Razionalità/irrazionalità dell’umanità
Riflessioni sulla teoria della finanza comportamentale
di Paolo Manca
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Se non avete il tempo di leggervi per intero questo bel post di Paolo Manca, annotatevi almeno i magnifici libri che menziona, tutti disponibili in italiano. Sono ormai dei classici che non dovrebbero mancare nelle proprie librerie Kindle o non-Kindle.
Robert B. Cialdini Le armi delle persuasione, Giunti, 2013
Daniel Kahneman, Pensieri lenti e veloci, Mondadori, 2012
Richard Thaler e Cass Sunstein, La spinta gentile, Feltrinelli, 2014
Che cosa guida i mercati
Nel numero precedente ho elencato tre cause che possono turbare il buon funzionamento dei mercati finanziari: irrazionalità dei comportamenti umani, sostituzione degli operatori umani con i computer, concentrazione patologica dei capitali in pochissimi giganti finanziari, talché può accadere che anche i mercati finanziari vivano momenti di follia e tuttavia vale la mia motivazione delle motivazioni che sarebbe anche una cosa originale e seria ed è la seguente:
I mercati sono sempre guidati dal fine del perseguimento della ricchezza, e poiché molti soldi attirano molti cervelli efficientissimi, i mercati sono sempre razionali ma egualmente sempre imprevedibili poiché cambiano gli operatori (in conoscenze, tecniche, strumenti), cambia l’economia, cambiano le politiche mondiali, cambiano le leggi.
Chi interviene nel mercato cambia il mercato per il fatto stesso che vi interviene.
È come nella meccanica quantistica in cui se si vogliono avere informazioni su un processo necessariamente si modifica il processo.
È come se nel tennis ciascun giocatore scendendo in campo modificasse la forma e le dimensioni del campo e delle racchette: non si gioca mai lo stesso tennis.
In ogni caso esiste sempre un nucleo di gestori “super-razionali” informati, intelligenti, avidi e senza remore morali, capaci di sfruttare e a volte di provocare i cosiddetti momenti di irrazionalità. Forse l’unico momento di panico collettivo si è avuto nel 1929 ma le condizioni erano assai diverse dalle attuali.
Stress decisionali
Con queste premesse divago leggermente dalla finanza e mi occupo in generale del tema razionalità/irrazionalità e del significativo contributo di alcuni studiosi psicologi ed economisti negli ultimi decenni. Un contributo peraltro sfruttato anche dai mercati dalla cosiddetta teoria della finanza comportamentale.
In seconda media, nell’occasione della foto di classe, fui colpito dalla richiesta del fotografo: chi non vuole acquistare la foto di classe alzi la mano. Nessuno alzò la mano. Se avesse chiesto: chi vuole acquistare la foto di classe alzi la mano sicuramente non tutti avrebbero alzato la mano.
Due quesiti equivalenti ma due risultati diversi.
Allora, e mi compiaccio, detti anche una spiegazione: alzare la mano è più faticoso che non alzare la mano non solo per la parte fisica (si mettono in moto alcuni muscoli) ma soprattutto per la parte mentale: si tratta di passare da uno stato mentale inattivo ad uno stato mentale attivo che porta a un confronto e a una scelta (faticosa) tra alternative.
Scegliere vuol dire soffrire, comparare gli aspetti positivi e quelli negativi, vivere comunque momenti di piccolo o grande stress.
Avevo scoperto una prima regola basilare : noi umani siamo caratterizzati da una marcata pigrizia di fondo, siamo portati a preferire le scelte che richiedono la minor fatica mentale.
Anche quando comprai il mio primo abito “elegante” afferrai a mie spese un altro concetto basilare: dopo la scelta dell’abito il commesso mi propose l’acquisto di due cravatte. Erano carissime e non le avrei mai comprate se me le avesse proposte per prime… ma con quello che avevo speso per l’abito in fondo potevo permettermi anche quelle cravatte.
Elogio della follia
Conclusi che l’uomo non è razionale e mi rallegrai perché solo gli eletti sanno apprezzare a pieno la pazzia.
Del resto lo aveva già detto Erasmo, (Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia), lo ha detto Bertrand Russel (L’equilibrio tranquillizza, ma la pazzia è molto più interessante), lo ha detto Charles Bukowski (Alcune persone non impazziscono mai. Che vite davvero orribili devono condurre).
Ho ripercorso quegli episodi dopo molti anni leggendo un libro straordinario di Cialdini Le armi delle persuasione (1995) e successivamente il libro di Daniel Kahneman Pensieri lenti e veloci (2011) e il libro di Richard Thaler, Cass Sunstein La spinta gentile (2008).
A Daniel Kahneman nel 2002 hanno attribuito il Nobel per l’economia e così a Richard Thaler nel 2017.
Col senno di poi, mi sono rimproverato per non aver approfondito quelle antiche intuizioni.
Tra l’altro quanti studi e scritti ho poi dedicato alla teoria delle decisioni, alla funzione di utilità di John von Neumann e Oskar Morgenstern, alla analisi e alla misura del rischio: “tempo sprecato”…come rispose quello studente alla domanda: “io studiai: che tempo è?”.
Le armi della persuasione
Cialdini osserva che ogni giorno facciamo decine di scelte, il nostro cervello avrebbe bisogno di tutte le informazioni necessarie per valutare nel migliore dei modi ma con tempi troppo lunghi, pertanto va alla ricerca di strade brevi per velocizzare il processo di decisione e non disperdere troppe energie affidandosi a pochi principi che empiricamente nei millenni si sono dimostrati efficaci:
- reciprocità (quando riceviamo qualcosa da una persona, ci sentiamo in dovere di ricambiare);
- legge del gregge (se lo fanno in tanti sarà la cosa giusta);
- scarsità (se una cosa è o sembra rara è certamente appetibile);
- sopravvalutazione delle perdite (le persone sembrano più motivate ad agire dal timore di una perdita che dalla speranza di un guadagno di pari entità);
- coerenza (se abbiamo preso una decisione, non cambiamo rotta perché non voglio perdere la faccia con noi stesso e con i nostri simili);
- autorità (se lo dice lui che conta allora …);
- simpatia (diciamo di sì a chi ci piace, diciamo di no a chi non ci piace).
Pensieri lenti pensieri veloci
Analogamente nel suo libro Pensieri lenti e veloci, Daniel Kahneman osserva come l’uomo prenda decisioni facendo riferimento a due principi decisionali innati: quello veloce e istintivo, quello lento, razionale e riflessivo. Il primo ci permette, ad esempio, di riconoscere ed evitare una situazione di pericolo immediato, il secondo ci permette di risolvere un calcolo matematico complesso.
Com’è intuibile, il secondo sistema, sebbene più razionale, richiede molti più sforzi cognitivi ai quali l’essere umano non è istintivamente portato. Insomma, se una scelta si complica, è assai probabile che venga accantonata ovvero che venga effettuata con ricorso ad una euristica che in molti casi funziona ed egualmente spesso si rivela erronea.
Il contributo più interessante di Kahneman (insieme a Tversky) è stato quello che supportare le sue conclusioni attraverso altrettanti esperimenti di psicologia cognitiva che hanno fornito risultati sorprendenti: le scelte degli esseri umani violano sistematicamente i principi della razionalità e le concause sono piuttosto numerose.
- Per l’effetto contesto: cioè il contesto in cui l’individuo si trova a operare la scelta e per il modo in cui il problema viene formulato.
- Per l’avversione alle perdite nel senso che per la maggioranza evitare una perdita è più importante che realizzare un guadagno.
- Per l’effetto di semplificazione: che deriva dalla difficoltà a valutare coerentemente le conseguenze specie in condizioni di incertezza e dunque per la propensione a ricorrere a regole empiriche piuttosto grossolane.
- Per l’effetto status quo per cui per inerzia siamo portati a lasciare le cose come stanno.
- Per l’effetto gregge per cui sentiamo l’esigenza di conformarci al comportamento dei più ovvero del nostro gruppo di appartenenza.
Il paternalismo libertario
Sulla scorta di tante e tali considerazioni anche Thaler e Sunstein affrontano le tematiche appena considerate e, poiché piccoli dettagli apparentemente insignificanti possono avere influenza sui comportamenti, si fanno promotori del paternalismo libertario cioè dell’opportunità che hanno, soprattutto i governi e le istituzioni, di poter influenzare positivamente i comportamenti umani, specie quelli collettivi, con piccoli “suggerimenti gentili (nudge)” con lo scopo di tutelare e aumentare la libertà di scelta tenuto conto che gli individui prendono cattive decisioni che non avrebbero preso se avessero prestato piena attenzione e se avessero posseduto maggiori informazioni e maggiore autocontrollo.
Il paternalismo libertario cerca con “spinte gentili” di orientare gli individui in una direzione che possa migliorare le loro condizioni di vita.
Paternalismo perché indirizza e suggerisce, libertario perché cerca sempre di rispettare l’autonomia altrui e fa affidamento sull’adesione per libera scelta in contrasto con le norme di regolamentazione autoritaria che impongono e contrastano le libere scelte.
L’argomento è affascinante e suggerisco la lettura dei libri citati e mi limito a citare un semplice esempio: quello di fornire i contachilometri delle auto di un dispositivo che suona non appena si supera una certa velocità, magari come opzione di default, ma al tempo stesso consentire al proprietario di disinserirlo.
Appartengono ovviamente al paternalismo libertario tutte quelle disposizioni che incentivano piuttosto che vietare e non è casuale il complesso delle disposizioni incentivanti che gli ultimi governi hanno emanato per la ripresa economica (disposizioni prontamente vanificate dalle ultra disincentivanti norme attuative dei nostri burocrati).
I controlli impliciti
Termino con una proposta di paternalismo libertario che a suo tempo avanzai in un ente pubblico per incentivare i funzionari ad essere presenti: un pannello ben visibile a tutti e posto all’ingresso di ogni piano con i nomi dei funzionari e una lampadina accesa o spenta a seconda che il funzionario fosse presente o meno.
Fu giudicata talmente interessante (e preoccupante) che venne promossa una commissione di studio che ancora oggi, dopo vari lustri, continua ad esaminarla.
L’idea del controllo implicito è stata una caratteristica dell’approccio socio-tecnico di Enid Munford (1924–2006), una illustre scienziata, esperta di sistemi informativi, che ebbi occasione di ospitare a Pisa negli anni ottanta. (Come dire che c’è sempre qualcuno che ha avuto l’idea prima di qualcun altro).
I controlli impliciti sono regole (implicite) che devono far parte integrante del disegno di ogni organizzazione umana e che fungono da incentivo/deterrente non scritto ma percepito come tale da tutti.
Da manuale gli specchi posti nei corridoi degli uffici per rallentare la “fuga” degli impiegati allo scadere dei turni di lavoro, o il distintivo da porre all’occhiello della giacca per distinguere il miglior venditore del mese.
Paolo Manca, già docente di Calcolo delle probabilità, titolare della cattedra di Matematica finanziaria all’Università di Pisa, direttore del master di Finanza e mercati finanziari. Attualmente svolge attività di consulenza sui contratti finanziari, sulla valutazione di patrimoni immobiliari e di piani finanziari. È presidente dell’Associazione Cerfidi (Centro studi e ricerche di finanza e diritto). Oltre a numerose altre pubblicazioni, è autore di Titoli e mercati finanziari (Etas Libri, Milano 1993) e Principi di valutazione dei titoli derivati (Giappichelli, Torino 2005), Te la do io la probabilità (goWare, Firenze 2016), Giurimetria bancaria. Basi tecniche, (goWare, Firenze 2018).