Quo vadis?, America
I 40 anni di “Paris, Texas”
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Sono 50 anni che Wim Wenders porta avanti una sua personalissima riflessione sull’America. Che cosa c’è alla radice di questa ossessione del regista di Düsseldorf per l’America? E lui stesso a dircelo.
Lo ha fatto in una intervista in francese parlando di “Paris, Texas”, intervista reperibile nella edizione DVD del film e, ahimè!, non online. Su YouTube c’è invece il film completo prima del restauro in 4k.
Perché l’America di “Paris, Texas”?
Dice Wenders:
La storia che racconto fin dall’inizio credo che sia la storia di una persona che, come me, è nata in un paesaggio e in un luogo, come la Germania degli anni ’40 inizio anni ’50, troppo piccolo per lui. Un luogo che ha voluto lasciare non appena ha avuto l’età per camminare.
Per andare dove?
… nel paesaggio mitico del western americano, ma io volevo fare qualcosa che non seguisse quel tipo di film. Non volevo fare un film basato su altri film benché io sapessi che era il paesaggio di John Ford, Ashley, Mann e tanti altri.
Non volevo fare riferimenti solo a quei grandi spazi che erano inimmaginabili per noi europei e per me in Germania. Volevo fare di più.
Paris è davvero nel Texas?
Proprio nel 2024 “Paris, Texas”, il suo film più americano, ha compiuto 40 anni. Questo film offre molte chiavi di lettura, a partire proprio dal suo titolo, attentamente, quanto casualmente, costruito.
All’inizio, il film aveva un titolo diverso. Wenders, però, scoprì su una mappa del Texas un luogo perduto, chiamato Paris, nella regione del Big Bend, al confine col Messico dove il Rio grande compie una grande ansa.
Su questa fortuita omonimia, che crea uno stridente contrasto tra due Parigi, il regista ha costruito uno dei nuclei narrativi centrali dell’opera. A Paris, Texas inizia proprio il viaggio terreno di Travis (Harry Dean Stanton).
Alice nelle città
“Paris, Texas” è il culmine della “riflessione” di Wenders sull’America. Dieci anni prima aveva iniziato con “Alice nelle città” e poi continuato con “L’amico americano” nel 1977 e “Hammet” nel 1982.
Tuttavia, in “Alice nelle città”, si era arrestato presto. “L’amico americano” era una riduzione dell’omonimo romanzo di Patricia Highsmith e “Hammet” un omaggio al maggiore scrittore di gialli hard-boiled d’oltreoceano.
Già in “Alice nelle città” si intravede “Paris, Texas”. Philip Winter, un giornalista tedesco, è in America per un reportage. Nonostante giri in lungo e in largo, non riesce a scrivere una sola riga.
Troppo complicato: riesce però a scattare tante Polaroid, istantanee di persone, paesaggi, architetture, insegne. Offre il materiale alla sua rivista di Berlino che, però, lo rifiuta. È l’Europa che gira le spalle all’America autentica.
Solo dopo essere tornato in Germania via Amsterdam e aver vissuto l’intensa esperienza con la piccola Alice, Winter pensa di iniziare a scrivere. Ma il film finisce qui. Non sappiamo se lo farà. Sì, lo farà in “Paris, Texas”.
Quasi un documentario
Con un budget di 2 milioni di dollari, 5 attori, una troupe minima Wenders ha vinto la Palma d’oro a Cannes. Costo non previsto, l’iscrizione in massa al sindacato degli autisti per poter scorrazzare sulle strade del Texas.
Cast minimo, ma tante idee che si devono anche a Sam Shephard, interprete eccellente della complessità americana. Shephard, insieme a Wenders che lo voleva come protagonista, ha scritto da zero, e a singhiozzo, il copione.
C’è poi la colonna sonora di Ry Cooder, un sound malinconico e meditativo reso con la slide guitar. Note singole e rarefatte per accompagnare lo smarrimento di Travis e la crudezza dei paesaggi.
Wenders ha girato in ordine cronologico così da permettere agli attori di conoscere sempre il punto della storia. Niente effetti speciali se non filtri Polaroid e bifocali. Ha lasciato pure le luci verdastre del neon.
I primi due scenari dell’America
Il film si apre nelle terre desolate e aspre del Big Bend, la regione di confine tra Texas e Messico. È un luogo isolato ed estremo, dove non si scorge alcun segno di presenza umana. Solo terra arida, rocce e avvoltoi.
Oggi questo territorio è diventato un punto caldo del percorso dei migranti irregolari. Ma nel film non c’è traccia di tutto questo: niente recinzioni, sceriffi o oggetti abbandonati. L’America di allora era molto diversa.
Il secondo scenario è il quartiere collinare sopra l’Hollywood Burbank Airport. Qui vive Walt (Dean Stockwell), il fratello di Travis, con la moglie Anne (Aurore Clément) e il piccolo Hunter (Hunter Carson), figlio di Travis.
Da queste alture si ammirano vaste vedute notturne di Los Angeles e gli intricati snodi autostradali che conducono alla “città degli angeli” — un tema, quello degli angeli, che Wenders svilupperà nel film successivo.
… e il terzo scenario
L’ultimo scenario contiene il climax del film. Siamo a Houston, una città che cattura l’immaginazione di Hunter, appassionato di missioni spaziali tanto da vestire una felpa della NASA per tutto il viaggio.
Nel distretto finanziario di Houston c’è la banca drive-in, dove, una volta al mese, si reca Jane (Nastassja Kinski), la madre biologica del piccolo, per inviare dei soldi alla famiglia adottiva di Hunter. È qui che si può intercettarla.
I quartieri e le strutture modernissime della città e l’ampio reticolo urbano sboccano in grandi autostrade dritte verso cittadine meno luccicanti di Houston come Port Arthur, dove Jane si reca al lavoro nel peep-show.
Nel peep-show, un luogo completamente riconcepito da Wenders, avviene, al termine di un inseguimento lungo l’autostrada, la scena più importante del film. È un momento che richiama una pièce in due atti unici.
Wenders collega questi tre scenari con lunghi spostamenti in auto, scanditi da soste in motel, drive-in, diners e stazioni di servizio. In questi trasferimenti, lenti e contemplativi, si hanno, forse, le sequenze più suggestive del film.
Viaggiare
L’auto è uno dei simboli dell’America, così radicato nella cultura di quel Paese da essere diventato un elemento dell’identità nazionale. In “Paris, Texas”, almeno 20 dei 145 minuti del film si svolgono all’interno di un’auto.
I viaggi di Travis, prima con il fratello e poi con il figlio Hunter, esplorano aspetti fondamentali del paesaggio naturale e antropico americano. Sono momenti di confronto e condivisione: stati d’animo, ricordi, confessioni e speranze.
Walt e Travis viaggiano per due giorni su una Ford Grenada da Terlingua a Los Angeles attraverso quattro Stati. Travis e Hunter percorrono 2200 chilometri su una Ford Ranchero per andare da Burbank a Houston.
Nell’immaginario di Wenders, il viaggio non è rappresentato solo dall’automobile: anche il treno lo seduce. Travis fugge da se stesso lungo binari che si perdono all’orizzonte o seguendo i tralicci della corrente.
In tre scene suggestive, il passaggio dell’unico treno giornaliero — una doppia motrice seguita da una sequenza infinita di vagoni — è ripreso con estrema cura e indugiando sullo sfilare del convoglio e lo sferraglio dei vagoni.
La troupe ha dovuto attendere un’intera giornata per catturare l’istante del passaggio del treno, volendo restituire al pubblico il senso di un’America dilatata nei suoi spazi e nei suoi tempi allungati.
E poi ci sono gli aerei. Dalle alture sull’Hollywood Burbank Airport, Travis trascorre lunghe ore insonni a osservare, con un binocolo, il transito dei jet. Il rombo dei velivoli accompagna molte delle scene in questa location.
Alice e Hunter
Come Alice, otto anni, è il personaggio centrale di “Alice nelle città”, così Hunter, stessa età, è il fulcro di “Paris Texas”. Wenders riesce a caratterizzare con inusitata profondità queste figure pre-adolescenziali.
Entrambe, seppur in contesti totalmente diversi, aiutano a restituire un senso e una direzione agli adulti smarriti, costringendoli, con la loro vitalità e sincerità, a raccontarsi in un modo che sfugge alla loro stessa comprensione.
Entrambe mostrano maturità di fronte a realtà complesse: Hunter si ritrova due madri e due padri, Alice li ha smarriti entrambi. Questa capacità dei ragazzi diventa una leva psicologica, quasi terapeutica, per gli adulti.
Una scena di “Paris, Texas”, per esempio, mostra quanto Travis sia fuori dal mondo. Si offre di andare a prendere Hunter a scuola a piedi. “Nessuno va a piedi a L.A.” risponde il bambino che sembra lui, il genitore.
Un altro rovesciamento si ha quando Travis, ubriaco, si stende sul divano della sala di attesa della lavanderia di Port Arthur e racconta a Hunter, nella posizione dell’analista, del padre, della madre e della sua infanzia.
Che senso avrebbe la vita degli adulti e di una comunità se la vivacità e la voce di queste giovani presenze si affievolisse? E questo ci porta a un tema che affligge non solo l’America. Quello dell’invecchiamento.
Quo vadis?, America
Nel finale, in una Houston notturna che sembra dipinta da Hopper, viene da domandarsi, come per Shane nella chiusa del “Cavaliere della valle solitaria”, dove stia andando Travis con la sua Ford Ranchero.
E oggi ci chiediamo: dove sta andando l’America? Forse verso una nuova eroica solitudine, come Travis e prima di lui Shane?
Wenders ha affermato che sono stati molti i produttori che gli hanno chiesto di riscrivere il finale nel senso di un ricongiungimento familiare completo, ma Wenders pensa che il finale sia perfetto così.
E lo è, perché davvero non sappiamo dove stiamo andando, ma dobbiamo andare. Non però a Paris, Texas, dove forse è veramente diretto Travis.