Tempo e bellezza

Perché a volte il tempo trasforma tutto in qualcosa di meraviglioso?

Mario Mancini
6 min readSep 30, 2022

di Paolo Marcucci

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Franco Zeffirelli e Richard Gere (Fondazione Franco Zeffirelli)

Qualche giorno fa, sul Corriere Fiorentino, è apparsa questa foto in prima pagina che ritrae due vere star del cinema, in una magnifica immagine in bianco e nero scattata a Roma nel 1979. L’occasione dell’articolo era la presentazione a Firenze del documentario sul regista, realizzato da Anselma dell’Olio e intitolato Franco Zeffirelli. Conformista ribelle, presentato a Venezia alla mostra del cinema.

La sensazione immediata, spontanea, che mi è venuta è stata di bellezza e meraviglia: un rimando a un mondo perfetto e incantato che, con i suoi seducenti richiami, trascina in un luogo che non è più qui ma non sai dove si trovi. Lontano e vicino dentro di te, irraggiungibile e, al tempo stesso, così prossimo tanto da sentirne quasi l’odore.

Eppure c’ero nel 1979 — ancora giovin studente — e quel mondo, evocato dalla foto, non lo percepivo certamente così. Se avessi visto, allora, quello scatto non avrei certo provato la stessa sensazione di oggi. Perché allora la bellezza e meraviglia? Perché la domanda è sorta spontanea? Il sospetto è che sia semplicemente il tempo, il trascorrere del tempo che ammanta certe immagini di un’aura speciale, che le trasforma in qualcosa che non erano e che forse non sapevano nemmeno di essere.

Il profumo “francese”

Cos’è allora questa sensazione? Cosa sono questi momenti che a volte ci arrivano improvvisi? Certamente una foto, di un passato, su un giornale o su una rivista non è, anche se ha a che vedere con il tempo, il profumo della madeleine proustiana, perché manca appunto della parte sensoriale. Non è quindi nemmeno l’evocazione che suscita un oggetto ritrovato, o visto ad uno dei mille mercatini di antiquariato, perché lì è anche l’oggetto stesso che necessita, che chiede quasi, quella trasformazione al tempo per rendersi ancora desiderato e iniziare una nuova vita.

Forse si avvicina, almeno un po’, alle emozioni delle foto che racconta Roland Barthes nella “Camera chiara”: il tempo della madre bambina è andato per sempre, come il tempo della felicità passata ferisce Colette, così che le immagini si trasformano quasi in ossessione per un tempo che non può tornare indietro. Infatti l’obiettivo non era tanto la foto in se, quanto il punto di vista dello sguardo “Je voudrais faire une histoire du regard” (vorrei fare una storia dello sguardo). Ma non è nemmeno questo.

Il profumo “italiano”

Sull’evocazione e i pensieri delle immagini sono state scritte tante parole senza arrivare, credo, a nessuna conclusione complessiva (sarebbe impossibile): solo singoli frammenti dell’immenso caleidoscopio che compone il quadro. Umberto Eco, nel 2010, in una mirabile lezione[2] intitolata “Ero troppo occupato a fotografare e non ho guardato”, ricordava con malizia che “nel ’61 ho fatto un viaggio, con altri tre amici, attraverso tutte le abbazie romaniche e le cattedrali gotiche francesi. Naturalmente mi ero portato dietro una macchina fotografica e ho fotografato tutto, incessantemente. Le foto sono orribili, non mi servono e non mi sono mai servite, ho piuttosto comperato dei libri dove c’erano foto migliori, e di quel viaggio non ricordo più niente. Ero troppo occupato a fotografare e non ho guardato”.

Un esperimento bellissimo sull’evocazione delle immagini è stato fatto da Paolo Sorrentino, il regista, che quindi di immagini vive, con il libro Gli aspetti irrilevanti, dove partendo dai ritratti di Jacopo Benassi, Sorrentino inventa l’esistenza delle persone immortalate, senza conoscerne i nomi, le loro vite, il loro mestiere. Inventa storie, commedie, tragedie, farse, dove l’amore, la solitudine, l’ironia, l’amicizia diventano vere, finalmente vere nel loro anonimato fissato per sempre dalla macchina fotografica.

Legato a questo esperimento di Sorrentino, è forse anche la riflessione di Italo Calvino, che vede nello scatto infinito di foto un pericolo. Nella Visibilità, una delle Lezioni americane, dice: «Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare, è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su pagina bianca, di pensare per immagini». Ed era ancora il tempo dell’analogico.

D’altra parte, seppure racconti in L’avventura di un fotografo, contenuto negli Amori difficili, da questo punto di vista, la storia di Antonino Paraggi, non gli sfugge che, prendendo ad esempio i genitori novelli, il tempo cancella e modifica ciò che abbiamo visto con i nostri occhi: “dopo aver messo al mondo un figlio, è quello di fotografarlo; e dato il veloce ritmo di crescita dei bambini diventa necessario fotografarli spesso, perché nulla è più labile e irricordabile di un bambino di sei mesi, presto abolito e cancellato dal bambino di otto mesi e da quello di un anno; e con tutta la perfezione che agli occhi dei genitori può aver raggiunto un figlio di tre anni, nulla può impedire che subentri a distruggerla la nuova perfezione dei quattro, quindi la smania fotografica dei genitori ha un movente ben giustificato ma già contiene in sé quel senso di follia che è inseparabile da quel nero strumento”[3].

Il profumo dell’amore

Non è nemmeno la suggestione della foto di un parente o di un amore o di un amante che non ci sono più: lo sappiamo quanto siano potenti queste immagini per riportarti a ripercorrere a ritroso, come Pollicino, il sentiero che sfocia spesso, riemergendovi, al passato e lì, in quei casi, è semplicemente il rimpianto di qualcosa, o di non fatto o fatto male. La bellezza perduta, e ora ritrovata, deve tutto al tempo, ma sappiamo anche che, a volte, il ritrovare certi oggetti o certe immagini, assume contorni e sfumature negativi: il rovescio della medaglia. Allora appare, come per magia, il sollievo, il conforto, di scoprire che non si è più ciò che eravamo.

La polvere ideale allora diventa nostra alleata e non viene più a tormentarci. Non ci interessa più, siamo scappati da quella prigione, da quella cella così ristretta, e non ci torneremo mai più. Erano soltanto cronache di poveri amanti[4].

Allora? Sono le nevi di un tempo?[5] O il rimpianto del paradiso perduto[6] a cui tendiamo sempre? Forse neanche queste sono la spiegazione giusta, in questo mondo dove i confini delle parole si mescolano, così come i valori e le passate stagioni possono essere ripescate dai media, dai social, in qualsiasi momento per essere dimenticate subito dopo, fino al prossimo rilancio, in un ciclo all’infinito. D’altra parte, ci insegna Rovelli[7], per la Fisica moderna il tempo è sparito, scomparso, e le equazioni usate non lo prevedono più.

Il profumo della giovinezza

Poi all’improvviso un’illuminazione. Una piccola illuminazione che non spiega tutto ma che, forse, nelle pareti, nei labirinti genetici, deve avere messo qualche radice. Banalmente ancora una volta è la giovinezza perduta, o il ricordo della giovinezza che stuzzica in modo quasi maliziosamente maligno, la nostra povera mente. La gioventù e l’idea di se giovane che niente teme.

L’immagine allora mi ha rimandato ad un film con un giovane Richard Gere. Del film[8] (non certo un capolavoro) mi era sempre piaciuto il finale e la tragica e bella uscita di scena del protagonista quando sceglie di non farsi arrestare e di non arrendersi. L’eroe, si sa, è sempre tragico e bello. Mi era piaciuta quella scena finale perché era giovane e coraggiosa, come pensavo di essere anch’io.

Note

[1] Edizione locale del Corriere della Sera di giovedì 15 settembre 2022.
[2] Umberto Eco, intervento alla Tavola Rotonda: “Fotografia, Memoria, Informazione” (Ara Pacis, 10 ottobre 2010).
[3] Italo Calvino, Le follie del mirino, ne “Il Contemporaneo”, Roma, 30 aprile 1955
[4] Cronache di poveri amanti, Vasco Pratolini, 1946.
[5] «Mais où sont les neiges d’antan?» («Dove sono le nevi di un tempo?», François Villon XVI secolo.
[6] Paradiso perduto (Paradise Lost), John Milton 1667.
[7] Carlo Rovelli — L’ordine del tempo, 2017.
[8] All’ultimo respiro, 1983, film di Jim McBride, remake di Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard, ha come protagonisti Richard Gere e Valérie Kaprisky, al posto di Jean-Paul Belmondo e di Jean Seberg). Remake che, come suggerisce Mario Mancini, fin dal titolo perde il dinamismo che gli aveva dato il maestro della Nouvelle Vague.

Paolo Marcucci ha svolto tutta la sua esperienza lavorativa nel mondo bancario. È stato relatore a convegni/incontri a carattere economico, docenze a master universitari sul risk management. È stato assessore alla cultura e all’industria del Comune di Montelupo Fiorentino. Da sempre interessato alla storia e all’economia locale, la sua ultima pubblicazione è Storia della Banca Cooperativa di Capraia, Montelupo e Vitolini. Una banca territoriale toscana e l’economia locale al tempo della globalizzazione

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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