La libertà in Hegel

Alle origini della sua filosofia politica

Mario Mancini
10 min readJan 2, 2022

di Bertrand Russell

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«Ecco un esempio di una importante verità: peggiore è la vostra logica, più interessanti sono le conseguenze a cui essa dà origine».
Bertrand Russell

Nello svolgersi storico dello Spirito ci sono state tre fasi principali: gli Orientali, i Greci ed i Romani, e i tedeschi.

La storia del mondo è la disciplina della volontà naturale senza controllo, portata ad obbedire ad un principio universale ed a cui vien data una libertà soggettiva. L’Oriente seppe, e sa ancor oggi, solo che uno è libero; il mondo greco e romano che alcuni sono liberi; il mondo tedesco sa che tutti sono liberi.

Si potrebbe supporre che la democrazia debba essere la giusta forma di governo in cui tutti sono liberi, ma non è così. La democrazia, e analogamente l’aristocrazia, appartengono allo stadio in cui alcuni sono liberi, il dispotismo a quello in cui uno è libero, e la monarchia a quello in cui tutti sono liberi. Questo è in relazione allo stranissimo modo in cui Hegel usa la parola «libertà».

Per lui (e fin qui possiamo esser d’accordo) non c’è libertà senza legge; ma egli tende poi ad invertire il concetto, e a dimostrare che dovunque ci sia legge c’è libertà. Così «libertà», per lui, significa poco di più che il diritto di obbedire alla legge.

Come era prevedibile, Hegel assegna ai tedeschi il più alto compito nello sviluppo terreno dello Spirito.

Lo spirito tedesco è lo spirito del nuovo mondo. Il suo fine è l’avvento della Verità assoluta come illimitata auto-determinazione della libertà: quella libertà che ha come scopo la sua forma assoluta.

Questa è un’eccellente specie di libertà. Non è detto che vi sarà possibile tenervi fuori da un campo di concentramento. Non implica la democrazia, o una libera stampa,– né alcuna delle solite parole d’ordine liberali, che Hegel respinge con disprezzo.

Quando lo Spirito si dà delle leggi, lo fa liberamente. Dal nostro punto di vista terreno, ci può sembrare che lo Spirito che dà le leggi sia impersonato dal monarca, e lo Spirito a cui le leggi sono date sia impersonato dai suoi sudditi.

Ma dal punto di vista dell’Assoluto, la distinzione fra il monarca ed i sudditi, come tutte le altre distinzioni, è illusoria, e quando il monarca imprigiona un suddito di idee liberali, siamo ancora di fronte allo Spirito che si sta liberamente determinando. Hegel loda Rousseau perché fa distinzione tra la volontà generale e la volontà di tutti. E si comprende che il monarca impersona la volontà generale, mentre una maggioranza parlamentare impersona solo la volontà di tutti. Uno dottrina assai conveniente.

La storia tedesca

Hegel divide la storia tedesca in tre periodi: il primo, fino a Carlo Magno; il secondo, da Carlo Magno alla Riforma; il terzo, dalla Riforma in poi. Questi tre periodi sono distinti come il Regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, rispettivamente.

Sembra un po’ strano che il Regno dello Spirito Santo sia cominciato con le sanguinose ed abominevoli atrocità commesse per far cessare la Guerra dei Contadini, ma Hegel, naturalmente, non menziona un incidente così volgare. Invece prosegue, come era prevedibile, con grandi lodi a Machiavelli.

L’interpretazione hegeliana della storia a partire dalla caduta dell’lmpero romano è in parte l’effetto, ed in parte la causa, del modo d’insegnare la storia mondiale nelle scuole tedesche.

In Italia ed in Francia, benché si sia avuta da parte di pochi uomini come Tacito e Machiavelli un’ammirazione romantica per i tedeschi, questi sono stati considerati, in generale, come autori delle invasioni «barbariche» e come nemici della Chiesa, prima sotto i grandi imperatori, e poi come avanguardia della Riforma.

Fino al XIX secolo, le nazioni latine guardarono ai tedeschi come a degli esseri inferiori a loro per civiltà. I protestanti, in Germania, avevano naturalmente un diverso punto di vista. Consideravano inutili gli ultimi Romani e la conquista tedesca dell’Impero occidentale era per loro un passo essenziale verso la resurrezione.

Riguardo al conflitto tra l’Impero e il Papato nel Medioevo, avevano idee ghibelline: ancor oggi agli scolari tedeschi si insegna un’ammirazione senza limiti per Carlo Magno e Barbarossa. Deploravano la debolezza politica e la mancanza d’unità della Germania nei tempi successivi alla Riforma e vedevano con piacere il graduale sorgere della Prussia, che faceva la Germania forte sotto la guida protestante, e non sotto la guida cattolica ed un po’ debole dell’Austria.

Hegel, nel costruire una filosofia della storia, ha in mente uomini come Teodorico, Carlo Magno, Barbarossa, Lutero e Federico il Grande. Bisogna interpretarlo alla luce delle loro imprese gloriose, ed alla luce dell’allora recente umiliazione della Germania da parte di Napoleone.

La Germania è glorificata a tal punto, che ci si aspetta quasi di trovare in essa la personificazione dell’Idea Assoluta, oltre la quale non sarebbe possibile un ulteriore sviluppo. Ma questo non è il pensiero di Hegel. Al contrario, egli dice che l’America è la terra del futuro, «dove, nelle età che stanno avanti a noi, si rivelerà lo scopo della storia del mondo, forse [aggiunge significativamente] con un conflitto tra il Nord e il Sud America».

Hegel sembra pensare che tutto ciò che è importante prenda la forma di una guerra. Se gli fosse stato detto che il contributo dell’America alla storia del mondo avrebbe potuto essere lo sviluppo d’una società in cui non esistesse la povertà, Hegel non se ne sarebbe interessato. Al contrario, egli dice che, fino ad allora, non c’era un vero Stato in America, perché in un vero Stato ci dev’essere una divisione in classi tra ricchi e poveri.

In Hegel le nazioni hanno la parte che le classi hanno in Marx. Il principio dello sviluppo storico è il genio nazionale. In ogni epoca c’è qualche nazione che ha la missione di far sorpassare al mondo lo stadio dialettico che ha raggiunto.

Nella nostra epoca, naturalmente, questa nazione è la Germania. Ma, oltre alle nazioni, dobbiamo anche tener conto di individui il cui nome appartiene alla storia del mondo; costoro sono uomini nei cui obiettivi si identificano le transizioni dialettiche che debbono aver luogo nel loro tempo.

Questi uomini sono eroi, ed è giusto che possano contravvenire alle ordinarie regole morali. Alessandro, Cesare e Napoleone sono portati ad esempio. Dubito che, per Hegel, un uomo potesse essere un «eroe» senza essere un conquistatore militare.

L’ardente fede di Hegel nelle nazioni, insieme alla sua strana concezione di «libertà», spiegano la sua glorificazione dello Stato, aspetto molto importante della sua filosofia politica, a cui dobbiamo ora rivolgere la nostra attenzione.

La filosofia dello Stato

La sua filosofia dello Stato è sviluppata sia nella Filosofia della storia che nella Filosofia del diritto. E per la maggior parte compatibile con la metafisica generale, ma non determinata da questa; in certi punti, tuttavia (per esempio, nei riguardi delle relazioni tra gli Stati), la sua ammirazione per lo Stato nazionale va così lontano da non poter più andare d’accordo con il suo preferire il tutto alle parti.

La glorificazione dello Stato comincia, per quanto riguarda i tempi moderni, con la Riforma. Nell’Impero romano, l’imperatore era deificato, e di conseguenza lo Stato acquistava un carattere sacro: ma i filosofi del Medioevo, tranne qualche eccezione, furono ecclesiastici, e misero quindi la Chiesa sopra lo Stato.

Lutero, trovando appoggio nei prìncipi protestanti, dette inizio al filone opposto; in complesso, la Chiesa luterana era erastiana.

Hobbes, che politicamente era un protestante, sviluppò la dottrina della supremazia dello Stato, e Spinoza fu completamente d’accordo con lui.

Rousseau, come abbiamo visto, pensava che lo Stato non dovesse tollerare altre organizzazioni politiche.

Hegel era un ardente protestante, di parte luterana; lo Stato prussiano era una monarchia assoluta erastiana. Per tutti questi motivi era già prevedibile che Hegel apprezzasse molto lo Stato, purtuttavia egli sale ad altezze stupefacenti.

Leggiamo nella Filosofia della storia che «lo Stato è la vita morale realizzata e realmente esistente», e che tutte le realtà spirituali possedute da un essere umano si hanno solamente attraverso lo Stato.

Perché la realtà spirituale dell’uomo consiste in questo, che la sua propria essenza (la Ragione) gli è oggettivamente presente, e che egli possiede un’esistenza oggettiva ed immediata… Infatti la verità è l’unità della Volontà universale e soggettiva, e l’universale si può trovare nello Stato, nelle sue leggi, nei suoi universali e razionali ordinamenti. Lo Stato è l’Idea Divina come esiste sulla terra.

Ancora:

«Lo Stato è la personificazione della libertà razionale, che si realizza e si riconosce in forma oggettiva… Lo Stato è l’Idea dello Spirito nella manifestazione esteriore della Volontà umana e della sua Libertà».

La Filosofia del diritto, nella parte che riguarda lo Stato, sviluppa la stessa dottrina un po’ più a fondo.

Lo Stato è la realtà della idea morale, lo spirito morale, come visibile volontà sostanziale, evidente a se stessa, che si pensa e si conosce, e realizza ciò che conosce in quanto lo conosce.

Lo Stato è razionale in sé e per sé. Se lo Stato esistesse solo per gli interessi dell’individuo (come dicono i liberali), un individuo potrebbe essere o no membro dello Stato. Questo sta, invece, in un rapporto del tutto diverso con l’individuo: poiché è Spirito oggettivo, l’individuo ha oggettività, verità e moralità solo finché è membro dello Stato, il cui vero contenuto e scopo è l’unità come tale. È ammesso che ci possano essere dei cattivi Stati, ma questi hanno una esistenza effimera, e non hanno vera realtà, mentre uno Stato razionale è infinito in se stesso.

Si potrà dire che la posizione che Hegel assume di fronte allo Stato ha molti punti di contatto con quella che Sant’Agostino ed i suoi successori cattolici assunsero di fronte alla Chiesa.

Ci sono tuttavia due aspetti che rendono la posizione cattolica più ragionevole di quella di Hegel. In primo luogo, la Chiesa non è una fortuita combinazione geografica, ma un corpo unito da un credo comune, reputato di suprema importanza dai suoi membri; è così, nella sua intima essenza, la personificazione di ciò che Hegel chiama «l’Idea».

In secondo luogo, c’è una sola Chiesa cattolica, mentre ci sono molti Stati. Quando ogni Stato, in rapporto ai suoi sudditi, è diventato così assoluto come Hegel lo pensa, è difficile trovare un qualunque principio filosofico con cui regolare le relazioni tra i diversi Stati.

In effetti, a questo punto, Hegel abbandona il suo ragionamento filosofico, ricadendo nello stato di natura e nella guerra di tutti contro tutti di Hobbes.

L’abitudine di parlare dello «Stato», come se ve ne fosse uno solo, è erronea finché non ci sarà uno Stato mondiale. Dato che per Hegel il dovere è solamente una relazione tra l’individuo e il suo Stato, non resta nessun principio con cui moralizzare le relazioni tra gli Stati. Questo Hegel lo riconosce.

Nei suoi rapporti con l’estero, egli dice, lo Stato è un individuo, ed ogni Stato è indipendente di fronte agli altri. «Poiché in questa indipendenza l’essere in sé del vero spirito ha la sua esistenza, essa è la prima libertà ed il più alto onore di un popolo». E prosegue recando argomenti contro ogni tipo di Lega delle Nazioni da cui l’indipendenza dei singoli Stati possa venir limitata.

Il dovere del cittadino è circoscritto (per quel che riguarda i rapporti internazionali del suo Stato) a sostenere la sostanziale individualità, indipendenza e sovranità del suo Stato. Ne segue che la guerra non è del tutto un male, o qualcosa che dobbiamo cercare di abolire.

Il fine della guerra

Il fine dello Stato non è solamente quello di difendere la vita e la proprietà dei cittadini, e ciò giustifica moralmente la guerra, che non deve essere considerata come un male assoluto, oppure accidentale, od anche causato da qualcosa che non dovrebbe esistere.

Hegel non intende dire solo che in certe situazioni una nazione non può evitare di scendere in guerra. Intende dire assai di più. È contrario alla creazione di istituzioni (come un governo mondiale) che possano impedire il formarsi di tali situazioni, perché pensa che sia una buona cosa che di tanto in tanto ci siano delle guerre.

La guerra è la condizione che ci fa pensare seriamente alla vanità dei beni e delle cose temporali. (Questa teoria è in contrasto con la teoria secondo cui tutte le guerre abbiano cause economiche). La guerra ha un positivo valore morale:

«a guerra ha l’alto significato che attraverso di essa si preserva la salute dei popoli creando in loro l’indifferenza per lo stabilizzarsi di forme determinate.

La pace è fossilizzazione; la Santa Alleanza e la Lega per la pace di Kant sono degli errori, perché una famiglia di Stati ha bisogno di un nemico. I conflitti tra Stati possono esser decisi solo da una guerra; essendo gli Stati gli uni verso gli altri in stato di natura, le loro relazioni non sono legali né morali.

I loro diritti trovano una realtà nelle loro particolari aspirazioni, e l’interesse di ogni Stato è la sua legge più alta. Non c’è contrasto tra morale e politica, perché gli Stati non sono soggetti alle ordinarie leggi morali.

Questa è la dottrina dello Stato di Hegel, una dottrina che, se accettata, giustifica ogni tirannide interna ed ogni aggressione esterna. La misura della sua parzialità si ha dal fatto che la sua teoria è largamente in disaccordo con la sua metafisica, e che le incongruenze tendono tutte a giustificare la violenza ed il brigantaggio internazionale.

Un uomo può essere perdonato se è costretto dalla logica a giungere controvoglia a conclusioni che deplora, ma non gli si può perdonare di allontanarsi dalla logica per poter liberamente perorare il delitto.

Hegel fu portato dalla sua logica a credere che ci sia maggior realtà o nobiltà (i due termini per lui sono sinonimi) negli interi che nelle loro parti, e che un intero cresce in realtà e nobiltà via via che diviene meglio organizzato. Questo giustificava la sua preferenza per lo Stato piuttosto che per un anarchico insieme di individui, ma nello stesso modo avrebbe dovuto fargli preferire uno Stato mondiale ad un anarchico insieme di Stati.

Anche in seno allo Stato, la sua filosofia generale avrebbe dovuto spingerlo a un maggior rispetto per l’individuo, perché gli interi di cui tratta la sua Logica non sono come l’uno di Permenide, o anche come il Dio di Spinoza: sono interi in cui l’individuo non sparisce, ma acquista una più piena realtà attraverso i suoi armoniosi rapporti con un più vasto organismo.

Uno Stato in cui l’individuo sia ignorato non è un modello in scala ridotta dell’Assoluto hegeliano. Né c’è alcuna buona ragione, nella metafisica di Hegel, per caldeggiare esclusivamente lo Stato rispetto alle altre organizzazioni sociali.

Non vedo altro che parzialità protestante nel suo preferire lo Stato alla Chiesa. Inoltre se è buona cosa che la società sia la più organica possibile, come Hegel crede, allora sono necessarie molte altre organizzazioni sociali, oltre lo Stato e la Chiesa.

Dai principi di Hegel dovrebbe discendere che ogni interesse che non sia dannoso alla comunità, e che possa essere promosso dalla cooperazione, debba essere opportunamente organizzato, e che ognuna di tali organizzazioni debba avere la sua parte di indipendenza.

Si può obiettare che l’autorità suprema deve pur risiedere da qualche parte e che non può essere altrove che nello Stato. Ma anche in tal caso può esser desiderabile che sia lecito resistere a questa suprema autorità allorché essa tenta di opprimere oltre certi limiti.

Da: Bertrand Russell, Storia della filosofia occidentale, Milano, Longanesi, 1948.

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.