1921–2021: buon compleanno al Tractatus Logico-Philosophicus
Estratti da: Jacopo Stefani, Uscite dal pensiero. Ludwig Wittgenstein e il problema della vita, goWare, Firenze, 2019
Paul Engelmann, Lettere di Ludwig Wittgenstein, con Ricordi, La Nuova Italia, Firenze, 1967
La nascita del Tractatus
di Jacopo Stefani
In congedo dal fronte
Nell’autunno del 1916 Wittgenstein fu mandato in congedo a Olmütz per frequentare un corso per ufficiali di artiglieria, circostanza in cui ebbe modo di conoscere Paul Engelmann.
Fu questo per lui un periodo felice, anche perché Engelmann fu uno dei suoi pochi conoscenti che si mostrò in grado di capire l’aspetto spirituale delle sue riflessioni.
Inoltre nel corso dell’anno seguente la vita al fronte si fece molto più serena per via della rivoluzione russa, al punto che fino alla primavera del 1918 Wittgenstein si poté concentrare sul grosso del lavoro di dare finalmente una forma compiuta alle riflessioni di tutti questi anni.
Tuttavia, dopo essere stato trasferito sul fronte meridionale e aver combattuto nuovamente, ricevette la notizia della morte di un amico di Cambridge di cui si era innamorato e col quale era rimasto in comunicazione epistolare per tutta la guerra.
Il dolore dovette senz’altro appesantire la fatica della conclusione dell’opera, che, ciononostante, giunse alla fine in porto; sebbene in uno stato di lutto e di guerra, era nato il Logisch-philosophische Abhandlung, più noto come Tractatus logico-philosophicus (titolo suggerito da George Edward Moore e inspirato al Tractatus theologico-politicus di Spinoza).
Wittgenstein dedicò il libro all’amico scomparso e lo portò con sé al ritorno sul fronte. Lì il 3 novembre del 1918 fu preso prigioniero insieme con il grosso delle truppe austriache stanziate nell’area di Trento.
Il Tractatus un’opera spirituale?
Wittgenstein, animato da un profondo senso di disperazione e di inadeguatezza, si arruola per combattere in una delle guerre più difficili della storia; nel corso di questa esperienza legge alcuni grandi scrittori di argomento religioso, sviluppando l’idea che l’esperienza della fede abbia un valore incomparabile; nel mentre egli prosegue anche la redazione dell’opera che nelle sue intenzioni dovrebbe porre fine a tutti i problemi filosofici, e raggiunge l’intuizione fondamentale sulla connessione fra questi e la radice dei suoi problemi esistenziali fronteggiando la morte in trincea.
Di fronte a tutto ciò, forse non sembrerà così strano avanzare la provocazione per la quale sarebbe meglio leggere il Tractatus come un trattato spirituale che come un’opera sulla natura della logica. I
Il senso di questa mia affermazione, che si chiarirà più avanti, potrebbe essere compendiato nell’idea che questo libro racchiuda al suo interno, alla maniera di uno scrigno, un modo di vedere e conseguentemente affrontare il mondo: un modo spietato e privo di appigli, ma al tempo stesso fondato sulla magnifica intuizione dell’irriducibilità dello sguardo gettato su di esso (e della vita che lo muove).
Che l’argomento dell’opera sia logico solo in senso strumentale lo si può chiarire con un’ennesima citazione delle parole di Wittgenstein:
L’argomento del libro è etico. […] Il mio lavoro consiste di due parti: quello che ho scritto più tutto quello che non ho scritto. E proprio questa seconda parte è quella più importante. Il mio libro pone dei limiti alla sfera dell’etica dal di dentro, per così dire, e sono convinto che questo è l’unico modo rigoroso di porre quei limiti.
La lettera in cui egli scrisse queste affermazioni era indirizzata a Ludwig Ficker, editore di una rivista letteraria e suo conoscente, che il nostro filosofo consultò per una possibile pubblicazione del Tractatus.
La vicenda della pubblicazione dell’opera
Anche la vicenda della pubblicazione dell’opera può essere istruttiva. Nel corso della sua detenzione a Cassino Wittgenstein riuscì a farne pervenire copia a Frege, Engelmann e Russell, e quest’ultimo iniziò a discutere con lui della possibilità di pubblicarla.
Ciò che però accadde parve confermare i timori di Wittgenstein, che riteneva che il suo lavoro non sarebbe stata compreso. Infatti non solo Frege non ne capì una parola, ma tutti gli editori a cui egli si rivolse per la pubblicazione lo videro come un potenziale fallimento economico, di modo che alcuni non furono interessati, mentre altri erano possibilisti solo grazie alle lettere di presentazione di un intellettuale come Russell.
Alla fine proprio Russell decise di stendere in prima persona un saggio da premettere all’opera, condizione che avrebbe convinto la casa editrice Reclam a pubblicarla anche senza richiedere modifiche.
L’introduzione di Russell
Wittgenstein però leggendo questa introduzione si rese conto che nemmeno l’ex-maestro era stato in grado di capire l’importanza di ciò che “non aveva scritto”. Scrisse in una lettera a Engelmann risalente al 1920:
Il mio libro probabilmente non verrà stampato, perché non ho saputo risolvermi a farlo uscire con l’introduzione di Russell, che nella traduzione è ancora più impossibile dell’originale.
In effetti Russell verso la fine della sua introduzione non nasconde di provare un senso di “disagio intellettuale” di fronte all’inesprimibilità di ciò che si può mostrare ma non dire. Così facendo, però, dimostrava di non aver capito la maturazione che si era verificata nell’allievo di un tempo.
Egli aveva interpretato il libro come un trattato di logica proposizionale, non arrivando ad afferrare il meccanismo per il quale esso mediante una certa immagine della logica avrebbe dovuto spazzare via ogni ostacolo intellettualistico sulla via della conoscenza di sé.
Da: Jacopo Stefani, Uscite dal pensiero. Ludwig Wittgenstein e il problema della vita, goWare, Firenze, 2019, pp. 46–48
Wittgenstein sulla introduzione di Russell
Lettera a Engelmann del 26 gennaio 1920
L’introduzione di Russell al mio libro è arrivata e adesso la stanno traducendo in tedesco. È una mistura con la quale non sono molto d’accordo, ma, dato che non l’ho scritta io, non me la prendo molto.
Lettera a Engelmann del 24 aprile 1920
Il mio libro probabilmente non verrà stampato, perché non ho saputo risolvermi a farlo uscire con l’introduzione di Russell, nella traduzione è ancora più impossibile dell’originale. Per il resto, mi va piuttosto male e avrei urgente necessità di parlarle. Ma dovremo ugualmente pazientare ancora un po’.
Lettera a Russell del 6 maggio 1920
Ma ora tu sarai in collera con me per quel che ti racconto: la tua Introduzione non viene stampata e quindi, probabilmente, nemmeno il mio libro. Quando infatti mi trovai davanti la traduzione tedesca dell’Introduzione non poteti decidermi di farla stampare con il mio lavoro. La finezza del tuo stile inglese infatti era — ovviamente — andata perduta nella traduzione, e ciò che restava era superficialità e fraintendimento. Ora ho inviato il trattato e la sua Introduzione a Reclam (la casa editrice di Lipsia), cui ho scritto che l’Introduzione non voglio sia stampata, ma non gli deve servire che per orientarsi sul mio lavoro. È ora sommamente probabile che perciò Reclam non accetti il mio lavoro (quantunque io non abbia ancora una sua risposta).
Lettera a Engelmann del 30 maggio 1920
Provo di nuovo il desiderio di svuotarmi; in questi ultimi tempi ho avuto una vita assolutamente pietosa. Ciò naturalmente solo per la mia bassezza e volgarità. Ho continuamente pensato di togliermi la vita, e ancora adesso questo pensiero è vivo nella mia mente. Sono completamente sprofondato. Possa non capitarle mai di trovarsi in un tale stato! Chissà se mi riuscirà mai di ritirarmi su? Vedremo. La Reclam non mi accetta il libro. La cosa mi è del tutto indifferente, e questo è un bene.
Ricordo di Paul Engelmann
L’amarezza di Wittgenstein sulla sua incomprensione come filosofo
Il mio lungo silenzio cui Wittgenstein accenna nella lettera del 30 maggio 1920 era probabilmente dovuto al fatto che trovavo molto difficile scrivergli in quelle particolari circostanze, e — come spesso accade in questi casi — ero paralizzato da quella sensazione.
Dopo aver visto che i miei tentativi di far pubblicare il libro non avevano avuto successo, fui sconfortato dalla reticenza di Wittgenstein, che — quali che fossero le sue ragioni — era contrario ad afferrare un’opportunità che non si sarebbe più presentata. In effetti, sono ancora del parere che il Tractatus non sarebbe mai stato pubblicato senza l’introduzione di Russell.
È chiaro che non ero in condizione di giudicare se il rifiuto di Wittgenstein fosse giustificato, dal momento che non conoscevo il testo dell’introduzione su cui egli non si era mostrato d’accordo. Ma se me l’avesse fatto vedere, o se almeno avesse chiesto il mio parere, mi sarei naturalmente fidato, come sempre, del suo giudizio superiore.
E retrospettivamente, oggi, mi è chiaro che Wittgenstein aveva buone ragioni per reagire in modo così negativo (atteggiamento che d’altronde egli, detto per inciso, non portò fino alla sua conclusione pratica come il primo impulso gli aveva suggerito).
In effetti l’introduzione di Russell va considerata come una delle principali ragioni per cui il libro, benché riconosciuto fino ad oggi come un fatto di importanza decisiva nel campo della logica, non è riuscito ad imporsi come lavoro filosofico nel senso più ampio.
Wittgenstein deve essere stato profondamente addolorato nel constatare che anche uomini di ingegno superiore, che gli erano tra l’altro molto amici, erano incapaci di comprendere quelli che erano stati i suoi moventi a scrivere il Tractatus.
E il profondo sconforto manifestato nelle lettere che egli scrisse nei primi mesi che seguirono — sconforto che contribuì alla sua decisione di dedicarsi all’insegnamento — derivava dai suoi dubbi sul fatto se sarebbe mai riuscito a farsi comprendere come filosofo.
Da: Paul Engelmann Lettere di Ludwig Wittgenstein, con Ricordi, La Nuova Italia, Firenze, 1967, pp. 87–88
Traduzione di Isabella Roncaglia Cherubini