Kant: Il cielo stellato e la legge morale
Le due certezze
Nella Critica della ragion pratica Kant si domanda di che cosa si possa avere certezza.
Per Kant sono due le cose delle quali si può avere assoluta certezza: il cielo stellato e la constatazione la legge morale nella propria coscienza di persona. È propria questa l’iscrizione sepolcrale che Kant ha voluto sulla propria tomba: “il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me”.
Le due affermazioni non sono in contraddizione che se il loro accostamento desta meraviglia: da una parte abbiamo l’immensità dell’universo esterno a noi e la piccolezza della nostra coscienza, entrambe però accomunate dall’universalità del loro essere.
Se la persona è nulla a paragone del como essa è l’assoluto padrone della sua morale e può assumere come regola del suo agire non tanto la propria utilità o cio che sul momento conviene ma l’interesse universale rappresentato dal cielo stellato.
Da “La critica della Ragion Pratica”
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di reverenza sempre nuove e crescenti, quanto più spesso e più a lungo il pensiero vi si sofferma: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me. Queste due cose, non ho da cercarle fuori della portata della mia vista, avvolte in oscurità, e nel trascendente; né devo, semplicemente, presumerle: le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza.
Fuori di me
La prima comincia dal luogo, che occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a grandezze immensurabili, con mondi sopra mondi, e sistemi di sistemi; e, oltre a ciò, ai tempi senza confine del loro movimento periodico, del loro inizio e del loro durare.
Dentro di me
La seconda parte dal mio io invisibile, dalla mia personalità; e mi rappresenta in un mondo che ha un’infinità vera, ma è percepibile solo dall’intelletto, e con il quale (ma, perciò, anche al tempo stesso con tutti quei mondi visibili) mi riconosco in una connessione non semplicemente accidentale, come nel primo caso, bensì universale e necessaria.
Un punto nell’universo
La prima veduta, di un insieme innumerabile di mondi, annienta, per così dire, la mia importanza di creatura animale, che dovrà restituire la materia di cui è fatta al pianeta (un semplice punto nell’universo), dopo essere stata dotata per breve tempo (non si sa come) di forza vitale.
Ma di infinito valore
La seconda, al contrario, innalza infinitamente il mio valore, come valore di un’intelligenza, in grazia della mia personalità, in cui la legge morale mi rivela una vita indipendente dall’animalità, e perfino dall’intero mondo sensibile: almeno per quel che si può desumere dalla destinazione finale della mia esistenza in virtù di questa legge; la quale destinazione non è limitata alle condizioni e ai confini di questa vita, ma va all’infinito
Da Ubaldo Nicola, Filosofia. Antologia illustrata, Firenze, Giunti, Edizione del Kindle, pp. 676–677