Jean Paul Sartre: l’evento storico
L’inatteso atteso
Ha l’effetto di trasformare il nostro passato (guerra 1939 trasforma il nostro passato in un passato da creduloni), ossia il suo significato. In breve, di distinguere il vissuto che fu nondimeno l’assoluto, dalla realtà che fu vissuta. E di respingere come illusione ciò che fu percepito come assoluto. Sia che si subisca (1939: era il nostro caso), sia che si agisca e si fallisca (il fallimento, in fondo, dà necessariamente torto alla cospirazione, tanto più torto quanto meno esso è dovuto a elementi fortuiti; fa di colui che fallisce qualcuno che ha vissuto la propria vita come un mito), sia che si abbia successo (il trionfatore è altro e vede la propria ricerca come altro: fallimento segreto della vittoria).
Il fatto è dunque che l’evento storico, qualunque esso sia, assegna al nostro passato la sua trasformazione, perché non era atteso o perché, anche atteso, è l’inatteso atteso. Ora, quel passato è il superato, ma anche l’essenza creata dietro di noi che ci aiuta (trampolino di superamento). Noi stessi lo modifichiamo nella nostra vita, ma in generale — salvo crisi, disavventure, incidenti — in modo continuo. Il fatto storico: Charles Bovary scopre le lettere.
È inteso pertanto che l’evento storico lacera il passato. Ora, il passato è l’essere (determinazione sociale a priori: l’operaio), l’essenza (condizionamento di sé tramite la materia che si è lavorata), il giuramento (appartenenza a un gruppo).
Ora, l’essere è trasformato (esempio: dequalificazione dell’operaio professionale, disoccupazione tecnologica ecc. ecc., per trasformazione della materia lavorata). L’essenza è rovesciata (la materia lavorata assume per me, nel contesto, un altro senso — i sindacati anarco-sindacalisti, scoprendo nel 1914 le masse e la loro impotenza, si rendono conto di non essere stati capaci di adattarsi, di avere funzionato a vuoto quando credevano di funzionare a pieno; in realtà: cattiva fede, in un certo senso essi non funzionavano poi così bene); in breve, i cambiamenti esterni del mondo mi trasformano nella mia essenza che è rapporto intimo (negazione che trattiene in sé per superare).
Ad esempio: è l’apparizione delle masse che cantano la Marsigliese a stupire i sindacalisti e a cambiarli. Ma essi non le hanno fatte ed esse non agiscono direttamente su di loro. Quanto al giuramento, non lo si è sciolto e tuttavia non si è più tenuti ad adempierlo poiché è impossibile adempierlo.
A scelta: si farà ugualmente ciò che si è giurato (giuramento implicito di Challe nel gennaio 1960 agli insorti: tornate a casa, l’Algeria resterà francese), si preferisce attenersi al giuramento. Si può morire (suicidio): questo significa che, tramite la morte, ci si afferma come non trasformabili. Suicidio in questo caso = atto aggressivo contro la Storia. Si sceglie la permanenza assoluta dell’Essere. Inganno: si è scelto il non-essere e l’esse-re-oggetto-per la Storia futura.
L’evento storico si manifesta dunque come l’esterno che trasforma l’interiorità dall’interno, ma senza azione necessaria dell’esterno sul- l’esteriorità (prassi-violenza) e senza immediata interiorizzazione. L’evento arriva come un ladro.
Ultimatum: o devo essere altro, ossia farmi altro (e ci sono molte possibilità che io non ci riesca), oppure devo uccidermi o resterò in cattiva fede per tutta la vita… La cattiva fede: la Storia è assurda. Esempio: rifiuto di vedere la decolonizzazione (e rivoluzione permanente); si attribuisce a de Gaulle una politica di tradimento.
Strana situazione: si è dequalificati e, al tempo stesso, liberi e potenti. Gli Europei di Algeria sono dequalificati, ma possono ribellarsi e uccidere. Possono scegliere di morire uccidendo (e questo implica che hanno perso e che lo sanno: interiorizzazione come negazione del cambiamento pratico, in nome dell’essere). Ma ci si può anche rifiutare di vedere la dequalificazione come altro da un incidente che si può cambiare per conservarsi: tradimento, ecc. Si agisce con la sensazione di ristabilire lo status quo (13 maggio).
L’evento storico, dunque, mi modifica secondo l’ek-stasi passata, cioè nel mio essere.
Ma anche nell’ek-stasi del futuro:
a) La cosa più importante: può distruggermi o cambiarmi brutalmente nella mia inerzia e nella mia passività. Vengo imprigionato. Una guerra: vengo ucciso. Il mio interesse: sono rovinato.
b) Ma, nella prassi dell’individuo sociale, può anche fare di me un altro: divento battagliero (1940), le mie preoccupazioni saranno altre: uccidere, non essere ucciso, ecc.
Questo può riguardare solo l’individuo nella sua vita individuale: la rovina dei miei genitori (fatto sociale, ma non necessariamente storico in senso attivo) interrompe i miei studi, mi obbliga a guadagnare per vivere.
c) Ma soprattutto sono coinvolto in una società cambiata e che si dà altri scopi. Così cambio anch’io.
Caso dell’uomo di sinistra (socialista S.F.I.O.) trasformato dal movimento generale della Storia in reazionario pur restando quello che era. Caso del sindacalista della II Internazionale (operaio professionale). Caso dell’operaio professionale e dei suoi strumenti di azione (sciopero limitato perché si ha bisogno di lui). Ma, con le macchine specializzate, sciopero senza potere. Se le masse trovano la loro risposta, non c’è più specificità per l’operaio professionale. Il suo sciopero diventa una trappola che accelera la dequalificazione e la disoccupazione tecnologica. L’unica cosa da fare resta dunque assimilarsi ad un uomo nuovo. Cercare di vivere da uomo nuovo, inventare delle pratiche nel campo pratico trasformato.
d) Ma anche il libero organismo pratico è colpito. Inizialmente ha una libertà di adattamento a condizione di compiere sistematicamente e dialetticamente la eliminazione essere, essenza, giuramento. Se non lo fa per tempo, passa in un’altra categoria sociale (esempio: reazionario, oppure meno di sinistra). In questa posizione però i suoi interessi e i suoi bisogni lo inducono a compiere atti e a difendere cause che non possono più essere difese: la ragione lo induce ad impiegare argomenti che non sono più validi. Trasformazione reale per trasformazione del campo pratico. Cioè: i suoi obblighi lo obbligano a cercare argomenti o difese pratiche che non si trovano più. Egli è diventato stupido. Eppure può restare brillante, suggestivo: non si vede la sua oggettiva stupidità (interiorizzata. Neanche lui la vede).
Questa trasformazione radicale è reale (diminuzione del potere di acquisto, mobilitazione, ecc.) e materiale: essa infatti è sempre originata, in modo più o meno diretto, dalle trasformazioni della materia lavorata. Esempio: lo sviluppo industriale tedesco prima del 1914 porta alla lotta capitalistica per i mercati. Quindi guerra. Problema che si ripropone dopo la disfatta: porta alla Seconda Guerra mondiale. Con una seconda soluzione: ancora una volta capitalistica. Rovina della socialdemocrazia.
In quanto materiale, la trasformazione è inizialmente incomprensibile per gli individui e gli insiemi: la comprensione è prassi. Ora ci troviamo al livello del pratico-inerte ed è il pratico-inerte che si trasforma nell’individuo (male minore) e che trasforma l’individuo sociale e anche il libero organismo pratico. Il pratico-inerte è antidialettico e non comprensibile: è il rovesciamento della prassi e la controfinalità. Il non-comprensibile entra così nel comprensibile e la modificazione è un furto inintelligibile.
Allo stesso tempo la trasformazione è apparizione dell’Altro (ad esempio: valorizzazione degli Arabi) in quanto altro; ossia: l’Altro che io divento per me stesso nasce dalla rivelazione dell’esistenza degli altri. Certo, l’alienazione è quotidiana (esempio: operaio). Ma il cambiamento di alienazione deriva dagli altri (operaio mobilizzato).
Infine, sono io stesso responsabile e lo sento (i coloni di cattiva fede). In un certo modo, io produco l’oggetto esterno che arriva su di me come un valore e mi percepisco come colui che lo produce (anche a sinistra: la rivolta dei generali è reazione ad una azione che prevedeva la quasi-certezza di quella rivolta).
Da: Jean Paul Sartre, L’intelligibiltà della storia, Edizioni del Corriere della Sera, Milano, 2022, pp. 503–506