Jean-Paul Sartre: La storia è essenziale all’uomo?

No!

Mario Mancini
4 min readFeb 26, 2022

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La risposta è no!

E il fuori vissuto come dentro, il dentro vissuto come un di fuori.

E l’esteriorità a sé dell’uomo (il suo essere-oggetto per le forze cosmiche, ad esempio) vissuto come sua interiorità.

Essa tuttavia lo costituisce (intervenendo), ma lo costituisce appunto come un essere esistente il suo proprio di fuori nella forma dell’interiorizzazione; in breve, come l’essere che non può avere essenza (poiché è realmente altra cosa ciò che egli riprende in sé come proprio essere — e non come propria essenza).

Lo costituisce come ciò che non può pensarsi per concetti (poiché il suo essere — Pascal — è sempre caratterizzato da qualcosa di fondamentale che è altro da lui stesso). Il libero organismo pratico considerato astrattamente (al di fuori del condizionamento dall’esterno) ha una singolarità formale.

Ma questa singolarità resta universale e astratta finché non si vede il suo contenuto, che è singolare perché irriducibile ad una essenza. (Avventura) cioè eterogeneo.

Ad esempio: nessun legame tra la condizione umana, con il suo superamento singolare, e il fatto di appartenere ad una determinata società, ad una determinata razza.

Tuttavia la Storia — che fa l’uomo non-concettuale — lo comprende o, se si preferisce, l’uomo che essa fa si fa facendola per superamento. E il superamento totalizza il campo pratico e si totalizza come esteriorità interiorizzata.

Questa totalizzazione fa la sintesi dell’eterogeneo. Ad esempio, ogni uomo è accidentale per se stesso. Nasce. Qui invece che là. Ed è per se stesso quello che è nato. Ed è così che nasce Ebreo. Ma non può più considerare il suo essere-Ebreo come un caso, perché egli è solo per il fatto di essere Ebreo (la nascita non è la comparsa di un’anima che attendeva nei limbi). Il caso è negato non appena viene posto.

Non lo si ritrova più. E, in un certo senso, un immaginario prolungamento all’indietro della nascita. Ma questo caso non pensabile separatamente diventa determinazione rivendicata (per affermarla o per distruggerla) nel momento del progetto: «Ebreo per caso» non lo dice quasi nessun Ebreo e quelli che lo dicono per stanchezza non lo pensano. È la ripresa «delle circostanze precedenti». Così la Storia appare come il di fuori costitutivo del dentro a titolo di caso imperscrutabile, del quale, tuttavia, ci si fa carico.

Nella trasformazione in statuto del mio essere-ebreo, tramite la mia assunzione di responsabilità, io faccio balenare quel caso: poiché me ne faccio carico, esso mi si dà come ciò di cui potrei non farmi carico e che, perciò, diventerebbe allora un caso. Nella nascita, infatti, esso non è che un caso immaginario.

In realtà rigorosa necessità (oggettivamente: figlio di genitori Ebrei, egli è Ebreo). Ma per il fatto di rifarmene carico lo attribuiscono a questa caratteristica quella di «poter non essere presa in carico», dunque una determinazione di casualità. Il caso, tuttavia, è anche ciò che mi rende comprensibile (i miei rapporti con Israele, se io sono Ebreo, ecc. saranno compresi: ah! è un Ebreo). E, appunto, «ah! è un Ebreo» non vuol dire: a partire da un dato iniziale comprendo le conseguenze (caso della nascita da cui tutto discende), ma vuol dire: egli si fa Ebreo e i suoi rapporti con Israele sono comprensibili in base a questo. Si fa Ebreo perché lo è, lo è perché ci si fa. Il caso è non-concettuale ma, inversamente, l’uomo che si fa mostra il caso nella sua intelligibilità dialettica.

Lo stesso accadrà in tutti gli eventi. C’è sempre appropriazione (anche interamente subita — tranne nel caso della morte).

La Storia è essenziale all’uomo nella misura in cui fa di lui l’intelligibile non-essenziale. L’uomo non è mai essenziale (tranne al passato). E in se stesso essere-altro (perché si fa interiorizzazione del mondo), ma questo essere-altro non presuppone che egli abbia un essere-sé barrato dal di sotto. L’essere-sé è proprio la ripresa del-l’essere-altro. E il movimento dialettico della comprensione.

La contraddizione inerte tra l’universale e il singolare è realizzata in ciascuno in interiorità mediante la comparsa del nuovo in seno alla ripetizione (che resta ripetizione). Ad esempio: [la] sottonutrizione che compare (fatto lento ma nuovo) all’interno di un ciclo lavorativo fa di quei lavoratori degli esseri contraddittori e singolari (rispetto all’insieme) mediante la flessione del loro rendimento ecc. La contraddizione, insomma, è tra ciò che viene all’interno dal di fuori (contingente rispetto a un universale relativo — poiché, infine, quei lavoratori sono singolarizzati almeno dal loro lavoro) e la ripetizione «abitudine originaria» che appartiene al di dentro. O, se si preferisce, tra ciò che è istituito (il lavoro ciclico e le sue ripetizioni) e ciò che non lo è ancora.

Studiare il passaggio dall’evento (non-senso) all’istituzione (significante), che si compie attraverso l’uomo e che presuppone gruppo e serie.

1) L’evento è non-senso (cambiamento di clima, ecc.).

2) Vissuto, [esso] trasforma gli uomini che vi si adattano (si riorganizzano per negarlo) e lo negano per mezzo di una prassi (migrazione) che è decreto. Gruppo istituente.

3) Serie -> istituzione. La prassi riflessa diventa istituzione grazie alla separazione di tutti.

Da: Jean-Paul Sartre, L’intelligibilità della storia, Edizioni del Corriere della Sera, MIlano, 2022, pp. 561-563

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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