Ernst Bloch: l’ontologia del non ancora
di Emanuele Severino
Il passaggio al niente
La dialettica, lo sviluppo, la storia, la prassi, di cui parla il marxismo sono il divenire sono i modi specifici in cui il divenire è presente nel marxismo e, prima ancora, nell’idealismo. Ma il divenire al quale ci si riferisce nello svolgimento del pensiero filosofico occidentale è ciò che, sappiamo, è stato portato alla luce, una volta per tutte, dalla filosofia greca — ossia è il divenire nel suo senso ontologico, cioè come rapporto dell’essente con l’essere e col niente: passaggio dal niente all’essere e dall’essere al niente.
Il divenire mantiene questa essenza sia che esso venga concepito come realtà esterna e indipendente dall’uomo, sia che venga visto nella sua relazione alla realtà umana o, addirittura, come coincidente con lo sviluppo del pensiero e della soggettività. Il senso ontologico del divenire è presente anche quando non è oggetto di riflessione esplicita — il che accade non solo nelle varie forme della cultura e della civiltà occidentale, ma anche nel pensiero filosofico.
Il marxismo di Ernst Bloch (1875–1977), invece, è una delle filosofie in cui non solo il senso ontologico del divenire è reso esplicito, ma diventa anche esplicita la connessione esistente tra tale senso e la distruzione dell’epistéme.
L’autentica riflessione filosofica deve essere, per Bloch, una “ontologia del non-ancora”. Questa espressione indica, da un lato, l’essenziale incompiutezza dell’essere e, dall’altro, il protendersi dell’essere oltre ogni configurazione compiuta da esso raggiunta.
L’essere stesso è il “non ancora”, ossia è apertura verso il futuro, possibilità radicale che al di là di ogni forma in cui si chiude l’essere vi sia altro che ancora non è in alcun modo esistente e che non può essere anticipato “scientificamente”, cioè in prospettive incontrovertibili e definitive (la scienza moderna è sostanzialmente identificata, da Bloch come da Gramsci, alla sua configurazione epistemica).
L’incompiutezza come speranza: l’utopia
Ogni realtà è questa essenziale incompiutezza proiettata in avanti, in un processo che tende indefinitamente alla compiutezza e perfezione dell’essere, ma in cui non esiste alcun percorso obbligato e unilineare, e dove dunque non esiste nemmeno alcuna garanzia di successo, ma la regressione e la sconfitta sono altrettanto possibili delle avanzate e delle vittorie. L’incompiutezza dinamica dell’essere si costituisce, nell’uomo, come “speranza” — speranza di oltrepassare ogni dimensione in cui si chiude e cristallizza la storia dell’uomo.
L’“utopia” — il portarsi, come suggerisce questa parola, oltre ogni luogo, verso ciò che non è in alcun luogo ed è destinato a rimanere un “non ancora” — costituisce dunque l’essenza dell’essere e si esprime nelle varie forme della “coscienza anticipante”, che non è anticipazione “scientifica” del futuro, ma liberazione dalle strutture che pretendono chiudere in sé il divenire dell’uomo, ossia è «l’abolizione dello stato di cose presente».
I miti, la religione, i grandi desideri degli individui, l’arte e il marxismo sono appunto i modi in cui, per Bloch, l’uomo tiene aperto il futuro.
L’apertura al futuro e la cristallizzazione del socialismo reale
Appunto per questo Bloch ha visto nel “socialismo reale” il tradimento del principio animatore del marxismo: il “socialismo reale” ha “collettivizzato” i mezzi di produzione, ma non per restituire all’uomo la responsabilità della sua vita morale e culturale, ma per renderlo schiavo dello Stato totalitario.
Invece di essere abolizione dello stato di cose presenti, il “socialismo reale”, come dottrina e come azione politica, anticipa “scientificamente” il futuro, cioè lo elimina come possibilità e apertura, e ostacola la libertà e la dignità degli individui, chiudendoli in uno stato di cose presenti che è tra i più oppressivi.
Ma l’ontologia di Bloch implica anche che l’“alienazione” non sia legata, a differenza di quanto pensa Marx, alla società capitalistica, ma sia legata all’essenziale incompiutezza dell’uomo e sia quindi la condizione insuperabile della vita umana.
Si tratta di una prospettiva che — oltre ad essere dominante nell’esistenzialismo — compare anche nel principio maoista per il quale la lotta tra le classi (e quindi l’alienazione delle classi e dei gruppi sociali perdenti o subordinati) non sparisce in seguito alla collettivizzazione dei mezzi di produzione, ma permane nello squilibrio determinato dalla divisione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale e dalla conflittualità che si ripropone sul piano “culturale”.
Emanuele Severino, La filosofia contemporanea, Milano, RCS libri, 2010, pp. 291–92