Steve Jobs: la proprietà intellettuale è il motore della musica
Intervista a Jeff Goodell di ”Rolling Stone”, 3 dicembre 2003
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L’intervista è apparsa sul numero di “Rolling Stone” del 25 dicembre 2003. La traduzione italiana è di Lucia Lanzi
Quando Steve Jobs arriva nella luminosa reception dell’Apple Computer Campus a Cupertino, California, una di queste mattine, nessuno gli presta molta attenzione, sebbene sia l’amministratore delegato della compagnia. Indossa dei pantaloncini, una maglietta nera e scarpe da ginnastica. Alto e un po’ goffo, Jobs ha una camminata veloce e spedita, come un lupo che va di fretta. Ultimamente Jobs sembra ansioso di prendere le distanze dalla sua gioventù difficile — chi era quel folle ragazzino che una volta chiamava il computer “una bicicletta per la mente?” — e di dimostrarsi un lucido capitalista della Silicon Valley.
Jobs spinge il bottone dell’ascensore per il quarto piano, dove si trova il suo piccolo ufficio. Per un uomo che è responsabile come nessun altro della meraviglia e del caos della Silicon Valley, la vista di Jobs di tutto ciò è sorprendentemente modesta: cime d’alberi cespugliose che si allungano verso la baia di San Francisco, il fruscìo distante dell’autostrada sottostante.
Nonostante ciò, non c’è niente di modesto nei recenti traguardi della Apple. Nei mesi scorsi, l’azienda di Jobs ha implementato il PowerMac G5, probabilmente il desktop da computer più veloce del pianeta; ha ridisegnato i PowerBook e gli iBooks; ha poi introdotto Panther, un considerevole upgrade del sistema operativo OS X. Ma la più grande mossa di Jobs, e sicuramente una delle più care al suo cuore, è stato il tuffo della Apple nella rivoluzione della musica digitale.
È iniziato tutto due anni fa con l’introduzione dell’iPod, un lettore di musica portatile, che potrebbe essere l’unico pezzo di hardware della Silicon Valley che si sia mai avvicinato ad eguagliare il grado di gradimento del Macintosh originale. Poi, nell’aprile di quest’anno, la Apple ha introdotto il suo primo jukebox, l’iTunes Music Store, prima per il Mac, e poi, ad ottobre, per Windows. I risultati: 20 milioni di brani scaricati, quasi un milione e mezzo di iPod venduti, contratti aggressivi con AOL e Pepsi, molta stampa positive per la Apple in quanto salvatrice dell’industria musicale, ormai disperatamente compromessa.
Comunque, la scommessa di Jobs sulla musica digitale è una mossa molto rischiosa, non solo perché giganti come Dell e Wal-Mart stanno prendendo di mira la Apple (e presto anche alla Microsoft), ma anche perché il successo può dipendere da quanto bene Jobs, un quarantottenne miliardario, sia capace di comprendere e rispondere alle mutevoli abitudini musicali dei diciottenni nei loro dormitori dei college.
Vedi qualche parallelismo fra la rivoluzione musicale di oggi e quella del PC nel 1984?
Ovviamente la più grande differenza è che questa volta siamo su Windows. Oltre a questo, non ne sono così sicuro. Siamo ancora all’inizio della rivoluzione musicale. Ricordate, 10 milioni di canzoni vengono distribuite negli U.S.A. ogni anno — legalmente — su CD. Finora su iTunes ne abbiamo distribuite circa 16 milioni [da ottobre]. Quindi siamo veramente all’inizio.
Portare iTunes su Windows è stata sicuramente una mossa coraggiosa. Ti ci sei arrovellato parecchio?
Non so cosa si intenda per “arrovellarsi”. Ci abbiamo riflettuto molto. Il rischio maggiore era vedere persone comprare i Mac solo per mettere le mani sugli iPod. Portare gli iPod su Windows, questa è stata la grande decisione. Sapevamo che una volta fatto ciò, saremmo dovuti andare fino in fondo. Sono sicuro che perderemo alcune vendite di Mac, ma la metà delle nostre vendite di iPod è già dal mondo Windows.
Come hanno reagito le case discografiche quando le hai avvicinate per salire a bordo della nave della Apple?
Ci sono molte persone intelligenti nelle case discografiche. Il problema è che non sono persone tecnologiche. Le buone case discografiche fanno una cosa meravigliosa, hanno persone che possono intuire chi diventerà di successo fra 5.000 candidati. È un processo intuitivo. E le migliori case discografiche sanno come farlo con un tasso di successi piuttosto alto.
Penso che sia una buona cosa. Il mondo ha bisogno di editori di musica più intelligenti in questi tempi. Il problema è che questi non hanno niente a che fare con la tecnologia. Quando sono arrivati Internet e Napster, le persone nell’industria musicale non sapevano che farsene di questi cambiamenti. Molte di queste persone non usavano i computer, non avevano e-mail — non sapevano proprio cosa fosse Napster. Furono dannatamente lenti a reagire. A onor del vero, non hanno ancora veramente reagito. Perciò sono vulnerabili di fronte a chi gli dice che alcune soluzioni tecniche funzionano — quando in realtà non è così.
A causa della loro ignoranza in materia di tecnologia
A causa della loro ignoranza in materia di tecnologia, direi. Quando andammo per la prima volta a parlare con le case discografiche — circa diciotto mesi fa — gli abbiamo detto: “Nessuna di queste tecnologie di cui parlate funzionerà. Abbiamo degli esperti che sanno di queste cose alla perfezione e non pensiamo sia possibile proteggere il contenuto digitale”.
Certo, il furto di musica non è niente di nuovo. Ci sono stati contrabbandi per anni.
Certo. Quello che è nuovo è questo incredibilmente efficiente sistema di distribuzione della proprietà, chiamato Internet — e nessuno potrà chiudere Internet.
E basta una sola copia rubata per avviare il meccanismo di Internet. Il modo in cui glielo abbiamo spiegato è stato: “Devi scegliere solo una serratura per aprire tutte le porte”.
All’inizio ci hanno cacciati via. Ma abbiamo continuato a tornare ancora, e ancora. La prima casa discografica che capì veramente questa faccenda fu la Warner. Poi l’Universal. Poi iniziammo a fare progressi. E la ragione di ciò, penso, fu perché facemmo delle previsioni. E avevamo ragione. Gli dicemmo che i servizi di abbonamento musicale che stavano promuovendo sarebbero falliti. MusicNet sarebbe fallito. Ed ecco perché: le persone non vogliono comprare la loro musica come abbonamento. Hanno comprato i 45 giri, gli LP, le cassette, hanno comprato lo Stereo8 e poi hanno comprato i CD. Vorranno comprare anche i download.
Non la vedevano in questo modo. C’erano persone in giro — persone con incarichi direzionali — che continuavano a puntare all’AOL come al grande modello e a dire: “No, noi vogliamo quello — vogliamo un business su abbonamento”.
Lentamente ma inesorabilmente, dato che questi metodi non avevano dato frutti, iniziammo a guadagnare un po’ di credibilità con queste persone.
Nonostante il successo di iTunes, sembra un po’ presto per definire tutti i tuoi concorrenti dei “fallimenti”. RealNetworks’ Rhapsody, per esempio, ha convinto alcuni critici.
Una cosa da chiedere a questi servizi di abbonamento è quanti abbonati hanno. In tutto, si aggirano intorno ai 50.000. E non si tratta solo di Rhapsody, ma anche della vecchia Pressplay e della vecchia Musicmatch. Il modello di abbonamento per comprare musica è fallito.
Quando sei andato ad incontrare i manager delle case discografiche, c’erano molti commenti riguardo alla campagna “Rip. Mix. Burn.” di Apple? Molti di questi la consideravano come un invito a rubare musica.
La persona che ci ha attaccato di più a questo riguardo è stato Michael Eisner. Ma non aveva nessun teenager che vivesse a casa sua, e non aveva nessun teenager che lavorasse per Disney con cui parlare, quindi pensava che “rip” (estrarre, riferito alle canzoni) stesse per “rip off” (strappare). Quando poi qualcuno gli ha spiegato l’effettivo significato, si è scusato.
Ultimamente l’industria della musica registrata ha minacciato di gettare in prigione chiunque fosse beccato a scaricare musica illegalmente. È un approccio intelligente?
Beh, io simpatizzo con loro. Voglio dire, la Apple ha molta proprietà intellettuale e ci arrabbiamo veramente molto anche quando la gente ruba i nostri software. Quindi penso che sia nei loro diritti cercare di impedire alle persone di rubare i loro prodotti.
La nostra posizione fin dal principio è stata che l’ottanta per cento delle persone che rubano musica online non vogliono davvero essere ladri. Ma è un modo così irresistibile di ottenere musica! Dà una gratificazione istantanea. Non devi andare al negozio di musica; la musica è già digitalizzata, così non devi estrarla dal CD. È così irresistibile che le persone sono disposte a diventare ladri per farlo. Ma dir loro che dovrebbero smettere di essere ladri senza proporre un’alternativa legale che gli offra qualche beneficio, suona triste. Ci siamo detti: “Non vediamo come convincere la gente a smettere di rubare senza offrirgli una carota, non solo un bastone”. E la carota è: ti offriremo un’esperienza migliore… e ti costerà solo un dollaro a canzone.
Un’altra cosa che abbiamo detto alle case discografiche è che se vai su Kazaa per scaricare una canzone, l’esperienza non è granché. Digiti il nome di una canzone e non ottieni una canzone, ne ottieni un centinaio, da un centinaio di computer diversi. Provi a scaricarne una e, sapete, se c’è una connessione lenta e il download va in panne. E dopo che due o tre tentativi sono falliti, finalmente scarichi una canzone, e si scopre che mancano quattro secondi perché è stata digitalizzata da un bambino di dieci anni. Quando si ottiene la canzone che si vuole, sono passati quindici minuti. Questo significa che ne puoi scaricare quattro in un’ora. Alcune persone sono disposte a farlo. Altre no.
Finora Apple ha venduto circa 20 milioni di canzoni su iTunes — sembra un grande numero, finché non si realizza che miliardi di file musicali vengono scambiati ogni anno.
Non supereremo mai i servizi del download illegale, ma il nostro messaggio è: gareggiamo e vinciamo.
David Bowie ha detto che, a causa di Internet e della pirateria, il copyright morirà in dieci anni. Sei d’accordo?
No. Se il copyright muore, se i brevetti muoiono, se la protezione della proprietà intellettuale è intaccata, allora le persone smettono di investire. Questo danneggia tutti. Le persone hanno bisogno di avere un incentivo cosicché, se investono e hanno successo, possono trarne un giusto profitto. Invece su un livello interamente diverso, è semplicemente sbagliato rubare. Oppure mettiamola in questo modo: è lesivo per la natura di una persona rubare. Vogliamo fornire un’alternativa legale.
Certo, molti studenti del college che prendono la musica su Kazaa oggi non si vedono a fare niente di diverso da quello che facevi tu quando eri adolescente, copiando di contrabbando le cassette di Bob Dylan.
La verità è che è molto difficile dire alle persone di non rubare musica quando non c’è un’alternativa legale. L’arrivo di un’alternativa legale è avvenuto solo sei mesi fa. Forse c’è stata una generazione di ragazzi perduti, forse no. Chi lo sa? Forse pensano che rubare musica sia come guidare a 150 chilometro orari in autostrada, è sopra il limite di velocità, ma qual è il problema? Ma non credo che la cosa resterà così, non con le future generazioni almeno, ma chi può dirlo? È un territorio inesplorato.
La Apple ha avuto un vantaggio nel business della musica digitale, ma chiaramente anche molte altre compagnie stanno entrando nel settore. La scorsa settimana, per esempio, la Dell è uscita con il suo rivale per l’iPod, il Dell DJ.
Venderemo molti più lettori di musica digitale della Dell questo trimestre. Molti di più. Alla lunga, saremo molto competitivi. Il nostro store online è meglio di quello della Dell. E abbiamo canali di commercio al dettaglio. La maggior parte delle persone non vuole comprare queste cose per corrispondenza. Il modello di distribuzione della Dell non funziona quando si tratta di elettronica di consumo. Per esempio, venderanno TV al plasma online. Comprereste mai una TV al plasma senza vederla? Assolutamente no.
E poi c’è la Microsoft. Cosa succede alla Apple quando Bill Gates inizia a costruire un clone di iTunes nel desktop di Windows?
Risponderei dicendo che Amazon se la cava bene contro la Microsoft. Come anche eBay. Come anche Google. Anche AOL ha fatto un buon lavoro — contrariamente a quanto molte persone dicono. Ci sono molti esempi di compagnie che offrono servizi, servizi internet, che sono andate bene.
E la Apple è in una posizione abbastanza interessante. Questo perché, come probabilmente saprete, quasi ogni canzone e ogni CD sono fatti su un Mac — registrati su un Mac, mixati su un Mac, le illustrazioni fatte su un Mac. Quasi ogni artista che ho incontrato ha un iPod, e ora anche la maggior parte dei dirigenti musicali ne ha uno. E la ragione per cui la Apple è stata in grado di fare quello che ha fatto è stata perché siamo percepiti dall’industria musicale come la compagnia tecnologica più creativa. E ora abbiamo creato questo store musicale, che credo non sia banale da copiare. Insomma, dire che Microsoft possa semplicemente decidere di copiarlo e lo faccia in sei mesi, è una grossa affermazione. Potrebbe non essere così semplice.
Per quanto riguarda i film? Vedi un iTunes Movie Store nel futuro?
Non crediamo sia quello che la gente vuole. Un film richiede molto tempo per essere scaricato, non c’è gratificazione istantanea.
È stato difficile corteggiare gli artisti per aggiungerli allo store di iTunes?
Gli artisti di successo controllano la distribuzione online della propria musica. Quindi, anche se facissimo un accordo con, per esempio, la Universal Music, la più grande del settore, queste compagnie non sarebbero in grado di offrirci i loro migliori venti artisti. Così siamo dovuti andare da ogni artista, uno ad uno, per convincere anche loro. Alcuni hanno detto: “Non lo vogliamo fare”. Altri invece: “Vi lasceremo distribuire l’intero album, ma non le singole tracce”, e abbiamo rifiutato. Il principio dello store è quello di dare agli utenti la possibilità di scegliere.
Ti aspetti che un giorno la Apple inizierà a mettere sotto contratto musicisti per diventare a tutti gli effetti un’etichetta discografica?
Sarebbe molto facile per noi ingaggiare un musicista. Sarebbe molto difficile, invece, ingaggiare un giovane musicista di successo. Perché è questo che fanno le compagnie discografiche.
Pensiamo che ci siano molti cambiamenti strutturali che probabilmente avverranno nell’industria discografica però. Abbiamo parlato con un gran numero di artisti a cui non piacciono le loro case discografiche e questo mi ha incuriosito. Il motivo generale di questo è che pensano di aver avuto molto successo ma di aver guadagnato poco denaro.
Pensano di essere stati imbrogliati?
Lo pensano. Ma d’altra parte, le case discografiche non stanno facendo molti soldi in questo momento… Quindi dove va il denaro? Si tratta di inefficienza? C’è qualcuno che va in Argentina con valigette piene di banconote da cento dollari? Che cosa succede?
Dopo aver parlato con molte persone, questa è la mia conclusione: un giovane artista fa un contratto, e lui o lei prende un grosso anticipo — un milione di dollari o più. La teoria è che la casa discografica rientrerà di quell’anticipo quando l’artista sarà famoso.
Tranne nel caso in cui siano molto bravi a scegliere, solo uno o due dei dieci artisti scelti avrà successo. Quindi la maggior parte degli artisti non fa recuperare mai indietro quell’anticipo. Perciò le case discografiche sono fuori budget. Dunque, chi paga per quelli che perdono?
I vincitori pagano. I vincitori pagano per i perdenti e perciò non vedono compensi proporzionati al loro successo, e si arrabbiano. Quindi qual è la soluzione? Il rimedio sarebbe smettere di dare anticipi, fare un accordo di ricavi lordi e dire all’artista: “Ti daremo venti centesimi per ogni dollaro che ricaviamo, ma non ti daremo nessun anticipo. Il bilancio sarà semplice. Non ti pagheremo sui guadagni — ti pagheremo sui ricavi. È molto semplice: più successo avrai, più guadagnerai. Ma se non avrai successo, non guadagnerai un centesimo. Noi ci faremo avanti e rischieremo i soldi del marketing su di te. Ma se non farai successo, non guadagnerai niente; se lo farai, guadagnerai moltissimi soldi”. Questa è la soluzione. È così che funziona il reso del mondo.
Quindi vedi l’industria di della musica registrata andare in questa direzione?
No. Ho detto che credo che questa sia la soluzione. Se il paziente ingoierà la pillola è un’altra questione.