La siepe di biancospini rosa
La grande rinuncia della vecchiaia
di Marcel Proust
E già il fascino di cui il suo nome aveva reso fragrante quel luogo sotto i biancospini rosa dove, lei ed io, l’avevamo sentito pronunciare pronunciare insieme, si spandeva, rivestiva, profumava tutto ciò che le stava intorno, i suoi nonni che i miei avevano avuto l’ineffabile fortuna di conoscere, la sublime professione di agente di cambio, il doloroso quartiere degli Champs-Elysées dove lei abitava a Parigi.
«Léonie,» disse il nonno rientrando «avrei voluto che tu fossi con noi questo pomeriggio. Non avresti riconosciuto Tansonville. Se avessi osato, avrei strappato un ramo di quei biancospini rosa che ti piacciono tanto.»
Il nonno raccontava così la nostra passeggiata alla zia Léonie, un po’ per distrarla e un po’ perché non avevamo perso completamente la speranza di convincerla a uscire. Ora, un tempo lei amava molto quella proprietà, e d’altronde le visite di Swann erano state le ultime che aveva ricevuto, quando già aveva chiuso la porta a tutti; e, così come quando Swann adesso veniva a domandare sue notizie (era l’unica persona in casa nostra che chiedeva ancora di vedere) lei gli faceva rispondere che era stanca ma che l’avrebbe lasciato salire la prossima volta, allo stesso modo quella sera disse: «Sì, un giorno di bel tempo andrò in carrozza fino all’ingresso del parco».
Lo diceva sinceramente, le avrebbe fatto molto piacere rivedere Swann e Tansonville; ma il desiderio che ne aveva bastava a quel po’ di forze che le restavano, la sua attuazione le avrebbe superate.
A volte il bel tempo le ridava un po’ di energia, si alzava, si vestiva, la stanchezza l’assaliva prima di esser passata nell’altra stanza e voleva tornare a letto. Era cominciata per lei, soltanto più presto di quanto non avviene di solito, la grande rinuncia della vecchiaia che si prepara alla morte, e si avvolge nella propria crisalide, rinuncia che si può osservare alla fine di esistenze molto lunghe, anche tra vecchi amanti che si sono amati moltissimo, tra amici uniti dai legami più spirituali, e che a partire da un certo anno smettono di fare il viaggio o l’uscita di casa indispensabile per vedersi, smettono di scriversi e sanno che non comunicheranno più in questo mondo.
La zia doveva certo perfettamente sapere che non avrebbe più rivisto Swann, che non sarebbe più uscita di casa, ma questa reclusione definitiva doveva esserle abbastanza sopportabile per la stessa ragione che, secondo noi, avrebbe dovuto esserle più dolorosa, perché le era imposta dalla diminuzione di forze ogni giorno più evidente per lei, e che, rendendole ogni gesto, ogni movimento stancante se non doloroso, dava all’inerzia, all’isolamento, al silenzio la dolcezza riparatrice e benedetta del riposo.
La zia non andò a vedere la siepe di biancospini rosa.
Da Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Rizzoli libri, Edizione del Kindle, posizione 276–277