Il seppellimento dell’acrobata

da: “Così parlò Zarathustra” di Friedrich W. Nietzsche

Mario Mancini
6 min readSep 15, 2023

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Una scena del corto “Stretch” di Jay Bedwani

6. [comparsa e morte dell’acrobata]

Ma a questo punto accadde qualcosa che rese muta ogni bocca e fisso ogni occhio. Nel frattempo il funambolo si era infatti messo all’opera: era uscito da una porticina e camminava sulla fune tesa fra due torri, sospesa quindi sopra il mercato e il popolo.

Quando egli si trovava appunto a metà del cammino, la porticina si aprì per la seconda volta e ne balzò fuori un tipo variopinto, simile a un pagliaccio, e mosse a passi rapidi dietro al primo. «Avanti, storpio,» gridava con voce terrificante «avanti, poltrone, traffichino, faccia esangue. Bada che non ti faccia il solletico col mio calcagno! Perché sei quassù fra le torri? Dentro la torre devi stare, rinchiuderti si dovrebbe: tu chiudi il cammino a uno che è migliore di te!» — E ad ogni parola gli si faceva sempre più vicino; ma quando fu a un solo passo dietro di lui, accadde la cosa terribile che rese muta ogni bocca e fisso ogni occhio: egli mandò un urlo diabolico, e saltò oltre colui che gli sbarrava la via.

Ma questi, allorché vide la vittoria del suo rivale, perdette la testa e la fune; gettò via la pertica e, più veloce di essa, come un vortice di braccia e di gambe, precipitò nel vuoto. Il mercato e il popolo somigliavano a un mare su cui si abbatte la bufera: tutti fuggivano disperdendosi e scavalcandosi l’un l’altro, soprattutto là dove sarebbe stramazzato il corpo.

Ma Zarathustra rimase, e il corpo cadde proprio accanto a lui, malconcio e sconquassato, ma non ancora morto. Di lì a poco lo sfracellato riprese conoscenza e vide Zarathustra inginocchiato accanto a sé. «Che fai tu qui?» disse infine «lo sapevo da un pezzo che il diavolo mi avrebbe fatto lo sgambetto. Ora mi trascina all’inferno: vuoi tu impedirglielo?»

«Sul mio onore, amico», rispose Zarathustra «tutto ciò di cui parli non esiste: non c’è né diavolo né inferno. La tua anima morirà ancor prima del tuo corpo: non temere dunque più nulla!»

L’uomo levò gli occhi con diffidenza. «Se tu dici la verità», disse poi, «perdendo la vita non perderei nulla. Io non valgo molto di più di una bestia cui si è insegnato a ballare con percosse e cibo scarso».

«Non è così»; disse Zarathustra «tu hai fatto del pericolo il tuo mestiere, e in questo non è nulla di spregevole. Ora perisci del tuo mestiere, e perciò voglio seppellirti con le mie mani».

Quando Zarathustra ebbe detto questo, il moribondo non rispose più; ma agitò la mano, quasi cercasse la mano di Zarathustra per ringraziarlo. —

7. [oscura è la notte, oscure sono le vie]

Intanto scese la sera e il mercato scomparve nell’oscurità: allora il popolo si disperse, giacché anche curiosità e orrore alla fine si stancano. Ma Zarathustra sedeva per terra accanto al morto ed era immerso nei suoi pensieri: così dimenticò il tempo. Ma infine venne la notte e un vento freddo soffiò sul solitario. Allora Zarathustra si levò e disse al suo cuore:

«In verità, oggi ha fatto una bella pesca Zarathustra! Non ha preso uomini, bensì un cadavere.

Strana è l’esistenza umana e tuttora senza senso: un buffone può esserle fatale.

Voglio insegnare agli uomini il senso del loro essere: qual è il superuomo, la folgore della nube oscura chiamata uomo.

Ma sono ancora lontano da loro e il mio senso non parla ai loro sensi. Per gli uomini sono ancora a metà tra il folle e il cadavere.

Oscura è la notte, oscure sono le vie di Zarathustra. Vieni, freddo e rigido compagno di strada! Ti porto dove ti seppellirò con le mie mani.»

8. [il viaggio]

Quando Zarathustra ebbe detto ciò al proprio cuore, si caricò il cadavere sulle spalle e si mise in cammino. E non aveva fatto cento passi che gli scivolò accanto qualcuno e gli sussurrò all’orecchio — ed ecco! Colui che gli parlava era il pagliaccio della torre. «Va via da questa città, Zarathustra», diceva «qui ti odiano in troppi. Ti odiano i buoni e i giusti e ti chiamano loro nemico e spregiatore; ti odiano i fedeli della vera fede e ti chiamano un pericolo per la folla. La tua fortuna è stata che si sia riso di te: e in verità tu parlasti come un pagliaccio. La tua fortuna è stata che tu ti sia accompagnato a questo cane morto; poiché ti sei in tal modo umiliato, per oggi ti sei salvato. Ma va via da questa città, o domani salterò oltre te, un vivente oltre un cadavere». Detto ciò, l’uomo scomparve; ma Zarathustra proseguì per le vie oscure.

Alla porta della città gli si fecero incontro i becchini: alzarono la fiaccola all’altezza del suo viso, lo riconobbero e si presero beffe di lui: «Zarathustra porta via il cane morto: è una buona cosa che Zarathustra sia diventato becchino, giacché le nostre mani sono troppo pulite per questo piatto. Zarathustra vuole forse rubare al diavolo il suo boccone? E sia! Buon pro gli faccia! Purché il diavolo non sia un ladro migliore di Zarathustra! — allora li ruba tutti e due, li divora tutti e due!» E ridevano tra loro, con le teste vicine.

Zarathustra non disse una parola e andò per la sua strada. Dopo due ore che camminava per boschi e paludi, aveva già troppo a lungo udito l’ululo famelico dei lupi perché non gli venisse fame. Sostò allora presso una casa solitaria, in cui brillava un lume.

«La fame mi assale come un predone» disse Zarathustra. «In boschi e paludi mi assale la mia fame e nella notte profonda.

Strani capricci ha la mia fame. Spesso viene subito dopo il cibo, e oggi per tutto il giorno non mi è venuta: dov’era dunque?»

E bussò alla porta della casa. Apparve un vecchio; recava con sé il lume e chiese: «Chi viene a me e al mio cattivo sonno?»

«Un vivo e un morto» disse Zarathustra. «Datemi da mangiare e da bere: durante la giornata me ne sono dimenticato. Colui che sazia l’affamato ristora la propria anima: così parla la saggezza».

Il vecchio s’allontanò, ma ritornò quasi subito offrendo a Zarathustra pane e vino. «È un brutto posto, questo, per gli affamati» disse «perciò vi dimoro. Animali e uomini vengono a me, eremita. Ma dì anche al tuo compagno di mangiare e bere: egli è più stanco di te». Zarathustra rispose: «Morto è il mio compagno, difficilmente potrei indurvelo». «Ciò non mi riguarda»; disse il vecchio aggrondandosi «chi bussa alla mia casa deve accettare ciò che gli offro. Mangiate e state bene!» —

Zarathustra camminò altre due ore affidandosi alla via e alla luce delle stelle: giacché era un nottambulo abituale e amava guardare in viso tutte le cose addormentate. Ma quando spuntò il giorno, Zarathustra si trovava in un bosco profondo dove non si scorgeva più alcuna via. Allora sdraiò il morto nel cavo di un albero all’altezza della propria testa — giacché voleva proteggerlo dai lupi — e si sdraiò lui stesso per terra e sul musco. E subito si addormentò, stanco di corpo, ma con l’anima imperturbata.

9 [il risveglio]

A lungo dormì Zarathustra e sul suo viso non passò solo l’aurora ma anche il mattino. Alla fine però aprì gli occhi: con stupore guardò Zarathustra nel bosco e nel silenzio, con stupore Zarathustra guardò in se stesso. E rapido si levò, come un navigante che a un tratto scorga la terra, ed esultò; giacché scorgeva una nuova verità. E così parlò allora al proprio cuore:

Una luce è spuntata in me: di compagni di viaggio ho bisogno, e viventi, — non compagni morti e cadaveri che posso portare con me dove voglio.

Di compagni vivi ho bisogno, che mi seguono perché vogliono seguire se stessi — e proprio là dove voglio andare io.

Una luce è spuntata in me: non al popolo deve parlare Zarathustra bensì a compagni! Zarathustra non deve diventare pastore e cane di un gregge. […]

Da: Così parlò Zarathustra, Edizione del Kindle, Newton Compton, posizione 10509–10582

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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