Steve Jobs: innovazione e conservazione

Prodotto, contenuto e processo

Mario Mancini
6 min readDec 28, 2019

Estratto e adattamento dall’intervista di Steve Jobs a Bob Cringely del 1995, conosciuta come “L’intervista perduta”

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Come San Paolo

C’erano tre o quattro persone che continuavano a dirmi che dovevo fare un salto allo Xerox PARC, per vedere quello che facevano, così alla fine ci andai. Era il 1979. Furono molto gentili e mi mostrarono le cose a cui stavano lavorando. Mi mostrarono essenzialmente tre cose. Ma fui talmente folgorato dalla prima che le altre due nemmeno le vidi.

Una di esse era l’object oriented programming. Mi mostrarono di che si trattava. Ma io non guardavo nemmeno. L’altra cosa fu la rete dei computer. Avevano oltre cento computer Alto, in rete. Usavano già l’e-mail per comunicare. Non guardai nemmeno questo.

Ero stato folgorato dalla prima cosa che mi avevano fatto avedere: l’interfaccia grafica. Pensai che era la cosa più bella che avessi mai visto in vita mia. A ripensarci ora, era anche molto primitiva. Quello che vedemmo era incompleto. Avevano commesso molti errori. Ma noi allora non lo sapevamo. Però l’idea l’avevano avuta e la stavano realizzando bene. Mi bastarono dieci minuti per convincermi che un giorno tutti i computer sarebbero stati così. Era ovvio. Voglio dire, si poteva solo discutere su quanti anni ci sarebbero voluti.

Si poteva discutere su chi avrebbe vinto e chi avrebbe perso, ma non si poteva discutere su fatto che ciò sarebbe accaduto. Era talmente ovvio. Se ne sarebbe accorto chiunque fosse andato lì. Era talmente lapalissiamo.

Il monopolio nella tecnologia non aiuta l’innovazione

Adele Goldberg (una ricercatrice del PARC) fece la dimostrazione. Fu un bene che la vedemmo, perché la tecnologia Xerox nelle mani di Xerox si dimostrò un fiasco clamoroso.

Pensai a lungo a questo fatto. IL’ho capito meglio più avanti con l’aiuto di John Sculley. Adesso credo di saperlo piuttosto bene. Fu un po’ quello che accadde con John Sculley. John veniva dalla PepsiCo. Loro modificavano il loro prodotto circa ogni dieci anni. Per loro un nuovo prodotto era un nuovo formato di bottiglie. Okay.

Perciò se si era uno che si occupava del prodotto non c’rano sono molte possibilità di guidare la politica dell’azienda. Beh, questo andava bene alla PepsiCo., ma ho scoperto che poteva succedere la stessa cosa nelle aziende di tecnologia che detengono il monopolio, come IBM o Xerox. Chi si occupava del prodotto alla Xerox o alla IBM, poteva mirare a produrre un computer migliore o fotocopiatori migliori. Ma a che scopo? Quando si ha il monopolio su un mercato, l’azienda non è più un’azienda che innova.

Quelli che possono migliorare i profitti sono reparti di vendita e marketing, i quali finiscono per gestire l’azienda. Mentre chi lavora al prodotto viene estromesso dai processi decisionali. Così le aziende dimenticano che cosa voglia dire realizzare grandi prodotti.

La centralità del prodotto

In qualche modo la sensibilità e l’intuito verso il prodotto che ha dato luogo al monopolio svaniscono nelle persone che prendono in gestione queste aziende, le quali non sanno più distinguere un prodotto buono da uno cattivo.

Non hanno idea del lavoro artigianale che serve per trasformare una buona idea in un buon prodotto, e nei loro cuori non c’è l’autentica volontà di aiutare i clienti.

È questo che è successo alla Xerox. A Xerox PARC i dirigenti Xerox erano soprannominati “teste di toner”. Avevano ragione. Le teste di toner andavano allo Xerox a dire che non bisognava fare niente che danneggiasse il toner.

In sostanza erano dei fabbricanti di fotocopiatrici che non avevano idea di che cos’è un computer e di quello che è in grado di fare. Hanno trasformato la più grande innovazione della storia del computer in un fiasco.

Oggi Xerox poteva avere il controllo dell’intera industria del computer. Poteva essere un’azienda grande dieci volte quello che è. Poteva essere l’IBM. L’IBM degli anni Novanta. Poteva essere la Microsoft degli anni Novanta. Ma ormai è storia vecchia, non importa più a nessuno.

La minaccia IBM

Quando IBM è entrata nel mercato era una minaccia per la Apple. Voglio dire, da una parte la Apple, un’azienda da un miliardo di dollari, dall’altra IBM, un’azienda da trenta o più miliardi di dollari, pronta a entrare nel mercato. Certo che era una minaccia. Una minaccia enorme.

Ma commettemmo un grosso errore. Il primo personal computer di IBM era terribile. Davvero pessimo. Non ci rendemmo conto, però, che erano in tanti ad avere un interesse personale a rendere migliore il PC IBM. Se fosse stato solo per IBM, avrebbero fatto clamorosamente fiasco, ma IBM aveva un che di geniale nel far sì che molte persone fossero interessate al suo successo. È stato questo a salvarli alla fine.

L’implementazione della visione dello Xerox

Eravamo stati al PARC e avevamo visto una visione che ci promettemmo di realizzare. Misi insieme i migliori che avevamo e li feci lavorare su quello. Il problema era che avevamo assunto troppa gente proveniente da Hewlett Packard e loro non capivano l’idea.

Mi ricordo delle discussioni accese con queste persone per le quali la cosa più bella che si potesse fare in materia di interfaccia utente erano dei tasti programmabili alla base dello schermo. Non avevano idea, per esempio, di cosa fossero i font a spaziatura proporzionale.

Ricordo bene di aver discusso a lungo con queste persone. Mi gridavano che ci sarebbero voluti cinque anni per riuscire a progettare un mouse, che produrlo sarebbe costato 300 dollari. Alla fine ne ebbi abbastanza. Andai fuori e trovai la David Kelly Design e chiesi loro di realizzarmi un mouse. Quindici giorni dopo avevamo un mouse di eccezionale affidabilità che potevamo avere per 15 dollari.

Scoprii che in un certo senso alla Apple mancavano persone della statura necessaria a realizzare quell’idea. Un nucleo ristretto di persone c’erano, ma poi c’era tutta una serie di gente proveniente da Hewlett Packard che semplicemente non aveva idea di come fare il prodotto che volevamo.

Prodotto e processo

Il problema è che la gente perde la bussola. Le aziende perdono la bussola. Quando iniziano a essere grandi vogliono replicare il successo iniziale. Molti pensano: “Beh, c’è qualcosa di magico nel processo che ha portato a quel successo”, e così iniziano a istituzionalizzare quel processo in ogni settore dell’azienda. E in men che non si dica cominciano a fare confusione fra processo e prodotto. È stata questa in fondo la rovina di IBM. Alla IBM sono i migliori per quanto riguarda il processo. È che si sono dimenticati tutto ciò che riguarda il prodotto.

È successo un po’ anche alla Apple. Abbiamo molte persone che sono eccezionali per quanto riguarda la gestione dei processi. Solo che non hanno idea dei prodotti che occorre fare.

Nella mia carriera ho capito che le persone migliori da assumere sono quelle che capiscono il contenuto. Ma queste persone sono una spina nel fianco per quanto riguarda il management. Ma ti devi accontentare, perché sono bravissimi nel contenuto. È da questo che nascono i grandi prodotti. Non dal processo. Dal contenuto.

L’errore del Lisa

Così alla Apple avevamo questo problema, che alla fine è sfociato nel progetto Lisa. Che ha avuto comunque i suoi momenti di gloria. In un certo senso era molto avanti rispetto ai tempi, ma mancava la fondamentale comprensione del contenuto. La Apple si era allontanata troppo dalle proprie radici.

Per quelli che venivano da Hewlett Packard, 10 mila dollari erano spiccioli. Per il nostro mercato, per i nostri canali di distribuzione, erano una cifra enorme. Così realizzammo un prodotto che non c’entrava un tubo con la nostra cultura aziendale. E con la nostra immagine aziendale. E con i nostri canali di distribuzione. E per i nostri clienti. Nessuno di loro poteva permettersi un prodotto come quello. Così fallì.

Presto mi convinsi che Lisa fosse in serio pericolo. Mi sembrava stesse andando nella direzione che ho appena descritto. Non riuscii a convincere un numero di persone sufficiente del senior management della Apple, e per lo più noi funzionavamo come una squadra. Così persi. Ci riflettei su per dei mesi, ma non ci volle molto per capire che se non facevamo qualcosa, l’Apple II avrebbe esaurito la sua spinta e dovevamo fare in fretta qualcosa con questa tecnologia, altrimenti la Apple rischiava di stravolgere completamente la propria natura.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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