Reale e realtà
di Enrico Roccato
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La matrice qual è?
Ci troviamo tutti proiettati in una nuova dimensione di vita che non è solo quella dettata dal distanziamento sociale ma, come tutti stiamo sperimentando, quella della dimensione personale non più condizionata (o non del tutto condizionata) dai vincoli e dalle regole dei ruoli professionali o famigliari.
Nasce spontanea quindi la domanda: è vera questa condizione attuale o era vera quella precedente? Vera nel senso di appartenenza al nostro insieme di valori su cui costruiamo i nostri orizzonti personali.
Lessi tempo fa (ed ho ritrovato in altre lettura pochi giorni fa) la distinzione che fa Lacan tra “realtà” e “reale “. La “realtà” è la realtà esterna a noi, lo spazio fisico che frequentiamo, le persone che conosciamo e tutto quell’insieme di regole non scritte che ci consentono di muoverci e relazionarci con il mondo circostante.
Il “reale” è qualcosa per noi poco chiaro, è l’insieme delle situazioni che non sono a nostra portata, è un mondo pieno di invisibilità perché non abbiamo gli strumenti per conoscere ed abbiamo bisogno di tempo per acquisirli. Per passare da questo mondo reale alla realtà o entriamo in una condizione di angoscia (e per molti questo sta accadendo anche se in forma per ora non manifeste) o ci inventiamo delle soluzioni che possono anche esporci a rischi seri ( tipo facciamo finta di niente e torniamo subito alla vita di sempre- vedi Trump).
L’esempio di Alexander Langer
Nei miei contatti con il mondo, sembra emergere una attenzione crescente verso le modalità di acquisizione di un personale nuovo modello di vita, almeno a livello individuale. Un modello a cui improntare i propri orizzonti di valore. Ed in questi giorni ho avuto occasione di rileggere pezzi di Alexander Langer (chi non lo avesse mai letto ci ritorni). Il suo pensiero, in modo grossolano, si sintetizza in una formula. La riflessione parte facendo riferimento al motto olimpico “citius, altius, fortius” che bene sintetizza lo spirito della nostra civiltà (turbocapitalismo ) dove l’agonismo e la competizione non sono legati all’espressione sportiva ma sono la legge a cui conformarsi.
Langer, molti anni fa, si batté cercando di formulare un diverso motto che potesse costruire un nuovo modello: “lentius, profundius, suavius”. Può apparire ingenuo oggi, davanti alla globalità e drammaticità dei problemi usare formule che richiedono una semplicità e sobrietà dei modi che è stata progressivamente stigmatizzata ma ci sono, a vostro parere, le condizioni concrete per ricominciare tutto come prima?
Ha senso guardare indietro?
Potranno i cittadini del Bangladesh che lavorano nella globale filiera tessile tornare a vivere sfruttati come prima dal sistema della moda nelle sue diverse forme o prima dovranno morire di fame dato che il sistema si è inceppato e non hanno sistemi di welfare che li sostengano?
Potremo noi tornare davvero a prendere un aereo al mese per andare a vedere le capitali senza domandarci il prezzo che paghiamo alla biosfera per questo?
Uso questi due esempi tra le migliaia possibili per mettermi davanti al “reale” che mi deve riportare alla “realtà” che non volevo vedere.
Ora è chiaro che se scompongo — come credo saremo costretti a fare — i segni di crisi che già ci sono e che peggioreranno, non vedo chiaramente quale sia lo sbocco né mi sembra che esista al mondo qualche soggetto politico che abbia la levatura per dirci come sarebbe meglio (non dico bene) fare.
Un nuovo inizio
Ma almeno a livello mio personale una risposta bisogna che me la dia ed è la stessa situazione nella quale ci troviamo quando ci poniamo le domande sulla nostra personale vita terrena e la sua fine. E la risposta, per me, è mettere insieme tanti di questi elementi intellettuali, culturali ed umani che ci legano, come in questo scambio di idee, per dettarmi una nuova linea di vita che rispetti il mondo naturale e umano intorno a me e cerchi di rispettarlo e conservarlo.
Abbiamo certamente vissuto un periodo storico fortunato che ci ha consentito un alto benessere e di beneficiare di quanto i nostri genitori hanno costruito e noi abbiamo mantenuto con il nostro lavoro. Ma molto di quanto abbiamo vissuto nel corso degli ultimi venti anni almeno è stato improntato ad un approccio fortemente narcisistico alla nostra vita dato che abbiamo potuto utilizzare una quantità quasi infinita di possibilità.
… oltre
Eravamo in quella che è stata definita la “società degli individui”, dove la dimensione economica ha monopolizzato ogni altra scelta, l’innovazione tecnologica governa le nostre vite, l’homo economicus è l’unico degno di riconoscersi come umano sul palcoscenico. Come ha detto qualcuno, il mondo nel quale viviamo piano piano ha smesso di essere una catena di montaggio per diventare un parco di divertimenti (e questo vale sia nel mondo occidentale che nel resto del mondo anche se le dimensioni del problema sono molto differenti ed io mi riferisco agli orizzonti proposti).
Ci sono proposti infiniti campi di azione o di gioco se vogliamo usare un termine che ben si applica alla realtà che cerco di descrivere, dove esistono spazi infiniti di possibilità (incontri, sfide, simboli, piaceri e discorsi) e dobbiamo essere sempre performanti.
In questi giorni sto guardando la serie “WestWorld” su Netflix. All’inizio non mi è piaciuta per niente anche se è fatta oggettivamente molto bene sul piano tecnico. Poi pian piano ho letto in quell’opera e nell’agire dei personaggi la piena rispondenza con quanto ho scritto sopra: è stato costruito un mondo artificiale nel quale tutto è possibile per chi paga: uccidere, violentare, persino forse morire.
Ma il sistema si inceppa quando il sentimento umano fatto di ricordi e di dolore si insinua nelle logiche rigidamente costruite con la tecnologia. la più avveniristica.
Resta sempre la speranza
Quindi ritorno a quanto scrissi qualche giorno fa: la mia risposta è positiva in termini di speranze in prospettiva anche se non a breve e anche se non vedo a chi politicamente potermi riferire per costruire una nuova dimensione della realtà sociale ed economica. Ragionevolmente possiamo essere pessimisti ma abbiamo anche gli strumenti per cambiare le regole che ci hanno governato. Sicuramente li abbiamo per cambiare le nostre personali regole.
A conclusione di questo bello e sentito intervento aggiungerei le parole di Walter Benjamin “Solo per chi è senza speranza c’è data la speranza”, citate da Adorno nel saggio sull’amico Benjamin (Prismi, Einaudi).
Enrico Roccato nasce al confine con la Svizzera e ne porta i segni. Ha studiato per “fare il dottore” ma, dopo la laurea in Medicina, si è occupato di ambiente e prevenzione primaria per poi arrivare a ruoli di gestione e governo dei servizi sanitari. Conosce a fondo il mondo della sanità con la sua ricchezza e le sue contraddizioni, ma oggi è impegnato in nuove riflessioni e ricerche su come la salute dipenda da fattori solidi quanto i farmaci e le tecnologie.