Il panteismo dei pensatori della Scuola di Chartres

di Nicola Abbagnano

Mario Mancini
5 min readAug 22, 2024

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Il rapporto Dio-mondo

Alcune delle più importanti e più ripetute tesi della scuola di Chartres hanno uno schietto sapore panteistico.

Il panteismo consiste infatti nel ritenere che il rapporto Dio-mondo sia necessario nei confronti di Dio: cioè che il mondo derivi da Dio con necessità o sia una sua manifestazione o un suo aspetto necessario, sicché senza il mondo Dio non sarebbe Dio.

Questa tesi è ovviamente implicita in tutte le speculazioni teologiche che definiscono l’essere di Dio o quello delle persone della Trinità nei termini del loro rapporto con il mondo: per esempio, nella tesi che lo Spirito Santo è l’Anima del mondo e che l’Anima del mondo è la stessa Natura; o nella tesi che Dio stesso è la norma essendi o l’essenza di tutte le cose.

L’ultima tesi è senza dubbio quella più esplicitamente panteistica: intesa nel senso che Dio contiene le essenze (le forme, le idee, i modelli di tutte le cose) essa porta a considerare Dio come l’essenza delle cose e le cose, nella loro essenza, come elementi necessari dell’essenza divina.

Senza dubbio queste conclusioni vengono solitamente, dai maestri di Chartres, attenuate o sfumate con vari accorgimenti che tendono a ripristinare in qualche modo la differenza tra l’essere delle creature e l’essere di Dio. Ma, nel periodo di cui ci occupiamo, cioè nella seconda metà del secolo XII, esse vennero anche presentate in tutta la loro crudezza panteistica da pensatori che non esitarono a trarre da esse anche le conclusioni più paradossali. Abbiamo qualche notizia di due di questi pensatori. Amalrico di Bène e Davide di Dinant; e sappiamo che le loro idee furono seguite da gruppi numerosi contro i quali si accanirono le condanne ecclesiastiche.

La chiesa usurpatrice

E non si tratta in realtà di tesi che appartengano esclusivamente alla sfera della discussione teoretica: dall’unica opera polemica che abbiamo contro la sètta di Amalrico, uno scritto anonimo composto intorno al 1210 e che reca il titolo Contra Amaurianos, sappiamo che dalla tesi della presenza di Dio in tutti gli esseri, quindi anche in tutti gli uomini, i seguaci di Amalrico derivavano la possibilità per tutti gli uomini di salvarsi mediante la sola conoscenza di questa presenza divina, senza il ricorso ai doni carismatici di cui negavano l’efficacia; con ciò negando ogni funzione all’organizzazione ecclesiastica che è l’amministratrice di questi doni.

Questi tratti collegano strettamente il panteismo di Amalrico alle sètte ereticali che fiorivano nel secolo XII e che sono tutte accomunate dalla lotta contro il privilegio, che la Chiesa rivendica alle sue gerarchie, di amministrare la salvezza. Valdesi, Catari, Amalriciani ritengono tutti che l’uomo si salvi attraverso un rapporto diretto con Dio o che Dio stesso lo elegga manifestandosi a lui od in lui: il panteismo di Amalrico o di Davide è perciò anche e soprattutto l’espressione metafisica di una insurrezione contro le gerarchie ecclesiastiche, che, d’altronde, come è ormai accertato, aveva radici economico-sociali.

Amalrico di Bène

Di Amalrico nato a Bène (nel distretto di Chartres) sappiamo soltanto che è morto a Parigi, come maestro di teologia, nel 1206 o 1207. Da notizie tramandate da vari cronisti si sa che insegnava che Dio è l’essenza di tutte le creature e l’essere di tutto e che il creatore e la creatura s’identificano.

Probabilmente queste tesi, che somigliano a quelle sostenute da molti maestri di Chartres, erano assunte da Amalrico nel significato più vicino a quello di Scoto Eriugena; difatti egli affermava che le idee, che sono nella mente divina, creano e nello stesso tempo sono create e che Dio è il fine di tutte le cose che ritornano a lui e nella sua unità indivisibile e immutabile permangono e stanno (Gerson, Concordia metaphysicae cum logica, in Opera, IV, 825).

Ma l’intento di Amalrico si vede meglio dalle conseguenze che egli traeva dalla tesi stessa: Dio s’identifica con tutte le cose, disseminate come sono nello spazio e nel tempo, s’identifica anche con il tempo stesso e con lo spazio come s’identifica con tutti gli uomini che quindi si unificano in lui. Proprio da questa presenza di Dio negli uomini, Amalrico traeva la negazione, di cui si è detto, della validità dei sacramenti e del magistero ecclesiastico.

Tutte queste dottrine furono condannate nel Sinodo di Parigi del 1210 e, per opera di Innocenzo III, nel IV Concilio Laterano del 1215.

Davide di Dinant

Dell’altro rappresentante del panteismo, Davide di Dinant (in Belgio), non sappiamo nulla. Gli si attribuiscono due scritti: De tomis hoc est de divisionibus che riproduce il titolo dell’opera principale di Scoto Eriugena: e Quaterni o Quaternuli, nome col quale furono indicati gli scritti condannati ad essere bruciati (Denifle, Chart. Univers. Paris., I, 70).

Ma forse questo secondo non è un titolo, ma soltanto il nome generico degli opuscoli di Davide. Tommaso d’Aquino ci dà la seguente esposizione della dottrina di Davide: «Egli divise la realtà in tre parti: corpi, anime e sostanze separate. Il principio indivisibile dal quale sono costituiti i corpi chiamò byle (materia); il principio indivisibile dal quale sono costituite le anime chiamò noun o mente; e chiamò Dio il principio indivisibile delle sostanze eterne. Egli affermò che questi tre principi sono un’unica e identica cosa, dal che segue che tutte le cose sono per loro essenza una sola» (In Sent., II, d. 17, q. 1, a. 1).

Secondo S. Tommaso, la differenza tra la dottrina di Amalrico e quella di Davide è in ciò, che per Amalrico, Dio è essenza o forma di tutte le cose, per Davide è la materia.

Le stesse caratterizzazioni della dottrina di Davide ci dà Alberto Magno (Summa theol., I, tract. IV, q. 20). Come essere originario, Dio è l’essere puramente potenziale. Davide ha probabilmente svolto le implicanze positive della teologia negativa propria della sua epoca.

Dio è fuori di tutte le categorie, le quali costituiscono l’essere in atto; ma, al di fuori delle categorie, non vi è che l’essere in potenza, che è la prima condizione per la costituzione di tutte le cose. Davide identificò l’essere in potenza con Dio e poiché l’essere in potenza è la materia prima, identificò la materia prima con Dio.

Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Volume primo La filosofia antica, la Patristica e la Scolastica, Torino, 1993, pp. 453–454

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.