Elezioni americane: i confronti televisivi tra i due candidati alla presidenza
Quanti voti spostano?
Intervista al prof. Stefano Luconi
Regole ferree per Biden e Trump
Il prossimo 27 giugno si svolgerà il primo dei due dibattiti televisivi tra Joe Biden e Donald Trump in vista delle elezioni presidenziali del 5 novembre. Il secondo è programmato per il 10 settembre.
Il confronto di 90 minuti del 27 giugno si terrà negli studi della CNN, uno dei principali network televisivi degli Stati Uniti. Si svolgerà con regole ferree data l’ostilità tra i due contendenti e i precedenti dei confronti del 2020.
La CNN ha fatto sapere che “I moderatori utilizzeranno tutti gli strumenti a loro disposizione per rispettare i tempi e garantire una discussione civile”.
Non ci saranno dichiarazioni di apertura. Il presidente Biden e l’ex presidente Trump avranno ciascuno due minuti per rispondere alle domande e un solo minuto per le repliche e le risposte alle repliche. Luci rosse visibili ai candidati lampeggeranno quando avranno cinque secondi rimanenti e diventeranno rosse fisse quando il tempo sarà scaduto. Il microfono di ciascun candidato sarà spento quando non è il suo turno di parlare.
I candidati avranno una pausa durante due intervalli pubblicitari ma gli sarà vietato consultare o riunirsi con i consiglieri mentre sono fuori onda.
Un confronto civile
Si spera così di offrire al pubblico un confronto “civile”, per usare le parole della CNN che è, a differenza di Fox News, un network ostile a Trump che si è spinto ad apostrofare uno dei due moderatori del confronto, il giornalista Jake Tapper, con l’epiteto “fake Tapper”.
Nel 2020, più di 73 milioni di spettatori hanno seguito il primo dibattito tra Biden e Trump. Non sono in pochi a ritenere che lo spostamento di elettori dovuto a questo evento può decidere le sorti delle elezioni presidenziali.
Ci siamo di nuovo rivolti al Prof. Stefano Luconi, docente Storia degli Stati Uniti d’America nel dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova, per avere lumi sul significato di questi appuntamenti nella storia delle elezioni presidenziali americane.
D: Professore, che tradizione esiste nella storia americana di un confronto diretto tra i candidati alla presidenza?
R: Questi appuntamenti tra i candidati alla Casa Bianca sono oggi considerati momenti abituali della campagna elettorale. Tuttavia, in un Paese come gli Stati Uniti, dove l’introduzione del suffragio universale maschile per i cittadini bianchi risale al terzo decennio dell’Ottocento, il confronto diretto tra gli aspiranti alla principale carica elettiva federale è un’acquisizione relativamente recente, che ha coinciso con l’emergere della televisione come mezzo di comunicazione di massa nel secondo dopoguerra.
D: Che succedeva in precedenza?
R: In precedenza, i candidati alla presidenza non si erano mai avvalsi di questo strumento dopo aver conquistato la nomination dei loro partiti. Rimangono ancora famosi i sette dibattiti che, quando i giornali erano l’unica fonte di informazione, contrapposero il repubblicano Abraham Lincoln e il democratico Stephen Douglas nel 1858. I due avrebbero corso per la presidenza nel 1860, ma il confronto passato alla storia ebbe luogo due anni prima e la posta in gioco era uno dei due seggi dell’Illinois al Senato federale, non lo Studio Ovale.
D: Con l’avvento della radio, questo mezzo avrebbe potuto costituire un veicolo per mettere a confronto le personalità e i programmi dei candidati. Risultò davvero utile?
R: La radio non dette vita a confronti diretti tra gli aspiranti alla Casa Bianca durante le campagne elettorali sebbene fosse sorta negli Stati Uniti proprio per rispondere a un interesse precipuo per la politica: la prima stazione commerciale americana, la KDKA di Pittsburgh, inaugurò le sue trasmissioni il 2 novembre 1920 con un programma dedicato ai risultati delle elezioni presidenziali di quell’anno e, nel corso degli anni Trenta, sia il presidente repubblicano Herbert Hoover sia il suo successore democratico Franklin D. Roosevelt erano soliti rivolgersi ai cittadini attraverso lo strumento radiofonico.
D: Però Roosevelt nel 1940 rifiutò il confronto con lo sfidante. Perché?
R: In effetti 1940 il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Wendell Willkie, sfidò Roosevelt, che aveva ottenuto la nomination democratica per ricoprire un terzo mandato, ad affrontare alla radio le questioni più importanti prima del voto. Willkie non era un politico di professione: era un avvocato d’impresa e dirigente di aziende. Nel 1938 aveva brillantemente sostenuto un dibattito sui rapporti tra il settore pubblico e quello privato con l’assistente procuratore generale (una sorta di sottosegretario alla Giustizia) Robert H. Jackson nel corso della trasmissione America’s Town Meeting of the Air del network radiofonico NBC (National Broadcasting Company). Roosevelt temette domande imbarazzanti sul possibile ingresso degli Stati Uniti, ancora formalmente neutrali, nella Seconda guerra mondiale, che avrebbero potuto fargli perdere voti tra i numerosi elettori isolazionisti. Pertanto, rifiutò il confronto con Willkie, con il pretesto che discutere apertamente con il proprio avversario fosse poco “presidenziale”, cioè non si addicesse a uno statista che si atteggiava a figura super partes e simbolo dell’unità nazionale in un periodo di crisi mondiale. Dopo il secondo conflitto mondiale la radio fu teatro di un unico dibattito. La tenzone, però, non fu tra i candidati alla presidenza, bensì tra Thomas E. Dewey e Harold Stassen in lotta per il conseguimento della nomination repubblicana.
D: Nel 1939 la NBC iniziò le trasmissioni regolari negli Stati Uniti. A quando risalgono i primi confronti televisivi tra candidati?
R: Il primo si svolse nel 1956, ma non coinvolse i vincitori della nomination per la presidenza. Come nel caso della radio, anche i primi due dibattiti televisivi riguardarono le elezioni primarie, in questo caso quelle democratiche: nel 1956 si affrontarono Adlai Stevenson ed Estes Kefauver, mentre nel 1960 si scontrarono John Fitzgerald Kennedy e Hubert Humphrey. Non ebbe, invece, seguito il tentativo di mettere insieme davanti alle telecamere nel 1956 Stevenson, che aveva prevalso su Kefauver, e il presidente repubblicano Dwight D. Eisenhower, in corsa per la conferma.
D: E così si arriva al 1960 con i famosi confronti televisivi tra John Kennedy e Richard Nixon che molti ritengono siano stati determinanti nell’elezione di Kennedy a Presidente.
R: Proprio così. Fu solo nel 1960 che si inaugurò l’epoca dei dibattiti televisivi tra i candidati alla Casa Bianca. Quell’anno furono ben quattro ed ebbero come protagonisti Kennedy, fresco vincitore su Humphrey, e il repubblicano Richard M. Nixon, il vicepresidente in carica. Kennedy trionfò soprattutto nel primo, trasmesso il 26 settembre, non tanto per le sue affermazioni quanto per come apparve in video. Non a caso, chi ascoltò il dibattito alla radio si convinse che lo avesse vinto Nixon.
D: Inizia a pesare l’immagine nella valutazione degli elettori. Vero?
R: Sì. Sebbene Kennedy avesse solo quattro anni meno di Nixon, le immagini misero in risalto la sua giovinezza, una percezione che venne incontro all’esigenza di parte dell’elettorato favorevole a uno svecchiamento della politica dopo otto anni di controllo repubblicano sulla Casa Bianca. Inoltre, Nixon, poco avvezzo al mezzo televisivo, non si era rasato e non fece uso del cerone, col risultato di sembrare molto più anziano dei suoi 47 anni. La camicia azzurra, che risultò grigia sul video in bianco e nero, rese Nixon una figura cupa e lugubre che non ispirò la fiducia dei telespettatori.
D: La “brutta figura” di Nixon fece un po’ scuola. Per esempio se ne ricordò Johnson.
R: L’insuccesso di Nixon sul piccolo schermo causò una sospensione dei dibattiti. Nel 1964 il presidente democratico in carica, Lyndon B. Johnson, consapevole di non essere telegenico, evitò di affrontare il suo sfidante repubblicano Barry Goldwater. Nel 1968 e nel 1962 Nixon non volle rischiare di ripetere la débâcle del 1960. Il ritorno ai confronti in video, però, ancora una volta non arrise al candidato repubblicano.
D: Come accade a Gerald Ford.
R: Nel 1976 il presidente Gerald Ford incorse in una gaffe che concorse alla sua sconfitta contro il democratico Jimmy Carter: in piena guerra fredda negò che l’Europa orientale fosse sotto il dominio dell’Unione Sovietica.
D: Ma con Ronald Reagan i repubblicani si avvantaggiarono, non è così?
R: Poiché l’avvento dei dibattiti televisivi ha segnato la spettacolarizzazione della politica statunitense e ha contribuito alla sua trasformazione in una sorta di prodotto commerciale, il partito repubblicano poté avvantaggiarsene quando candidò un consumato attore quale Ronald Reagan. In un celeberrimo passaggio dell’appello finale agli elettori nel 1980, rivolto a un’audience di oltre 80 milioni, chiese ai telespettatori se stessero meglio sotto il democratico Carter, con l’inflazione al 13,5% e il tasso di disoccupazione superiore al 7%, di come si fossero sentiti sotto l’amministrazione repubblicana di Ford.
D: Reagan riuscì anche a trasformare la sua età in un vantaggio sul più giovane Walter Mondale. La capacità di comunicare di un candidato diventa ora la componente fondamentale per andare nello Studio Ovale?
R: Nel 1984, per confutare le perplessità di chi lo riteneva, a 73 anni, troppo anziano per ricandidarsi, Reagan osservò ironicamente che non era sua intenzione trasformare l’età in una questione politica e pertanto non avrebbe cercato di trarre vantaggio della gioventù e dell’inesperienza del suo sfidante democratico, il cinquantaseienne Walter Mondale, già vicepresidente di Carter.
D: Quattro anni dopo i dibattiti televisivi furono fatali al candidato democratico Michael Dukakis che commise un errore palese.
R: Già, nel 1988 la forza delle immagini tornò preponderante. Dukakis, contrario alla pena capitale, sostenne che se sua moglie fosse stata stuprata e assassinata non avrebbe nutrito odio verso l’assassino e non avrebbe chiesto che fosse condannato a morte. La sua impassibilità in video comunicò l’idea che stesse recitando un copione, facendolo sembrare un candidato insincero e inaffidabile e agevolando così il repubblicano George H.W. Bush a vincere le elezioni. Quest’ultimo, tuttavia, nel 1992 fu colto dalle telecamere mentre guardava l’orologio durante la discussione. L’inquadratura rafforzò la sua nomea di politico che riteneva il dialogo e il confronto tra idee diverse una perdita di tempo, favorendo la sua sconfitta.
D: Che peso reale hanno i dibattiti televisivi sul risultato di novembre?
R: I precedenti citati non devono indurre a concludere che i dibattiti televisivi siano sempre stati determinanti per l’esito delle votazioni. Secondo i sondaggi, il democratico Al Gore prevalse sul repubblicano George W. Bush nei confronti del 2000 e il repubblicano Mitt Romney vinse il primo dibattito con il democratico Barack Obama nel 2012. Nondimeno, sia Gore sia Romney uscirono sconfitti dalle urne.
D: Come vede il dibattito del prossimo 27 giugno?
Biden sembra convinto che i dibattiti possano ancora influenzare la scelta del presidente in maniera significativa. Il primo di quest’anno, infatti, si terrà in una circostanza del tutto insolita. Il 27 giugno non si saranno ancora svolte le convenzioni nazionali democratica e repubblicana. Quindi, pur disponendo dei delegati per ottenere la nomination, né Biden né Trump figureranno ancora come i candidati ufficiali dei loro partiti. In passato tutti i confronti televisivi si sono svolti tra settembre e ottobre, mai con oltre quattro mesi di anticipo sulla data delle elezioni. Ma Biden ha voluto sincerarsi che gli elettori avessero tempo sufficiente per dimenticarsi delle sue possibili gaffe, una necessità che spiega anche la collocazione del secondo dibattito a quasi due mesi dal voto.
D: Biden dovrebbe sapere che ci sono anche i social media i quali sembrano avere un impatto simile se non uguale a quello della televisione.
R: La rilevanza odierna dei dibattiti tra i candidati alla presidenza risulta di gran lunga inferiore rispetto al passato. Internet e i social sono oggi i principali strumenti di informazione per gran parte dell’elettorato. Non a caso, a fronte di un aumento del numero dei votanti potenziali in seguito alla crescita della popolazione, sia pure con alcuni momenti di discontinuità rispetto al trend declinante del pubblico collegato, l’audience è scesa dai più di 80 milioni di spettatori del secondo dibattito tra Carter e Reagan nel 1980 ai 63 milioni dell’ultimo confronto televisivo tra Trump e Biden nel 2020, che a sua volta ha rappresentato una diminuzione di circa 8,6 milioni rispetto a quello finale tra Hillary Clinton e Trump nel 2016. Proprio nel 2016 le preferenze espresse nei messaggi diffusi attraverso l’allora Twitter (ora X) risultarono un indicatore più attendibile dell’elezione di Trump rispetto alla valutazione dei telespettatori che, in maggioranza, assegnarono a Hillary Clinton la vittoria nei dibattiti televisivi.
D: E Kennedy beneficerà di un confronto televisivo?
R: Resta, in effetti, l’opportunità di una visibilità nazionale offerta dal confronto televisivo, non certo per i candidati dei due maggiori partiti quanto per gli indipendenti e per quelli delle formazioni minori. Così si spiega, ad esempio, il ricorso presentato da Robert F. Kennedy Jr. alla Federal Election Commission contro la sua esclusione dai due dibattiti di quest’anno. È, comunque, molto improbabile che venga accolto. La rete televisiva CNN, che li ospiterà, ha stabilito che siano ammessi solo i candidati ai quali la media dei sondaggi attribuisca almeno il 15% delle intenzioni di voto, mentre Kennedy Jr. è accreditato di non più del 10%. Sebbene la soglia adottata sia del tutto arbitraria, rispecchia quella utilizzata come criterio per le precedenti elezioni presidenziali e, in ogni caso, non c’è nessuna disposizione legislativa che imponga requisiti meno vincolanti.
Ringraziamo il prof. Luconi e ci diamo appuntamento per le convention dei due partiti, se nel frattempo non succede niente di rilevante.
Stefano Luconi insegna Storia degli Stati Uniti d’America nel dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova. Le sue pubblicazioni comprendono La “nazione indispensabile”. Storia degli Stati Uniti dalle origini a Trump (2020), Le istituzioni statunitensi dalla stesura della Costituzione a Biden, 1787–2022 (2022) e L’anima nera degli Stati Uniti. Gli afro-americani e il difficile cammino verso l’eguaglianza, 1619–2023 (2023).
Libri:
Stefano Luconi, La corsa alla Casa Bianca 2024. L’elezione del presidente degli Stati Uniti dalle primarie a oltre il voto del 5 novembre, goWare, 2023, pp. 162, 14,25€ edizione cartacea, 6,99€ edizione Kindle
Stefano Luconi, Le istituzioni statunitensi dalla stesura della Costituzione a Biden, 1787–2022, goWare, 2022, pp. 182, 12,35€ edizione cartacea, 6,99€ edizione Kindle