Steve Jobs, Adobe e la LaserWriter

La nascita del Desktop Publishing

Mario Mancini
11 min readOct 13, 2020

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Un filotto di furiose innovazioni

Quando Steve Jobs, co-fondatore di Apple, chiamò John Warnock nella primavera del 1983, la Apple era già un enorme successo. La serie di computer Apple II era entrata delle scuole, e il modello più recente della Apple, il Lisa, mostrava che le interfacce grafiche, sviluppate alla Xerox PARC, potevano essere adattate ai personal computer in modi nuovi e interessanti. All’epoca Jobs era già al lavoro sulla successiva innovazione, il Macintosh, che adottava la metafora grafica della scrivania, andando oltre le tradizionali linee comandi di testo ASCII tipiche dei computer dell’epoca.

Jonathan Seybold, fondatore dell’influente conferenza dei Seybold Seminars e molto attento agli sviluppi della Apple e dello Xerox PARC, raccconta che quando Jobs gli mostrò il Macintosh si convinse che era stato riscritto il futuro non solo dei computer ma anche dell’editoria. “Mi era molto chiaro che la distinzione tra informatica, scienza dell’informazione e arti grafiche sarebbe semplicemente sparita”, ricorda.

Bob Belleville, membro del team Apple e già di quello del PARC, consigliò a Jobs di mettersi in contatto con Warnock, co-fondatore di Adobe.

Steve Jobs, al centro, con i fondatori di Adobe: John Warnock a sinistra e Chuck Geschke, di spalle, a destra.

Il contatto Jobs-Warnock

Jobs stesso aveva visto di sfuggita i risultati del lavoro di Warnock durante una visita allo Xerox PARC nel 1979, quando prese visione anche della prima interfaccia grafica utente. Warnock e Geschke invitarono Jobs a fargli visita ad Adobe.

La Apple aveva una stampante a matrice di punti a 72 dpi chiamata ImageWriter, ma stava lavorando con Canon su una stampante laser a basso costo che potesse pridurre una stampa di qualità tipografica per molte migliaia di dollari in meno di qualsiasi altra cosa disponibile sul mercato.

Ma quello che Jobs non aveva ancora sviluppato era il modo per collegare la stampante laser al Macintosh. Così Jobs descrive la situazione: “John e Chuck erano nel loro garage a pensare a come costruire stampanti laser, e noi nel nostro garage stavamo lavorando alla nostra”.

La chiave al mondo delle imprese

Come Warnock e Geschke, Jobs sapeva che la chiave per entrare nel mercato delle imprese era quella di migliorare le stampe realizzate in ufficio. Invece di postazioni di lavoro di fascia alta, Jobs credeva che il personal computer, facile da usare con un display point-and-click sullo schermo, potesse rivoluzionare a fondo il lavoro d’ufficio.

L’IBM, che aveva introdotto il suo primo PC nel 1981, dominava il mondo della corporate America, ma la sua stampante laser IBM 3800 costava centinaia di migliaia di dollari. Jobs voleva estromettere Big Blue da questo segmento di mercato. La stampa di alta qualità, era convinto, sarebbe stata il cavallo di Troia attraverso il quale Apple avrebbe potuto entrare nel territorio presidiato da IBM.

Il linguaggio PostScript

La grande novità del PostScrip, come linguaggio di descrizione della pagina, era la sua capacità di fondere grafica e testo in una pagina stampata.

Il linguaggio PostScript aveva entusiasmato Jobs. “Siamo stati i primi negli Stati Uniti ad avere il motore della stampante laser Canon”, ricorda Jobs. “Quando siamo andati a trovare John e Chuck, abbiamo capito subito che il nostro hardware sarebbe stato migliore del loro e che il loro software era più avanzato di quello su cui stavamo lavorando. Sono rimasto semplicemente sbalordito da ciò che ho visto”.

Durante il pranzo di lavoro in un ristorante salutista di Cupertino, Jobs chiese ai fondatori di Adobe di concedere in licenza ad Apple il linguaggio PostScript per includerlo in una stampante laser Canon a 300 dpi pilotata dal Macintosh. Geschke ricorda che Jobs si espresse in questi termini:

“Non ho bisogno del computer. Non ho bisogno della stampante. Ho bisogno del software”.

La conversione di Adobe

I due fondatori di Adobe rimasero colpiti dall’incontro con Jobs. Ricorda Geschke che se qualcuno come Jobs continua a dirti: “Stai facendo un’attività che non è quella giusta, allora è il momento di cambiarla”. Jobs semplicemente li convinse “a rinunciare ai piani per costruire un’azienda di hardware e trasformarsi in un’azienda di software”.

Warnock e Geschke si resero conto che optando per una licenza software, si sarebbero alleggeriti dell’onere della produzione di hardware, traendone un notevole vantaggio.

Infatti, Jobs offrì subito un anticipo di 1,5 milioni di dollari per le royalty del PostScript investì anche 2,5 milioni di dollari in una partecipazione del 20% in Adobe, con grande dispiacere del nuovo presidente di Apple, John Sculley, che dubitava della validità di un investimento in una società senza prodotti sul mercato. Ne valse la pena. Quando Apple uscì da Adobe, sei anni dopo, la sua partecipazione valeva più di 87 milioni di dollari.

Visione comune tra Apple e Adobe

Jobs e Warnock si intesero immediatamente. “John ed io ci piacevamo e ci fidavamo a vicenda. Mi sarei fidato di lui per ogni cosa, e credo che lui si sia fidato di me”, ha commentato Jobs. “Si era sviluppato un buon rapporto personale, anche se non sempre eravamo d’accordo su tutto”.

Il successo della collaborazione tra Apple e Adobe non risiedeva però solo nell’intesa personale, ma anche in una visione comune. Warnock e Jobs condividevano la profonda e radicata convinzione che la tecnologia potesse andare oltre il mondo della computazione per raggiungere un obiettivo superiore nel campo dell’arte della cultura.

“Abbiamo sempre pensato che Apple dovesse stare all’intersezione tra arte e tecnologia, e John la pensava allo stesso modo a proposito Adobe”, ha detto Jobs. “Il Mac è stato il primo computer disponibile in commercio con un’interfaccia grafica. Facevamo la tipografia a schermo, mentre il PostScript di Adobe riproduceva la tipografia sulla pagina stampata. John aveva anche un senso estetico molto sviluppato. Abbiamo lavorato bene insieme”.

Nel corso di diverse trattative a metà del 1983, Apple valutò seriamente la possibilità di acquistare Adobe. Durante un pasto al Good Earth con Warnock, Geschke, Putman, e MacDonald, Jobs offrì 5 milioni di dollari per Adode. Appena usciti dal giro deleterio delle grandi aziende (Xerox), i fondatori di Adobe, però, rifiutarono la proposta, preferendo andare da soli.

Il problema dell’aspetto

Adobe firmò l’accordo di licenza con Apple appena un mese prima che il Macintosh aprisse la sua campagna contro i computer senz’anima (PC IBM) con il famoso spot pubblicitario diretto da Ridley Scott che andò in onda nel gennaio 1984.

Nei mesi successivi, Adobe si allineò alla visione di Apple. In precedenza Adobe aveva già messo a punto il linguaggio PostScript per i dispositivi ad alta risoluzione. Stampanti con il motore Canon, come quello utilizzato da Apple, erano considerate semplici stampanti per test. Pensavano che l’output su quel tipo di dispositivo sarebbe stato terribile.

Ma Jobs convinse Adobe che la stampante laser era l’unico dispositivo di output che contava in quel momento e che il PostScript doveva funzionare senza problemi a 300 dpi. Realizzarla era una sfida molto difficile per il team di Adobe.

“Era arduo realizzare l’Apple LaserWriter con la tecnologia hardware disponibile all’epoca”, ricorda Ed Taft, chief scientist dell’Advanced Technology Group di Adobe. “La CPU era lenta e la memoria era fortemente limitata. Era una bella sfida rendere bene una pagina composta di testo e grafica a 300 dpi, tutto attraverso il software. La rasterizzazione dei caratteri e della grafica vettoriale era particolarmente impegnativa; si pensava che non si potesse fare in tempo reale”.

Il problema dei caratteri

Il modo di riprodurre i i caratteri con la stampante laser a 300 dpi costituì un rompicapo. Il carattere tendeva ad apparire più spesso di quanto avveniva ad alta risoluzione. Era così ispessito che un esperto di caratteri quando vide una versione a 300 dpi generata da PostScript del font Souvenir regular pensò che fosse grassetto. Warnock e Doug Brotz si misero al lavoro su quello che chiamarono “il problema dell’aspetto”, mentre di altri perfezionamenti del carattere tipografico, come l’accento, che fa sembrare i font più rifiniti a dimensioni piccole, si occupò Bill Paxton.

Il problema dell’aspetto fu risolto quando la larghezza dello stelo delle lettere fu portata a dimensione corretta indipendentemente dalla risoluzione. Ciò significò che lettere di una stessa dimensione e dello stesso stile presentavano un bell’aspetto sia che fossero impresse su una stampante laser a 300 dpi che su un un’unità di fotocomposizione a 1.200 dpi.

Questa soluzione rappresentò un importante passo avanti per il PostScript e per Adobe, a tal punto che Adobe non depositò mai un brevetto per questa tecnologia, in quanto il processo di brevettizzazione avrebbe richiesto la pubblicazione delle specifiche tecniche, la cui diffusione avrebbe scatenato la concorrenza.

Lo sviluppo del controller della LaserWrier

Dan Putman di Adobe, collega di John Warnock’s e Chuck Geschke allo Xerox PARC, è stato l’artefice del controller della LaserWriter

Per tutto il resto del 1984, gli ingegneri di Adobe si concentrarono sul porting del PostScript sul chip Motorola 68000 utilizzato nella scheda di controllo della stampante laser Canon. Il Macintosh stesso aveva una potenza di calcolo limitata, quindi il codice PostScript veniva inviato alla scheda di controllo della stampante, che ospitava il software e che doveva interpretare il codice con la potenza necessaria per effettuare la rasterizzazione.

Apple aveva pensato di progettare direttamente il chip della stampante fino a quando gli ingegneri di Adobe condivisero le proprie specifiche sulla progettazione della scheda.

“Abbiamo organizzato un incontro. Burrell Smith, il capo progettista, portò il controller per il Macintosh e io trasportai nel mio furgone la stampante laser”, ricorda Putman. “Quello che ne è venuto fuori è stata la scheda controller che interfaccia la LaserWriter con il Mac”.

La crescita di Adobe

Adobe era diventato un posto invitante per lavorare. L’azienda aveva raddoppiato le dimensioni è così dovette trasferirsi in locali più grandi su Embarcadero Road a Palo Alto. Il lavoro era stimolante e gli ingegneri erano fiduciosi. Il team aveva un grande affiatamento e condivideva l’etica del lavoro portata avanti dai giorni alla Xerox PARC.

“John e Chuck avevano portato il meglio di Xerox PARC dentro Adobe”, ricorda Tom Malloy, vice presidente e capo dell’Advanced Technology Group (ATG) di Adobe, la divisione in cui operava la maggior parte degli ingegneri provenienti dal PARC. “Si trattava di persone che si dilettavano con la tecnologia all’avanguardia e che avevano una missione da compiere, la diffusione dei prodotti nati dalle loro idee”. Dopo la disillusione del PARC, Adobe aveva fornito a questi ingegneri un’occasione per sviluppare di nuovo il loro talento.

I giochi di prestigio di Warnock

Adobe ha avuto momenti di luce e di ombra, però la reputazione di Warnock come pensatore mercuriale e instancabile innovatore era ben consolidata. Per attenuare la tensione soleva passeggiare per gli uffici giocherellando con tre bastoncini da prestigiatore.

Un giorno il giocoliere Warnock capitò nel laboratorio di hardware dove gli ingegneri stavano allestendo un prototipo di controller. Si diffuse la preoccupazione che uno dei bastoncini potesse urtare il dispositivo, e qualcuno suggerì di far pagare un biglietto d’ingresso per assistere ai giochi acrobatici di Warnock in laboratorio.

La nascita di Macintosh Office

Alla fine 1984, le strategie aziendali di Apple e di Adobe si fusero nel progetto “Macintosh Office”. Insieme, il Macintosh della Apple e la stampante laser supportata dal PostScript, offrirono nuove possibilità di creare documenti con testo e grafica sugli schermi dei loro computer e di stampare le pagine esattamente come apparivano a video (svincolando gli uffici dai rigidi confini del flusso di lavoro IBM). Una delle chiavi del Macintosh Office erano i font.

Né Apple né Adobe avevano esperienza nella progettazione o nella produzione di font, anche se i capi di entrambe le aziende apprezzavano la buona tipografia. I font erano dominio esclusivo dell’industria tipografica tradizionale e delle sue attrezzature di fototipizzazione. Un partner giusto non solo avrebbe fornito i font necessari, ma avrebbe anche offerto una piattaforma di output ad alta risoluzione per il PostScript, utilizzando i font tipografi come base.

La scommessa di Linotype

Adobe si rivolse a Compugraphic, all’epoca la più grande azienda di composizione tipografica degli Stati Uniti. Ma l’accordo con Compugraphic presentava due problemi. La Compugraphic voleva il controllo completo sui font e anche sul PostScript, una condizione che Adobe non avrebbe potuto accettare. Con il partner Apple c’erano già stati dei dissapori su un accordo per il computer Lisa, dissapori che si sarebbero acuiti se Adobe avesse accettato le condizioni di Compugraphic.

A questo punto il consulente editoriale Jonathan Seybold consigliò Warnock di andare a trovare Allied Linotype, un’azienda centenaria con radici nella stampa a caratteri mobili. Il PostScript aveva il potenziale di minare l’attività della Linotype, ma in quello che allora poteva essere descritto solo come un salto nel buio, accadde che il presidente della Linotype, Wolfgang Kummer, decise di concedere in licenza ad Adobe e Apple le sue preziose famiglie di font Times e Helvetica. Inoltre, accettò di lavorare con Adobe per sviluppare il primo set di caratteri PostScript.

Times, Helvetica, Courier e Symbol

Sebbene Linotype non fosse il più grande produttore di caratteri tipografici del paese, era il più affermato e rispettato e quindi coinvolgere Linotype fu stato una sorta di bingo. Frank Romano, professore di editoria digitale del Rochester Institute of Technology, afferma: “Una volta avuto Linotype, il successo del PostScript era a portata di mano”.

Gli ingegneri di Adobe convertirono il Times e l’Helvetica di Linotype in quattro stili ciascuno (regular, grassetto, corsivo e corsivo grassetto). Adobe sviluppò quattro stili di Courier, il carattere ubiquo della macchina da scrivere IBM Selectric (utilizzando “obliquo” invece di “corsivo” per risparmiare spazio prezioso sul chip), e una singola versione di Symbol, un mix di lettere e notazione matematica. Questi 13 caratteri, come base della prima LaserWriter, hanno formato la Stele di Rosetta della moderna editoria digitale.

Nuove font e nuove opportunità

Il Trajan uno delle prime font originali Adobe.

Nei mesi precedenti il lancio del LaserWriter, Adobe pose le basi per il suo futuro. Per rendere PostScript uno standard, Adobe aveva bisogno di un numero maggiore di font. Liz Bond, una veterana di Xerox e allora responsabile del marketing di Adobe, si rivolse ad Aaron Burns della International Typeface Corporation, la più importante risorsa di caratteri tipografici per le imprese pubblicitarie e mediatiche di New York. Adobe e ITC raggiunsero presto un accordo per includere i font ITC nelle future iterazioni di PostScript.

Oltre ad avere Linotype come fornitore di dispositivi di output ad alta risoluzione, Adobe firmò un accordo di licenza con il produttore di stampanti laser QMS. Con sede a Mobile, Alabama, QMS utilizzò il motore Canon, in modo che Adobe potesse rapidamente dotarlo di una scheda di controllo PostScript. QMS introdusse una stampante basata sul PostScript un mese prima di Apple. Ma dato che l’azienda aveva una capacità limitata di vendita e di distribuzione e non aveva la forza di marketing di Apple, la stampante di QMS divenne poco più di una nota a piè di pagina nella storia PostScript.

L’epifania del Desktop Publishing

Nell’estate del 1984, Jobs chiamò Jonathan Seybold.

“Steve voleva vedermi urgentemente”, ricorda Seybold. “Disse che avevano un accordo con Adobe, che ne stavano firmando uno con Linotype e che avevano dei caratteri tipografici reali. Sono andato a Cupertino e sono entrato in una piccola stanza dove c’erano Jobs e Warnock con un Mac e un LaserWriter. Mi mostrarono cosa si poteva fare. Mi sono girato verso Steve e gli ho detto: “Hai appena dato una svolta all’editoria. Questo è un momento spartiacque.
Quando mi sono rivolto verso John, egli aveva un’espressione di beatificazione sul volto. Era felice. Si capiva che stava pensando: ‘Questo è quello che fatto la mia azienda. Questo è il risultato del mio lavoro”. È stato un momento magico”.

“Quando quella prima pagina è uscita dal LaserWriter, sono rimasto sbalordito”, ricorda Jobs. “Nessuno aveva mai visto niente del genere prima d’allora. Ho tenuto questa pagina in mano e ho detto: “Chi non lo vorrà fare? Allora sapevo, come John, che questo avrebbe avuto un profondo impatto”.

Era la fine del 1984, e il palcoscenico era pronto per l’introduzione del LaserWriter Apple e la nascita della rivoluzionaria tecnologia del Desktop Publishing.

Fonte delle informazioni: Pamela Pfiffner, Inside the Desktop Publighing Revlution. The Adobe Story, 2002, Peachpit Press, Berkeley, California

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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