Kant: Il bello e il sublime
Alle origini del romanticismo
Il bello universale e il sublime naturale
Il “bello” riguarda le cose che suscitano in noi il senso del bello. Il sublime sollecita il nostro sentimento morale che scaturisce dalla contemplazione della natura come una distesa marina, un tramonto o anche da fenomeni che mostrano la potenza della elementi naturali come una tempesta, l’eruzione di un vulcano. La maestosità di questo fenomeni naturali sembra annichilirci ma anche ci esalta in quanto esseri morali dotati di spirito.
La scienza, neppure quella di Newton ammirata da Kant, non risolve tutte le domande e il sentire dell’esistenza. È evidente che nell’esistenza c’è uno scopo e che questo possa rintracciarsi nella coscienza morale dell’individuo. È evidente che qui c’è già in nuce il romanticismo.
Da “La Critica del giudizio”
L’immaginazione
Il bello si accorda con il sublime in questo, che entrambi piacciono per se stessi. Inoltre, entrambi non presuppongono un giudizio dei sensi né un giudizio determinante dell’intelletto, ma un giudizio di riflessione.
Per conseguenza, in essi il piacere non dipende da una sensazione, come per il piacevole, né da un concetto determinato, come per il buono, ma tuttavia viene riferito a concetti, sebbene indeterminati, per cui il piacere è legato alla pura esibizione o alla facoltà dell’esibizione, in modo che questa facoltà, o, in altri termini, l’immaginazione, è considerata in accordo, in una intuizione data, con la facoltà dei concetti dell’intelletto o della ragione, e a vantaggio di essa.
Bello è universale
Perciò entrambi i giudizi sono singolari, ma si danno come giudizi universali rispetto a ogni soggetto, sebbene pretendano solo al sentimento di piacere e non alla conoscenza dell’oggetto.
Il sublime non ha limite
Ma saltano agli occhi anche delle differenze considerevoli. Il bello della natura riguarda la forma dell’oggetto, la quale consiste nella limitazione; il sublime, invece, si può trovare anche in un oggetto privo di forma, in quanto implichi o provochi la rappresentazione dell’illimitatezza, pensata per di più nella sua totalità; sicché pare che il bello debba esser considerato come l’esibizione d’un concetto indeterminato dell’intelletto, e il sublime come l’esibizione d’un concetto indeterminato della ragione.
Differenza tra bello e sublime
Nel primo caso il piacere è quindi legato con la rappresentazione della qualità, nel secondo invece con quella della quantità.
Tra i due tipi di piacere c’è inoltre una notevole differenza quanto alla specie. Il bello implica direttamente un sentimento di agevolazione e intensificazione della vita, e perciò si può conciliare con le attrattive e con il gioco dell’immaginazione.
Il sentimento del sublime, invece, è un piacere che sorge solo indirettamente, e cioè viene prodotto dal senso di un momentaneo impedimento, seguito da una più forte effusione, delle forze vitali, e perciò, in quanto emozione, non si presenta affatto come un gioco, ma come qualcosa di serio nell’impiego dell’immaginazione.
Il sublime come spaesamento
Quindi il sublime non si può unire ad attrattive; e, poiché l’animo non è semplicemente attratto dall’oggetto, ma alternativamente attratto e respinto, il piacere del sublime non è tanto una gioia positiva, ma piuttosto contiene meraviglia e stima, cioè merita di essere chiamato un piacere negativo.
Il sublime spinge l’umano oltre l’umano
Ma ecco la più importante differenza tra il sublime e bello: se prendiamo qui in considerazione prima di tutto soltanto il sublime degli oggetti naturali (quello dell’arte è limitato sempre dalla condizione dell’accordo con la natura), troveremo che la bellezza naturale (per sé stante) include una finalità nella sua forma, per cui l’oggetto sembra come predisposto per il nostro giudizio, e perciò costituisce essa stessa un oggetto di piacere; mentre ciò che, senza ragionamento, nella semplice apprensione, produce in noi il sentimento del sublime, può apparire, riguardo alla forma, contrario alla finalità per il nostro giudizio, inadeguato alla nostra facoltà d’esibizione e quasi come violento contro l’immaginazione stessa, nondimeno però soltanto per esser giudicato tanto più sublime, quanto maggiore è tale violenza.
Da Ubaldo Nicola, Filosofia. Antologia illustrata, Firenze, Giunti, Edizione del Kindle, pp. 702–704