nel suo esser-altro come tale. Questo è il movimento della coscienza la quale è, perciò, la totalità dei suoi momenti» (Fenomenologia dello spirito, VIII, ed. Glöckner, pp. 602–03).

La completa trasformazione del concetto in Marx

Nelle mani di Marx questa nozione si trasforma completamente. In primo luogo, il soggetto dell’alienazione non è l’autocoscienza che, secondo Marx, è un concetto astratto o fittizio, ma l’uomo, l’uomo reale o esistente; e l’alienazione non è una figura speculativa ma la condizione storica in cui l’uomo viene a trovarsi nei confronti della proprietà privata dei mezzi di produzione.

La proprietà privata, difatti, trasforma i mezzi di produzione da semplici strumenti e materiali dell’attività produttiva umana, in fini ai quali viene subordinato l’uomo stesso.

«Non è l’operaio che adopera i mezzi di produzione, dice Marx, ma sono i mezzi di produzione che adoperano l’operaio; invece di venire da lui consumati come elementi materiali della sua attività produttiva, essi consumano lui come fermento del loro processo vitale; e il processo vitale del capitale consiste solo nel suo movimento di valore che valorizza se stesso» (Capitale, I, III, cap. IX, trad. ital., p. 339).

In altri termini, la proprietà privata aliena l’uomo da sé perché lo trasforma da fine in mezzo, da persona a strumento di un processo impersonale che lo asservisce senza riguardo dei suoi bisogni e delle sue esigenze.

«La produzione produce l’uomo non solo come una merce, la merce umana, l’uomo con il carattere della merce; ma lo produce, conformemente a questo carattere, come un ente disumanato sia spiritualmente che fisicamente» (Manoscritti economici-filosofici del 1844, III, trad. ital., p. 242).

La scissione dell’essere

La caratteristica più grave di questa alienazione, quella sulla quale Marx ha insistito soprattutto nelle opere giovanili, è la scissione o lacerazione che essa produce nell’essere stesso dell’uomo.

Come si è visto, l’uomo è costituito dai rapporti di produzione che sono rapporti con la natura e con gli altri uomini; e questi rapporti, nella forma che assumono per effetto della proprietà privata, tendono a scindersi e cosi a scindere l’uomo dalla natura e dagli altri uomini, a estraniarlo dai suoi rapporti con essi e quindi da se stesso.

«La proprietà privata, dice Marx, è soltanto l’espressione sensibile del fatto che l’uomo diventa oggettivo a se stesso o piuttosto oggetto estraneo o disumano, che la sua manifestazione di vita è la sua espropriazione di vita e la sua realizzazione è la sua privazione, una realtà estranea» (Ib., Ill, trad, ital., p. 261).

Questo è l’errore, secondo Marx, di tutta la civiltà moderna: la quale «separa dall’uomo il suo essere oggettivo quasi fosse un essere soltanto esteriore o materiale; e cosi non assume il contenuto dell’uomo come la vera realtà di esso» (Critica della filosofia hegeliana del diritto, trad, ital., p. 114).

Per contro, il comunismo in quanto è «l’effettiva soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo», è «la reale appropriazione dell’essenza umana da parte dell’uomo e per l’uomo»; e perciò pure «la vera soluzione del contrasto dell’uomo con la natura e con l’uomo; la vera soluzione del conflitto tra esistenza ed essenza, oggettivazione e affermazione oggettiva, libertà e necessità, individuo e genere» (Ib., p. 258).

L’alienazione religiosa

L’alienazione cosi intesa, cioè come condizione storica dell’uomo nella società capitalistica, indebolendo od obliterando il senso concreto del rapporto dell’uomo con l’oggetto (natura e società), determina la nozione di una «essenza umana» universale ed astratta cioè priva d’ogni rapporto con l’oggetto stesso: cioè la nozione di autocoscienza, spirito o coscienza, che

ha posto come unico e solo soggetto della storia e che anche la critica antihegeliana ha, secondo Marx, mantenuto intatta continuando a parlare dell’essenza dell’uomo e rifiutandosi di riconoscere l’essere dell’uomo nei rapporti oggettivi che lo costituiscono.

Questa conseguenza dell’alienazione è talvolta chiamata da Marx «alienazione religiosa» (Ib., p. 259); e nella Introduzione alla Critica della filosofia del diritto di Hegel Marx considera, sotto quest’aspetto, la religione come l’immagine di un «mondo rovesciato»: cioè di un mondo in cui al posto dell’uomo reale è stata messa l’essenza astratta dell’uomo.

«La religione, dice Marx, è la teoria generale di questo mondo rovesciato, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo point-d’honneur spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne completamento, il fondamento universale della consolazione e della giustificazione di esso».

Sotto quest’ultimo aspetto essa è «l’oppio del popolo», «la felicità illusoria del popolo». Ma l’alienazione religiosa è propria, secondo Marx, di tutte le filosofie idealistiche perché in queste, come nella religione, si fa del «mondo empirico un mondo semplicemente pensato o rappresentato, che si contrappone agli uomini come cosa estranea» (Ideologia tedesca, III, trad. ital., p. 151).

Ed è propria anche del cosiddetto «stato politico» nel quale l’essenza dell’uomo come cittadino è contrapposta alla sua vita materiale. Nello stato politico l’uomo, dice Marx «conduce una doppia vita, una vita in cielo ed una in terra, la vita nella comunità politica nella quale egli si considera natura sociale e la vita nella società civile nella quale egli agisce da uomo privato, considera gli altri uomini come mezzi, degrada se stesso fino a ridursi a strumento e diventa il trastullo di forze a lui estranee».

In tal modo l’uomo «è sottratto alla vita reale ed individuale e viene gonfiato con una universalità irreale»: il che è proprio dell’alienazione (La questione ebraica, I).

In ogni caso, pertanto, l’alienazione consiste per l’uomo nell’obliterazione dei suoi rapporti oggettivi e nel suo automistificarsi come un’essenza universale e spirituale.

Un’alienazione nell’alienazione

Da questo punto di vista l’alienazione di cui parla Hegel è, si può dire, un’alienazione nell’alienazione. Marx riconosce a Hegel il merito di aver colto l’essenza del lavoro come processo di oggettivazione e di avere concepito l’uomo come «risultato del proprio lavoro» (Manoscritti economico-politici del 1844, III, trad. ital., p. 293).

Ma egli ha concepito l’uomo come autocoscienza, l’alienazione dell’uomo come alienazione dell’autocoscienza e il recupero dell’ente alienato come un’incorporazione nell’autocoscienza (Ib., pp. 299–300). Questa non è che una formula mistificata per esprimere l’alienazione: mistificata appunto dal fatto che essa stessa presuppone l’alienazione cioè presuppone l’estraniazione dell’uomo dalla sua natura oggettiva.

«È del tutto ovvio, dice Marx che un ente vivente, naturale, munito e dotato di forze essenziali oggettive, cioè materiali, abbia degli oggetti naturali e reali del suo essere, come altresì che la sua autoalienazione sia il porsi di un mondo reale ma avente la forma dell’esteriorità, dunque non appartenente al suo essere, e predominante e oggettivo. Non c’è niente di inconcepibile e misterioso in questo; il contrario sarebbe piuttosto un mistero. Ma è parimenti chiaro che una autocoscienza, cioè la sua alienazione, può porre soltanto la cosalità ossia soltanto una cosa astratta, una cosa dell’astrazione e nessuna cosa reale» (Ib., p. 301).

Come l’alienazione autentica non è figura di pensiero ma una situazione storica, cosi la soppressione dell’alienazione è il ritorno dell’ente uomo alla sua oggettività naturale o meglio ad una oggettività che è nello stesso tempo naturale ed umana (Ib., p. 303).

--

--

Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

No responses yet