1.2 Videorealtà su misura
Timothy Leary. Caos e Cibercultura — 1. Videate
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Da migliaia di anni, fin dall’alba delle società tribali, la maggior parte degli esseri umani ha vissuto in squallide caverne, catapecchie, capanne, igloo, case o appartamenti forniti di un’attrezzatura minima per le informazioni: il linguaggio oral-corporeo. Utensili di pietra.
In queste dimore chiuse, introverse e quasi prive di dati avevano luogo le funzioni pratiche di manutenzione che la gente doveva eseguire per mantenere in vita il pool genetico. Per la maggior parte delle persone lo scenario era crudo, gli indumenti poco seduttivi, e cosmetici e profumi erano a dir poco scarsi.
Nella cultura tribale non c’erano libri, radio o quotidiani; non c’era la rivista Vogue carica di cinquecento pagine patinate e piene di seta alla moda, di modelle voluttuose dalle bocche desiderose, di gambe invitanti e tacchi alti, di tette curvilinee che implorano di essere succhiate.
No, le informazioni di sopravvivenza necessarie per mantenere la casa tribale erano impacchettate nella monotonia, segnali scimmieschi espressi dal corpo: grugniti orali, gesti, movimenti del corpo, artefatti primitivi.
Messaggio di marketing dai produttori del tribal-culture show
Se volevamo un po’ di romanticismo, se ci sognavamo qualche flirt qua e là, o di tenerci al corrente dell’andazzo, se avevamo bisogno di ricaricarci le batterie per tenerci in piedi come ligi e fedeli servi del pool genetico, dovevamo uscire di casa e recarci nella piazzetta del paese, dove potevamo ottenere le notizie serali della tribù, raccogliere le chiacchiere locali e trattare l’acquisto di pelli o di pellicce per le nostre mogli in cambio di qualche coltello di pietra.
Nelle feste comandate tutta la tribù sciamava insieme per le cerimonie celebrative: Semina, Raccolta, Lune piene, Sballi di solstizio, Sposalizi, Orge funerarie. Nelle società agricole, da sempre, l’ingestione di vegetali psicotropi fornisce l’energia sacramentale necessaria ai raduni del pool genetico. Vini, grano fermentato, viti per l’alterazione del cervello, radici, foglie, fiori contenenti i preziosi neurotrasmettitori preparati dagli alchimisti sciamanici — questi producevano lo «sballo», lo stato venerabile, sacro, prezioso di caos, di possessione di rivelazione di trance — la mitico-genetica visione del cervello destro. La Sacra Confusione.
Sapete cosa sto dicendo. Questa tremante esperienza psichedelica è per il cervello ciò che l’orgasmo è per il corpo.
In questi preziosi momenti alticci noi membri della tribù potevamo sfuggire al monotono e allo squallido attivando i nostri miti individuali, i nostri speciali talenti interiori, e potevamo comunicare questo evento a chi altro navigava a sua volta nelle proprie neurorealtà personali. Queste intense comunicazioni, scambi cerebrali che i Cattolici chiamano «Sacra Comunione», sono da noi invece chiamate «Sacra Confusione».
In queste cerimonie noi membri della tribù potevamo esprimere le nostre visioni nella teatralità collettiva. C’è uno che diventa un buffone, un altro che danza. Improvvisamente prestigiatori, artisti, mimi, vanno al centro del palcoscenico per eccitare le emozioni e i temi identificatori che tenevano insieme la tribù.
E chi erano gli sponsor dello show tribale?
La cricca che governava la tribù. I sacerdoti e i capi. Gli amabili vecchi dalla barba grigia, i severi e tradizionali Anziani. I capi studio. Coloro che erano responsabili di tenere insieme la tribù a nome della propria fama e del proprio profitto.
Il compito di convincere il popolino ad ascoltare i messaggi degli sponsor in epoca feudal-industriale era delegato a una speciale casta chiamata il Talento. I pittori. I registi. Gli sciamani. Gli architetti. I responsabili del divertimento. I menestrelli. I cantastorie. Loro funzione e dovere nell’economia tribale consisteva nel calmare la paura del Caos con fantasie deliziose e confortanti, con cerimonie titillanti e con drammi romantici.
Potevamo lasciare che si spalancassero i nostri occhi gonfi e tumidi e che penzolassero le nostre lingue turgide e gocciolanti di contadini mentre guardavamo le danzatrici del ventre e i muscolosi macho, che si contorcevano e scivolavano e sballonzolavano e vibravano fino a farci dolere le cosce. Tornati poi nel buio della nostra grotta/capanna alla luce del fuoco i nostri insipidi e pochi romantici partner improvvisamente sembravano all’altezza delle puttane di Babilonia! I Krishna dall’erezione luminosa! Ecco la pornografia che eccita il desiderio!
Il problema perenne per i direttori e per il Talento è il seguente: per attirare e per abbagliare i paesani in modo che ascoltassero i consigli per gli acquisti dovevano consentire al pubblico di partecipare, per interposta persona, a questa roba torbida, calorosa, eccitante e proibita che era assolutamente tabù per il popolino e che si poteva mettere in scena nei drammi allegorici, nei festival risqué, nelle sculture di corpi nudi. Ed ecco come entriamo in scena noi Talenti.
Perché la gente restasse sintonizzata gli sponsor avevano bisogno di noi gente di spettacolo. I musicisti sexy, i danzatori dotatissimi, i clown, i commedianti spinti che raccontano storie di adulterio e di pericolose avventure sessuali, i cantastorie a luci rosse, i comici, i mimi… era il Talento che aveva la funzione di valvola di sicurezza, che dava alla popolazione un assaggio, al livello di fantasia, dei frutti ricchi e proibiti.
I Talenti venivano selezionati per bellezza, per fascino erotico, emozioni forti. Dovevamo andare troppo in là, oltre i confini del tabù fino a quelli del buon gusto; mostrare tette e culi. Inscenare folli danze copulatone. Scandalizzare. E dovevamo sopportarne le conseguenze; venivamo messi al bando, sulla lista nera, svenduti, costretti alla prostituzione, sbattuti fuori dall’università di Harvard. Messi per sempre alla gogna, denunciati come diavoli dai pulpiti dei predicatori ortodossi e — dai Marxisti — denunciati come agenti CIA.
Gli sponsor del Tribal show, sacerdoti e capi, erano occupati a tempo pieno non solo a produrre l’evento, ma anche a osservare e a censurare e punire in modo di essere certi che nulla sfuggisse loro di mano o desse fastidio agli sponsor.
E naturalmente gli spot per il pool genetico erano onnipresenti. Non dovevamo mai dimenticarci chi era proprietario dei tamburi, dei sonagli, delle lance, del talento sciamanico e dei templi: i mecenati che pagavano il Tribal show.
Come possono gli sponsor mantenere nella gente la motivazione ad accettare l’oneroso compito di produrre e di consumare febbrilmente? Nel solito vecchio modo: mettendo in scena uno Show e promettendo loro una visione della vita lassù in alto. Questa volta però, nella cultura mercantile, è possibile vendere loro i biglietti.
Le celebrazioni culturali che offrivano alla gente l’occasione di uscire di casa nella società industriale non erano più cerimonie religioso-politiche ma avevano luogo in locali commerciali; biglietti in vendila al botteghino o all’angolo della strada. Ogni comunità vantava il suo bravo teatro, sala concerti, galleria d’arte, teatro di varietà, stadio sportivo, plaza de toros. Et caetera. Queste fabbriche dell’intrattenimento venivano costruite per rassomigliare alle strutture aristocratiche dell’epoca feudale. I teatri avevano nomi come «Maestoso», «Imperiale», «Rex».
In questi templi-bordello di plastica fantastica i lavoratori potevano sfuggire ai segnali di routine della monotona vita feriale perdendosi nella lascivia ipnotica e masturbatoria di stati di piacere erotico, stuzzicanti carnevali carnali studiati e prodotti da noialtri, la professione sciamanica, gli intrattenitori della controcultura.
Gli aspetti psico-economici erano chiari: i consumatori pur di restare fuori della catapecchia volevano che lo show durasse più a lungo possibile. La risposta del mondo dello spettacolo consisteva nell’allungare il più possibile le scene dell’opera lirica, pezzo teatrale, concerto, di dar loro il massimo valore per i quattrini.
Ringrazia iddio del feudalesimo
Marshall McLuhan parlò saggiamente: «Cambiate i media e cambierete la cultura». La capacità di leggere e scrivere elevò il livello estetico e l’efficienza del packaging dei divertimenti. Già nel I Secolo a.C. la crescita di città e di nazioni portò con sé la disponibilità di grandi budget e di gradi troupe per la diffusione continua di messaggi degli sponsor del pool genetico.
La gente, quella media, la famiglia di Biagio Brambilla, ora si chiamava plebe o servi o contadini. Il loro ruolo nell’economia feudale delle informazioni non era poi tanto diverso da quello dei loro antenati tribali. I poveri vengono sempre visti come primitivi perché sono costretti a vivere in quartieri tribali, ghetti, capanne, catapecchie, stanze senza finestre, slum, malandate grotte urbane in cui il ritmo dei segnali si limita a scambi immediati di dati biologici dalla nascita fino alla morte.
I messaggi culturali e politici degli sponsor dell’epoca feudale venivano popolarizzati e disseminati in spettacolose scene pubbliche. La chiesa nella piazza centrale era grande, ornata riccamente, piena zeppa di statue e di pitture di geni estetici ispirati. Lo spettacolo medievale, sia cristiano che islamico, era messo in onda da talenti miracolosamente dotati. I misteri piastrellati dell’Alhambra, e i soffitti della Cappella Sistina ispirano ancor oggi la reazione, quasi automatica: «Caspita! Sia lodato il Cielo per aver sponsorizzato questo grande show!»
Ogni giorno si ripetevano i logotipi commerciali e i motti della cultura feudale. Il grido del Muezzin, il sonoro rintocco della campana della chiesa, il canto dei monaci, gli indumenti coloriti dei sacerdoti e dei mullah. I vetri colorati!
Non meraviglia quindi che queste religioni feudali — fondamentaliste, fanatiche, furiose, appassionate, paranoidi — abbiano avuto un audience megagalattico! I servi della gleba potevano uscire dalle loro squallide dimore e passeggiare per cattedrali i cui soffitti dorati si estendevano fino al cielo mentre la traballante luce delle candele illuminava le statue del Profeta. Si riversava nei verginali bulbi oculari del popolino una panoramica scena moschea-chiesa, vibrante di colore, solennità, grandiosità, ricchezza, melodramma.
Non meno sbalorditivi erano i palazzi dei governanti secolari, ed erano molto più sexy. Certo, i preti predicavano l’astinenza sessuale, ma i nobili fottevano chiunque volessero fottere, e celebravano la bellezza sessuale anche nei dipinti che commissionavano. Le pareti di queste dimore erano ricoperte di raffigurazioni sgargianti quanto lascive; dee greche dalle cosce rosse e gonfie, morbide carni distese su nuvole di desiderio che invitavano le loro controparti maschili al godimento dei loro favori.
Potevi stare lì, umilmente con il cappello in mano e lanciare i tuoi bravi urrà ai pezzi grossi vestiti di pizzi opulenti e di cuoio mentre passavano davanti ai tuoi occhi in carrozze dorate. Ti piaceva da morire il Cambio della Guardia; forse non ti accorgevi che i soldati erano lì per proteggere gli sponsor dello spettacolo, da te, il popolo.
Anche se la tua catapecchia è squallida, ti basta fare quattro passi in città per assistere al grande Show del Dio-Re.
Si prega di ringraziare Gutenberg-Newton per l’epoca industriale
I trend descritti da McLuhan continuarono nella epoca industriale. Come al solito il popolino alloggiava in stanze piccole e buie, ma poiché al giorno d’oggi le cose grandi sono di moda, queste stanze erano raccolte in enormi palazzi o casermoni.
La cultura delle fabbriche creò una forma di vita mai vista finora su questo pianeta: il consumatore di massa.
Gli sponsor dell’economia delle fabbriche non intendevano in realtà creare una. classe di consumatori insaziabili destinata alla fine a sconvolgerla con il desiderio acquisitivo. Al contrario. Questi sponsor appartenevano all’unica classe sociale che non aveva alcuna difficoltà a sopravvivere alla caduta del feudalesimo: i manager-ingegneri, detti talvolta Massoni. Erano bianchi, anti-papisti, meccanici nordeuropei, efficienti, razionali con una nervosa mentalità da alveare, totalmente leali nei confronti dell’Ordine. Puritani severi. Lavorarono così sodo, rinviarono tanti piaceri e si ossessionarono a tal punto dell’ingegneria efficiente da inondare il mondo di una cascata interminabile di prodotti altamente attraenti. Dispositivi per ridurre la fatica della massaia, medicine migliori per salvare le vite, fucili migliori per spegnere vite, libri, radio, televisori.
Questa cornucopia, linea di montaggio di tutto ciò che si sarebbe mai potuto sognare un cacciatore tribale, un servo feudale o un Sacro Imperatore Romano, aveva l’esigenza di disporre di eserciti interminabili di consumatori instancabilmente industriosi disposti a sollevare prodotti da scaffali, a spingere carrelli di supermercati, a svuotare le borse, a conservare in frigorifero, a leggere manuali d’uso, a girare chiavi, a guidare la macchina e poi riparare, religiosamente fino alla morte gli elettrodomestici che fluivano come un infinito fiume di metallo-gomma-plastica lungo la Statale 101 fino ai shopping center e poi dentro le nostre case fatte in serie.
I film presentano realtà elettriche
Già a metà del Secolo XX, al culmine dell’epoca meccanica, l’implacabile spinta verso la ricerca di dispositivi per risparmiare fatica e verso la distribuzione di massa si estese naturalmente all’industria dei divertimenti. Il nuovo «media» McLuhan era la corrente elettrica. I pezzi teatrali si potevano filmare, i film si potevano duplicare e spedire in centinaia di cinema.
L’effetto fu sbalorditivo. Il contadino Brambilla poteva sedersi nel cinema del paese e là davanti ai suoi occhi c’era il viso di Clara Bow, tumide e umide le rosse labbra con gli occhi che irradiavano inviti da ninfomane. Mai nelle sue più folli fantasie il Brambilla aveva sognato una figona così! Intanto la signora B. respira con affanno e perde preziosi liquidi corporei mentre osserva la sensualità della lingua con la quale Rodolfo Valentino si lecca le labbra!
Non meraviglia quindi che queste religioni feudali — fondamentaliste, fanatiche, furiose, appassionate, paranoidi — abbiano avuto un audience megagalattico!
I servi della gleba potevano uscire dalle loro squallide dimore e passeggiare per cattedrali i cui soffitti dorati si estendevano fino al cielo mentre la traballante luce delle candele illuminava le statue del Profeta. Si riversava nei verginali bulbi oculari del popolino una panoramica scena moschea-chiesa, vibrante di colore, solennità, grandiosità, ricchezza, melodramma.
La mente industriale vuole porzioni doppie di stimoli prodotti con mezzi meccanici
Il cinematografo fece il giro del mondo. L’industria cinematografica seguì naturalmente il comandamento dell’epoca della meccanica: Grande è bello. Meglio ancora è la quantità clonata. I lungometraggi si fabbricavano in due comode taglie. L’epico era molto lungo. L’industria era però gestita da mercanti di abbigliamento newyorkesi che sapevano come vendere, a prezzo d’occasione, due paia di pantaloni con un solo abito. Così la maggior parte dei film venivano fabbricati in dimensioni ridotte alla metà per il «cartellone doppio». Se e quando la gente si convinceva a uscire di casa per andare al cinema in centro si aspettava almeno tre-quattro ore di svago.
Per venticinquemila anni, fino a ieri, si erano avvicendati gli sponsor e le tecnologie erano migliorate, dall’orale-gestuale allo strumentale-manuale al meccanico-elettrico. Ma le finalità, i principi e i luoghi di raduno non erano in realtà cambiati più di tanto, e i fattori economici non erano cambiati affatto. Il grande era sempre bello.
Noi del Talento, nelle culture tribali, feudali e industriali, avevamo due compiti «di magia». Primo e più importante era quello di attirare, supplicare, sedurre, usare blandizie sessuali, inginocchiarci davanti agli sponsor per avere l’ingaggio. Secondo: accontentare la clientela, compito più facile questo perché in fondo i clienti non vedevano l’ora di farsi titillare, attivare, eccitare. Avevano pagato contanti per poter adorare il Talento.
Gli sponsor, naturalmente, ottenevano il loro sballo fottendo il Talento, soprattutto la parte più sexy. Se e quando quelli del Talento diventavano superstar, ovviamente, si alzavano dalle ginocchia, si pulivano le labbra e si prendevano lo squisito piacere di vendicarsi degli squallidi produttori, degli sporchi capi-studio, dei ratti delle Agenzie, dei golosi manager e dell’assortimento di ladri legulei che prima ci avevano profanato.
«There’s no business like show business!», ‘Non c’è vita come quella dello spettacolo’, amavano dire.
L’Individuo impara a cambiare videata
Questi antichi rituali, inalterati durante le epoche tribale, feudale, industriale, hanno cominciato negli ultimi pochi anni a subire un cambiamento sorprendente quanto eclatante. Appena prima di avantieri, nel 1984, una combinazione di creatività americana e di precisione giapponese ha improvvisamente cominciato a produrre in massa apparati domestici, prodotti in serie e poco costosi, che consentono all’individuo di elettronificare, di digitalizzare e di trasmettere realtà personali.
Le comunicazioni digitali consentono la registrazione di un suono qualsiasi, o di un’immagine qualsiasi, in grappoli di dati quantistici, in nuvole di informazioni di tipo «acceso/spento». Una qualsiasi immagine digitalizzata può quindi essere trasmessa intorno al mondo alla velocità della luce e a un costo molto basso.
Apparentemente, il grande non è più bello
Gli elementi-base dell’universo, secondo la fisica quantistico-digitale, si possono spiegare come composti di quanti di informazioni, bit di programmi digitali compressi. Questi elementi di informazione pura (0/1) contengono algoritmi incredibilmente particolareggiati per programmare sequenze potenziali per quindici miliardi di anni — e funzionare ancora. Queste unità traboccanti di informazioni hanno una sola funzione esterna allo hardware. Non fanno altro che accendersi o spegnersi quando l’ambiente immediato scatena una matrice complessa di algoritmi “IF- IF-IF-IF… THEN!”
Le comunicazioni digitali (cioè l’operazione dell’universo) comporta l’esistenza di matrici enormi composte da queste info-unità, migliaia di miliardi di pixel di informazioni che lampeggiano per creare la momentanea realtà hardware di una singola molecola.
Le equazioni energia-materia newtoniane dell’età industriale (il Secolo XIX) definiscono una realtà local-meccanica in cui il molto più grande, e di più, era molto meglio. Vi ricordate i ritornelli della marcia macho dei Dinosauri newtoniani? Forza, Momento, Massa, Energia, Lavoro, Potenza, Termodinamica.
Nell’età informatica stiamo arrivando ad accorgerci che nell’impacchettare i dati digitali, molto più piccolo è molto meglio. Il principio fondamentale nelle comunicazioni alla velocità della luce è di inserire sempre più informazioni in unità hardware sempre più piccole. Per esempio il cervello umano, che pesa un chilogrammo, è un computer digitale organico che elabora cento milioni di volte più informazioni del corpo, che pesa invece quasi cento chili.
Il codice DNA, quasi invisibile, programma e costruisce continuamente dispositivi di calcolo organici — generazione dopo generazione di cervelli migliori e più portatili. Un megaprogramma DNA, vecchio di un miliardo di anni e di dimensioni molecolari invisibile è molto più in gamba dello spaventosamente fragile cervello di oggi!
Ed è infinitamente più piccolo. Si impara oggi a gestire cumuli enormi di informazioni digital-elettroniche presentate alla velocità della luce. Telefono, Radio, Televisione, Computer, Compact disc. A casa, nella propria testa. Informazioni elettroniche tirate giù dal cielo e riversate dal portatile stereofonico portato in spalla, sbattute contro i timpani mentre il corpo danza lungo la strada. Questa «dipendenza» da informazioni elettroniche ha aumentato drasticamente le possibilità di ricezione e ridotto la curva di attenzione.
Il cervello cibernetico richiede più dati in meno tempo
Nell’età meccanica ci può essere chi si accontenta di starsene seduto due ore a sorseggiare il tè e a leggere il “Times”, ma una persona energica e in gamba che navighi con il proprio cervello postindustriale si muove attraverso un oceano di informazioni, facendo surf su onde di dati che si infrangono alla velocità della luce e CD stereofonici (la parola d’ordine in questo momento è Hypermedia o CD-I; compact disc-interactive).
Entro il 2000, l’info pura costerà meno dell’acqua e della corrente elettrica. Una tipica casa americana sarà attrezzata per ricevere migliaia di miliardi di bit di info al minuto. Il computer interpersonale, grande come una carta di credito, sarà in grado di prelevare una pagina qualsiasi dalla Biblioteca nazionale, setacciare l’intera cineteca della MGM, esaminare a uno a uno tutte le puntate deI Robinson o ritagliare (se avrete voglia di farlo) paragrafi dalla Bibbia originale in lingua aramaica.
Già in tempi remoti come il 1990, in un tipico sabato i residenti di Los Angeles che avessero il gusto dell’agonismo potevano commutare tra sette partite della lega professionisti di baseball, nove partite di calcio della serie universitaria, i Giochi olimpici, due ippodromi, eccetera.
Già nel 2000 il ragazzo più povero avrà un chip grande come l’unghia di un pollice (prezzo $1) dotato della capacità di immagazzinamento e di elaborazione di un miliardo di transistor. Avrà una presa a muro a fibre ottiche che consentirà l’input di un numero di segnali un milione di volte superiore a quelli di un televisore di oggi. Economiche tute e occhiali per la realtà virtuale consentiranno a questo giovane di interagire con persone in tutto il mondo, e nell’ambiente che sceglierà di fabbricare.
Secondo George Gilder: «Le limitazioni culturali della televisione, sopportabili quando non esistevano alternative, sono del tutto inaccettabili viste le nuove tecnologie informatiche ormai all’orizzonte, tecnologie nelle quali gli USA sono leader mondiale.»
L’abitazione dell’anno 2000, attrezzata ormai di economici dispositivi CDI, diventa il nostro studio audio-cine-televisivo che programmerà l’universo digitale che sceglieremo di abitare, per tutto il tempo in cui vorremo abitarci.
Ma non esiste il rischio di un sovraccarico? La capacità di scandagliare e di prendere con la rete getti scivolosi di informazioni essenziali-estetiche compresse e miniaturizzate, dai salati oceani di informazioni che inonderanno la casa diventerà una capacità fondamentale per la sopravvivenza nel Secolo XXI. I nostri annoiati cervelli amano il «sovraccarico» e possono elaborare oltre cento milioni di segnali al secondo.
Naturalmente, questa accelerazione e questa compressione delle informazioni è già lo stato dell’arte. Il traguardo delle reti televisive all’ora di punteruolo è di fare in modo che la gente guardi gli spot. Un’inserzione di trenta secondi durante il Super Bowl costa quasi mezzo milione di dollari.
Prime a cogliere l’utilità della digital-miniaturizzazione sono state le agenzie pubblicitarie. Spruzzano dozzine di immagini erotiche, scioccanti, attraenti, in un info-clip da mezzo minuto per convincerci che «la notte appartiene a Michelob». Se è per questo, scegliamo allo stesso modo i nostri presidenti e i burocrati regnanti, in base a clip di 30 secondi, redatti con cura da esperti pubblicitari.
Grande non è più bello (neanche nei film)
Lentamente e con riluttanza la fabbrica dei film viene costretta a condensare e a velocizzarsi. I registi veterani della vecchia scuola non vogliono farlo. Sono intrappolati negli antiquati modelli della età industriale, dell’opera lirica del film epico, del registra primadonna onnipotente.
Prima del 1976, più era grosso un film e meglio andava. Il lungo film mangiatempo da consumarsi con comodo era il grande film epico. Un regista che si faceva avanti con una pizza di meno di due ore (120 minuti o 7200 secondi) era considerato un peso piuma di poco conto.
Tanto tempo fa, nel 1966, prima della TV via cavo, la gente adorava i film lunghi e lenti. Offrivano una gradita fuga dalle loro case povere di info. Entravi nel cinema per trovare un mondo di romanticismo technicolorato che non era comodamente disponibile nel salotto di casa. Al cinema potevi essere Regina per una Notte. Naturale quindi che il regista cercasse di dilungarsi il più possibile per rimandare il ritorno del cliente in una casa fiocamente illuminata da tre reti televisive in bianco e nero.
Questo appetito per i dati digitali, sempre più numerosi e sempre più veloci, si può ormai riconoscere come un bisogno proprio della specie. Il cervello ha bisogno di elettroni e di sostanze chimiche psicoattive proprio come il corpo ha bisogno di ossigeno. Presto i medici cerebro-psibernetici elencheranno il nostro fabbisogno giornaliero di varie categorie di informazioni digitali, esattamente come oggi i dietologi elencano il nostro fabbisogno vitaminico.
Miniaturizzazione
Già nel 1988, in ogni caso, la maggior parte delle case americane avevano collegamenti via cavo, videoregistratori e telecomandi. Seduti come sultani in un torpore botanico, bruchiamo, assaggiamo, gustiamo, tante lampeggianti immagini multicolori quante le nostre calde dita sono in grado di premere pulsanti.
Non siamo più servi affamati di sensazioni, rinchiusi infelici in stanze buie, morenti per la voglia del lampo technico-colorato di morbide carni curvilinee; con la TV notturna possiamo tuffarci nelle allusioni sessuali. Possiamo affittare film a luci rosse contenenti tutte le versioni e le perversioni erotiche mai sognate. Non c’è più quell’appetito disperato, quella fame insaziabile, quel prurito di desiderio, quella cruda ricerca di stimoli ottici.
Per questo motivo il lungo e lento film orchestrato come una sinfonia sembra ora come una carovana di 150 elefanti intrappolati in una melodrammatica palude. I film, oggi, sono troppo lunghi. La ciber-persona dell’età informatica semplicemente non è disposta a restare seduta per 150 minuti intrappolata nel lirismo di Cimino o nelle intensità epiche di Coppola. Per molte persone, la roba migliore che vediamo sullo schermo del cinema sono i trailer. Emerge una nuova forma d’arte; la produzione di stuzzicanti “Prossimamente” di tre minuti dedicati alle attrazioni future. Haiku elettronici! In genere, i film non mantengono le promesse fatte nei trailer che ne fanno la pubblicità. I momenti più entusiasmanti per esempio di una rapina possono essere affascinanti per cinque minuti, ma di una noiosità mortale quando durano due ore. E infatti, buona parte della nuova razza di registi cinematografici, come Tony Scott, Ridley Scott, Nelson Lyon, e David Lynch, hanno imparato il loro mestiere facendo spot e o video clip, dai quali sono nati i nuovi ritmi di comunicazione.
I cineasti stanno imparando la lezione offerta dalla fisica quantistica e dalla neurologia digitale: dati molto più numerosi in pacchetti molto più piccoli. E si finisce per scoprire che al cervello piace avere le sinapsi sovraccariche di segnali digitali.
Film fatti su misura
Come reazione a questo fatto evidente, alcuni cineasti innovatori cominciano a fare esperimenti con i film su misura, dimensionati per quanto riguarda la lunghezza. Ecco il concetto: se vai in un buon ristorante non ti piace stare intrappolato a tavola per 150 minuti a mangiare la stessa spaghettata, non importa quanto sia deliziosa. Non importa quanti Oscar possa aver vinto il cuoco sono pochi i cine-entusiasti della nuova generazione disposti a restare seduti due ore e mezza a guardare una spaghettata diretta da tenebrosi registi provenienti dalla tradizione del melodramma.
Se d’altra parte ti piacciono le «pizze» lunghe e lente, se davvero preferisci assorbire le informazioni elettroniche allo stesso modo in cui un pitone ingerisce un maiale, se ti va di ingozzarti e di digerire lentamente un film di 150 minuti — nessun problema!
Attivando al cineplex, fai la tua selezione da menu al momento di acquistare il biglietto. Se vuoi vedere la versione supergigante de L’ultima tentazione di Cristo, paghi $15, vai in bagno, ti prendi una colazione al sacco, disdici un po’ di riunioni, entri nella sala maratoneti, ti metti comodo e lasci che Scorsese ti accompagni in una comoda gondola lungo i suoi canali cerebrali. Come videopersona, invece, è probabile che il tuo appetito al banchetto visivo si sazi nel giro di un’ora. Tenderai a scegliere l’epico in formato normale: Cristo, $5 per 50 minuti.
Ma i ciberpiloti e i cervello-jockey con un’eternità di info-mondi digitali a portata di polpastrello tendono a optare per la nouvelle cuisine, per il buffet dei buongustai. Paghi $5 per guardare cinque compressioni haiku da dieci minuti l’una, di cinque film diversi. Cinque piatti pronti di stuzzicanti essenzialità. Sapore grandioso! Non rovina l’appetito!
E se proprio ti prende bene uno di questi piatti dello chef e ne vuoi ancora, basta comprare un biglietto al botteghino, o ficcare la carta di credito nell’apposita fessura, e dalla macchina esce una video- cassetta a noleggio da portare a casa e da guardare con comodo.
I cibervestiti fai-da-te offrono realtà elettroniche personali
Così finora siete stati consumatori indaffaratissimi con tante opzioni di selezione passiva?
Ma supponete ora di voler passare alla modalità attiva. Cambiare il film, sceneggiare e dirigere una versione tua? Imprimere il tuo angolo personale sul punto di vista del grande regista? Eresia!
Supponete per esempio di essere una ragazzina quattordicenne, africana o asiatica e che non vi piaccia il film Rambo, costato come minimo 40 milioni di dollari. Prendete in affitto il video per $1 e ne fate una scansione. Poi selezionate il brano che più vi dà fastidio, magari quello in cui Lo Stallone avanza rumorosamente attraverso la giungla fino al villaggio indigeno, nudo fino alla cintola e con una mitragliatrice fra le braccia con la quale ammazza varie centinaia di Asiatici, uomini donne e bambini.
Per presentare la vostra versione personale, digitalizzate questa scena da trenta secondi, la ricopiate nel vostro computer
Nin-Sega-Mac da cento dollari e utilizzate il programma Director per ricrearla. Digitalizzare il busto di un gorilla dall’aspetto stupido, riprendete con lo scanner un gambo di sedano appassito oppure il pene floscio di un elefante, ci doppiate la voce di Topolina che urla la battuta di Stallone: «Allora ci farete vincere stavolta?»
Incollate la vostra versione nel video noleggiato e lo riportate in videoteca. Il prossimo cliente che noleggerà Rambo si farà una risata e mezza! In poche settimane questo vostro videocontagio virale personale potrebbe fare il giro della città.
Nell’epoca cibernetica che ora albeggia, «Tutto il potete digitale al popolo» offre a tutti la possibilità, a basso costo, di organizzare, sceneggiare, dirigere, produrre e distribuire il proprio film. Fatto su misura, opera di sartoria nelle varie comode misure: megagalattica, gigante, normale e mini da pochi byte.