Il non-intervento in Spagna

di Simone Weil (inverno 1936–1937)

Mario Mancini
6 min readMay 9, 2022

Vai al libro Mosaico “Simone Weil, Scritti sulla guerra 1933–1943”

Il rifiuto di sacrificare la pace

Una preoccupazione mi pesa sul cuore, fin dall’inizio della politica di non-intervento. Molti altri, sicuramente, la condividono.

Non è mia intenzione unirmi agli attacchi violenti — alcuni sinceri, la maggior parte perfidi — che sono stati sferrati contro il nostro compagno Léon Blum.[1]

Riconosco le necessità che determinano la sua azione. Per quanto dure e amare possano essere, ammiro il coraggio morale che gli ha permesso di sottomettervisi, nonostante tutte le proteste enfatiche.

Anche quando ero in Aragona, in Catalogna, in mezzo a un’atmosfera di lotta, tra militanti che non trovavano parole abbastanza severe per qualificare la politica di Blum, io approvavo tale politica. Il fatto è che mi rifiuto di sacrificare deliberatamente la pace per un punto di vista personale, anche quando si tratta di salvare un popolo rivoluzionario minacciato di sterminio.

Ma in quasi tutti i discorsi pronunciati dal nostro compagno Léon Blum dopo l’inizio della guerra di Spagna, ritengo che vi siano, accanto a frasi profondamente toccanti sulla guerra e la pace, altre che hanno un tono inquietante.

Ho atteso con ansia che qualche militante responsabile reagisse, discutesse, ponesse certe domande. Devo constatare che l’atmosfera torbida esistente all’interno del Fronte popolare riduce molti compagni al silenzio o a una espressione involuta del loro pensiero.

In guerra non per i patti

Léon Blum non perde occasione, in mezzo alle frasi più commoventi, di dire in sostanza questo: noi vogliamo la pace, noi la manterremo a ogni costo, a meno che un’aggressione contro il nostro territorio o contro i territori da noi garantiti non ci costringa alla guerra.

In altri termini, noi non faremo la guerra per impedire che gli operai, i contadini spagnoli siano sterminati da una cricca di selvaggi più o meno gallonati. Ma, all’occorrenza, faremmo la guerra per l’Alsazia-Lorena, per il Marocco, per la Russia, per la Cecoslovacchia e, se un Tardieu[2] qualunque avesse firmato un patto di alleanza con Honolulu, faremmo la guerra per Honolulu.

A causa della simpatia che provo per Léon Blum, e soprattutto a causa delle minacce che pesano su tutto il nostro futuro, darei qualunque cosa per poter interpretare in altri termini le frasi a cui penso. Ma non esistono altre interpretazioni possibili. Le parole di Blum sono fin troppo chiare.

Forse i militanti delle organizzazioni di sinistra e della CGR, [3] forse gli operai e i contadini del nostro paese accettano questa posizione? Non ne so nulla. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. Per quanto mi riguarda, non la accetto.

Il patto della fraternità

Gli operai, i contadini, che dall’altra parte dei Pirenei si battono per difendere la propria vita, la propria libertà, per scrollarsi di dosso il peso dell’oppressione sociale che li ha così a lungo schiacciati, per arrivare a prendere in mano il loro destino, non sono legati alla Francia da alcun trattato scritto.

Ma tutti — CGT, partito socialista, classe operaia — ci sentiamo legati a loro da un patto non scritto di fraternità, da legami di carne e di sangue più forti di tutti i trattati. Che peso hanno rispetto a questa fraternità unanimemente condivisa le firme apposte da un Poincaré, da un Tardieu, da un Laval qualunque su carte mai sottoposte alla nostra approvazione?

Se mai la somma di sofferenze, di sangue e di lacrime che una guerra rappresenta potesse essere giustificata, sarebbe nel caso in cui un popolo lotta e muore per una causa che desidera difendere, e non per un pezzo di carta che non ha mai avuto la possibilità di conoscere.

La guerra non è un pezzo di carta

Léon Blum certo condivide, sulla questione spagnola, i sentimenti delle masse popolari. Si dice che abbia pianto, quando ha parlato della Spagna davanti ai segretari delle federazioni socialiste. Molto probabilmente, se fosse stato all’opposizione, avrebbe fatto sua la parola d’ordine: «Cannoni per la Spagna».

Ciò che ha frenato il suo slancio di solidarietà, è un sentimento legato al possesso del potere: il sentimento di responsabilità di un uomo che ha nelle sue mani la sorte di un popolo, e che si vede sul punto di farlo precipitare in una guerra.

Ma sarebbe preso dallo stesso senso di responsabilità, se al posto degli operai e dei contadini spagnoli fosse in gioco una Cecoslovacchia qualunque?

Oppure un certo spirito giuridico gli farebbe credere che in un caso come questo tutta la responsabilità appartiene a un pezzo di carta?

Questo problema è, per ognuno di noi, una questione di vita o di morte.

Un’aggressione

La sicurezza collettiva è iscritta nel programma del Fronte popolare. A mio parere, quando i comunisti accusano Léon Blum di abbandonare, nel caso spagnolo, il programma del Fronte popolare hanno ragione.

È vero che i patti e gli altri testi che fanno riferimento alla sicurezza collettiva non prevedono nulla di simile al conflitto spagnolo; il fatto è che non ci si sarebbe mai aspettati qualcosa di simile. Ma, in ultima analisi, i fatti sono chiari.

C’è stata un’aggressione, un’aggressione militare vera e propria, benché sotto forma di guerra civile. Alcuni paesi stranieri hanno sostenuto questa aggressione.

Sembrerebbe normale estendere a un caso come questo il principio della sicurezza collettiva, dell’intervento militare per schiacciare l’esercito colpevole di aggressione.

Limitare il conflitto

Invece di orientarsi verso questa prospettiva, Léon Blum ha cercato di limitare il conflitto. Perché? Perché l’intervento, anziché ristabilire l’ordine in Spagna, avrebbe messo a ferro e fuoco tutta l’Europa. Ma è sempre stato così, e sarà sempre così, tutte le volte che una guerra locale pone il problema della sicurezza collettiva.

Sfido chiunque, compreso Léon Blum, a spiegare perché le ragioni a sfavore di un intervento in Spagna avrebbero minor forza se si trattasse della Cecoslovacchia, invasa dai tedeschi.

Molte persone hanno chiesto a Léon Blum di “riconsiderare” la sua politica nei confronti della Spagna. È una posizione che regge.

Ma se non la si adotta, allora, per essere coerenti verso se stessi, bisogna chiedere a Léon Blum da una parte, e alle masse popolari dall’altra, di “riconsiderare” il principio della sicurezza collettiva. Se il non-intervento in Spagna è ragionevole, la sicurezza collettiva è un’assurdità, e viceversa.

Il problema della guerra e della pace

Il giorno in cui Léon Blum ha deciso di non intervenire in Spagna si è assunto una grave responsabilità. Ha deciso allora di arrivare, qualora fosse il caso, fino al punto di abbandonare i nostri compagni di Spagna a uno sterminio di massa.

Tutti noi, che l’abbiamo sostenuto, condividiamo questa responsabilità. Ebbene! Se noi abbiamo accettato di sacrificare i minatori delle Asturie, i contadini affamati di Aragona e di Castiglia, gli operai libertari di Barcellona piuttosto che scatenare una guerra mondiale, nient’altro al mondo deve portarci a scatenare la guerra.

Niente, né l’Alsazia-Lorena, né le colonie, né i trattati. Non si dirà che qualcosa al mondo ci sia più caro della vita del popolo spagnolo. Se noi invece li abbandoniamo, se li lasciamo massacrare, e poi facciamo lo stesso la guerra per un altro motivo, che cosa potrà giustificarci ai nostri propri occhi?

Vogliamo deciderci, sì o no, a guardare queste questioni in faccia, a porre, nel suo complesso, il problema della guerra e della pace?

Se continuiamo a eludere il problema, a voler chiudere gli occhi, a ripetere parole d’ordine che non risolvono nulla, che venga pure allora la catastrofe mondiale. Tutti noi l’avremo meritata, per la nostra viltà intellettuale.

Note

[1] Léon Blum (1872–1950), presidente del governo del Fronte popolare nel 1936, aveva dovuto cedere alle pressioni del governo inglese, cosa che Simone Weil ignorava.

[2] André Tardieu (1876–1945), più volte ministro, fu Presidente del Consiglio nel 1929, 1930 e 1932. Fondò il gruppo del Centro repubblicano. A partire dal 1935, si ritirò dalla politica. Il suo atteggiamento autoritario era mal visto dalla sinistra, da qui l’ironia di Simone Weil.

[3] Confédération Générale du Travail. Organizzazione sindacale francese fondata nel 1895 e tuttora esistente. Subì nel 1921 una scissione che rifletteva la divisione tra Partito socialista e Partito comunista. Si riunificò all’epoca del governo del Fronte popolare (1936), e durante la Seconda guerra mondiale molti suoi membri parteciparono alla Resistenza.

Da: Simone Weil, Sulla guerra. Scritti 1933–1943, Edizioni del Corriere della Sera, 2022, pp. 47–51

Questo progetto di articolo fu scritto nell’inverno 1936–1937. È attualmente incluso in OC, n, 1, pp. 43–46.

Simone Weil (1909–1943) Filosofa e scrittrice di origini ebraiche, si formò all’École Normale Supérieure di Parigi e, dopo la laurea in Filosofia, insegnò in alcuni licei francesi, avvicinandosi ai movimenti dell’estrema sinistra e al sindacalismo rivoluzionario. Animata da un profondo desiderio di rinnovamento sociale, appoggiò le rivendicazioni degli operai e nel 1934, per dimostrare la sua partecipazione, scelse di abbandonare l’insegnamento e lavorare in fabbrica. Nel 1936, durante la guerra civile spagnola, si arruolò nelle file delle brigate rivoluzionarie contro le milizie di Franco. Dopo l’esperienza bellica si aprì per lei un periodo di crisi spirituale, che la portò ad avvicinarsi al cristianesimo. Durante il secondo conflitto mondiale si rifugiò prima negli Stati Uniti e poi in Inghilterra, dove militò a fianco delle autorità in esilio della Resistenza francese e dove morì di tubercolosi.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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