Proletari di tutti i paesi, unitevi!
Il programma della Prima Internazionale (1864)
I primi contatti da cui poi scaturì la fondazione della Associazione Internazionale dei Lavoratori ebbero luogo, tra operai inglesi e francesi, in occasione della visita effettuata a Londra nel 1862 da una delegazione di operai francesi inviata con un sussidio del governo di Parigi — propenso allora ad accattivarsi le simpatie della classe operaia contro la crescente opposizione della borghesia liberale e radicale — per visitare l’Esposizione Internazionale tenuta in quell’anno nella capitale britannica.
La delegazione francese prese allora contatto con il “London Trades Council” che, dopo la fine del movimento cartista, era allora l’organismo più autorevole nel movimento operaio inglese. Ma fu soprattutto l’eco di simpatie suscitata dalla rivoluzione polacca dell’anno successivo a promuovere e intensificare questi contatti.
Una nuova delegazione di operai francesi, stavolta inviati a spese degli operai e non del governo, partecipò il 22 luglio 1863 a un grande comizio a Londra a favore della Polonia, e il proposito di agire concretamente in appoggio della insurrezione fece maturare l’idea di una collaborazione permanente tra il movimento operaio dei due paesi.
Nel novembre 1863 una commissione presieduta da uno dei dirigenti sindacali inglesi, il calzolaio George Odger (1820–1887), inviò un appello agli operai francesi in cui, dopo avere inneggiato alla Polonia, si metteva in rilievo come la mancanza di collegamenti internazionali tra i lavoratori consentisse agli industriali di combattere le richieste di più elevati salari da parte degli operai inglesi mediante l’importazione di operai francesi, tedeschi, belgi ecc.
L’appello suscitò in Francia grande entusiasmo: ma solo il 28 settembre 1864 poté essere tenuto, nella S. Martin’s Hall di Londra, un grande raduno, presieduto dal positivista radicale prof. Edward Spencer Beesly (1831–1915), al quale parteciparono, oltre alle delegazioni operaie inglese e francese, anche numerosi rifugiati politici di altri paesi.
Fra gli esponenti inglesi va menzionato il già ricordato Odger, tra i francesi Henri-Louis Tolain (1828–1897), tra i tedeschi il sarto Joahann Georg Eccarius (1818–1889), già membro della Lega dei Giusti.
Gli italiani erano rappresentati dal mazziniano maggiore Wolff. Dopo una vivace discussione si decise la formazione di una Associazione Internazionale e venne nominato un comitato, di circa 50 membri, per la formulazione del programma e dello Statuto; su raccomandazione di Eccarius ne faceva parte Marx, che era già stato invitato alla riunione del 28 settembre.
In una seduta del 12 ottobre sembrò che il Comitato si orientasse verso l’approvazione del Regolamento e degli Statuti, di ispirazione mazziniana, proposti dal maggiore Wolff. Marx non era stato presente alla seduta; ma, partito Wolff per Napoli, dove era invitato al Congresso delle società operaie italiane, Marx riuscì, in una successiva riunione del 18 ottobre, a far mettere da parte i testi già presi in considerazione e a farsi affidare l’incarico di una nuova redazione; e appunto a Marx si devono il celebre Indirizzo inaugurale, e gli Statuti approvati definitivamente dal comitato nella seduta del 1° novembre 1864. Scritti in tedesco e in inglese, essi furono pubblicati pochi giorni dopo.
L’Internazionale non rappresentò mai la maggioranza del movimento operaio di nessun paese: in Francia e in Inghilterra infatti esso prese altre vie, in Italia predominò l’influenza di Bakunin, in Germania quella di Lassalle. Tuttavia, essa suscitò grandi timori in tutti i paesi, assai superiori alla sua forza effettiva; e stabilì una tradizione alla quale si riallaccerà poi il successivo grandioso sviluppo del socialismo marxista.
È da rilevare tuttavia che tanto l’Indirizzo inaugurale che gli Statuti del 1864 sono di tono assai più moderato del Manifesto del 1848: essi insistono soprattutto sui vantaggi della cooperazione operaia, sulle conquiste in fatto di legislazione del lavoro (legge sulle 10 ore lavorative) ecc.
Ciò dipendeva in parte dal fatto che Marx nel 1864 si attendeva una nuova imminente rivoluzione in Francia e in Europa, ma non in Inghilterra, cioè in quello che ai suoi occhi restava il terreno della lotta decisiva, e in parte dalla varietà delle tendenze rappresentate in seno all’Internazionale, molte delle quali non avrebbero accettato un programma risolutamente socialista e rivoluzionario.
Come è noto, l’esistenza della Associazione Internazionale ebbe praticamente fine quando, nel Congresso dell’Aja del settembre 1872, Marx ed Engels, in seguito ai contrasti con gli anarchici libertari del Bakunin, fecero approvare il trasferimento dell’associazione a New York, togliendole così ogni possibilità di sopravvivenza.
Si dà qui la seconda parte dell’Indirizzo inaugurale e il testo degli Statuti, nella traduzione italiana in K. Marx-F. Engels, Il partito e l’Internazionale, Roma, Rinascita, 1948, pp. 110-118. Per l’inquadramento storico cfr., tra la vastissima letteratura, F. Mehring, Storia della socialdemocrazia tedesca, trad. ital., Roma, Editori Riuniti, 1961, vol. II, pp. 163-174; L. Valiani, Storia del movimento socialista, La Nuova Italia, Firenze, vol. 1, p. 117 sgg.; Cole, Storia del pensiero socialista, Laterza, Bari, 1977, vol. II, p. 88 sgg.
1. Indirizzo inaugurale
…Dopo l’insuccesso delle rivoluzioni del 1848, tutte le organizzazioni di partito e i giornali di partito delle classi operaie furono distrutti sul Continente dalla ferrea mano della violenza; i figli più progrediti del lavoro fuggirono disperati nella repubblica transatlantica; e gli effimeri sogni di emancipazione svanirono davanti a un’epoca di febbrile attività industriale, di marasma morale e di reazione politica.
La sconfitta delle classi lavoratrici sul Continente, dovuta in parte alla diplomazia del governo inglese, che allora come adesso lavorava in fraterna solidarietà col gabinetto di Pietroburgo, estese presto i suoi effetti contagiosi su questa riva della Manica.
Mentre la sconfitta dei loro fratelli del Continente scoraggiava le classi lavoratrici inglesi e toglieva loro la fede nella propria causa, la stessa sconfitta restituiva ai signori della terra e del capitale la loro fiducia in se stessi già alquanto scossa. Costoro ritirarono insolentemente le concessioni già pubblicamente annunciate. Le scoperte di nuovi terreni auriferi portarono a un esodo immenso che lasciò un vuoto incolmabile nelle file del proletariato britannico. Altri membri già attivi del proletariato si lasciarono adescare dalla temporanea lusinga di maggior lavoro e di salari più alti e divennero dei “crumiri politici”.
Tutti gli sforzi per tener su il movimento cartista o per ricostituirlo non condussero a nulla. I giornali della classe operaia morirono l’un dopo l’altro per l’apatia delle masse; e in realtà la classe operaia inglese sembrava essersi completamente adattata a una situazione di nullità politica, come mai era avvenuto prima. Se dunque tra la classe operaia inglese e quella del Continente non vi era stata solidarietà di azione, vi era ora, in ogni caso, una solidarietà nella disfatta.
E tuttavia il periodo trascorso dopo la rivoluzione del 1848 non è stato privo di tratti positivi. Accenneremo qui soltanto a due fatti importanti.
Dopo una lotta di trent’anni, combattuta con mirabile costanza, la classe operaia inglese, approfittando di un passeggero dissidio tra l’aristocrazia terriera e quella del denaro, riuscì a far approvare la legge delle dieci ore. Gli immensi benefici fisici, morali e intellettuali che ne vennero agli operai delle fabbriche e che si trovano indicati nelle relazioni semestrali degli ispettori di fabbrica, sono ora riconosciuti universalmente.
La maggior parte dei governi continentali si videro costretti ad accettare, in forma più o meno modificata, la legge inglese sulle fabbriche, e lo stesso Parlamento britannico è costretto a estendere d’anno in anno la sfera d’azione di questa legge.
Ma oltre alla sua importanza pratica, qualche altra cosa ancora accrebbe il meraviglioso successo di questa legge operaia. Per mezzo dei suoi scienziati più famosi, come per esempio il dottor Ure, il professor Senior, ed altri sapienti di questo stampo, la borghesia aveva predetto e dimostrato con propria gran soddisfazione che ogni limitazione legale della giornata di lavoro avrebbe sonato a morto per l’industria inglese, la quale, come un vampiro, poteva vivere solo succhiando sangue e soprattutto sangue di fanciulli.
Nei tempi antichi l’uccisione dei fanciulli era un rito misterioso della religione di Moloch, che veniva però praticato soltanto in occasioni solermi, forse una volta all’anno, e poi, Moloch non aveva alcuna predilezione esclusiva per i figli dei poveri. Questa lotta contro la limitazione legale della giornata di lavoro infuriò tanto più rabbiosamente perché, a prescindere dall’avarizia, essa toccava invero la grave controversia tra il cieco dominio delle leggi dell’offerta e della domanda, che costituiscono l’economia politica della borghesia, e la produzione sociale regolata dalla previsione sociale, che è l’economia politica della classe operaia.
Perciò la legge delle dieci ore non fu soltanto un grande successo pratico; fu la vittoria di un principio. Per la prima volta, alla chiara luce del giorno, l’economia politica della borghesia soggiaceva all’economia politica della classe operaia.
Ma l’economia politica della classe operaia stava per riportare una vittoria ancora più grande sull’economia politica della proprietà. Parliamo del movimento cooperativo, specialmente delle fabbriche cooperative create dagli sforzi di pochi lavoratori intrepidi non aiutati da nessuno. Il valore di questi grandi esperimenti sociali non può mai essere apprezzato abbastanza.
Coi fatti, invece che con argomenti, queste cooperative hanno dimostrato che la produzione su grande scala e in accordo con le esigenze della scienza moderna, è possibile senza l’esistenza di una classe di padroni che impieghi una classe di lavoratori; che i mezzi di lavoro non hanno bisogno, per dare i loro frutti, di essere monopolizzati come uno strumento di asservimento e di sfruttamento del lavoratore; e che il lavoro salariato, come il lavoro dello schiavo, come il lavoro del servo della gleba, è solo una forma transitoria e inferiore, destinata a sparire dinanzi al lavoro associato, che impugna i suoi strumenti con mano volenterosa, mente alacre e cuore lieto.
In Inghilterra il seme del sistema cooperativo fu gettato da Robert Owen; gli esperimenti fatti da operai sul Continente furono in realtà il risultato pratico delle teorie, non inventate, ma proclamate ad alta voce nel 1848.
Nello stesso tempo però l’esperienza del periodo che va dal 1848 al 1864 ha provato fuori di ogni dubbio che il lavoro cooperativo, per quanto eccellente in via di principio e utile nella pratica, finché rimane limitato all’angusta cerchia di tentativi occasionali di operai singoli, non sarà mai in grado di arrestare l’aumento del monopolio che avviene in progressione geometrica, di liberare le masse e nemmeno di alleviare in modo sensibile il peso delle loro miserie.
Forse appunto per questa ragione è avvenuto che aristocratici pieni di buone intenzioni, filantropi borghesi chiacchieroni e persino economisti d’ingegno sottile hanno coperto improvvisamente di complimenti stucchevoli quello stesso sistema cooperativo, che invano avevano cercato di soffocare in germe deridendolo come utopia di sognatori e bollandolo come sacrilegio di socialisti. Per salvare le masse lavoratrici il lavoro cooperativo dovrebbe svilupparsi in dimensioni nazionali e, per conseguenza, dovrebbe essere alimentato con mezzi della nazione.
Ma invece i signori della terra e del capitale utilizzeranno sempre i loro privilegi per difendere e perpetuare i loro monopoli economici. Ben lungi dal cooperare all’emancipazione del lavoro, essi continueranno a opporle ogni ostacolo possibile. Ricordate lo scherno, con cui Lord Palmerston liquidò nell’ultima sessione parlamentare, i sostenitori del disegno di legge sui diritti dei fittavoli irlandesi.
La Camera dei Comuni — esclamò — è una Camera di proprietari fondiari! Perciò il grande compito della classe operaia è diventato la conquista del potere politico. Essa sembra averlo compreso, perché in Inghilterra, in Germania, in Italia e in Francia si è avuto un risveglio simultaneo e vengono fatti simultanei sforzi per riorganizzare politicamente il partito operaio.
La classe operaia possiede un elemento del successo, il numero; ma i numeri pesano sulla bilancia solo quando sono uniti dall’organizzazione e guidati dalla conoscenza. L’esperienza del passato ha insegnato come il dispregio di quel legame fraterno, che dovrebbe esistere tra gli operai dei diversi paesi e spronarli a sostenersi gli uni con gli altri in tutte le loro lotte per l’emancipazione, venga punito inesorabilmente con la sconfitta comune dei loro sforzi incoerenti.
Questa idea ha spinto operai di diversi paesi radunati il 28 settembre 1864 in pubblica assemblea in St. Martin’s Hall, a fondare l’Associazione Internazionale degli Operai.
Anche un’altra convinzione animava quest’assemblea.
Se l’emancipazione della classe operaia richiede la sua fraterna unione e cooperazione, come potrà essa adempiere questa grande missione sino a che una politica estera che persegue disegni criminosi punta sui pregiudizi nazionali, e profonde in guerre di rapina il sangue e la ricchezza del popolo? Non la saggezza della classe dominante, ma l’eroica resistenza della classe operaia inglese alla sua delittuosa follia, fu ciò che salvò l’Europa occidentale dall’esser gettata nell’avventura di una infame crociata per eternare e propagare la schiavitù sull’opposta riva dell’Oceano.
Il plauso spudorato, la simpatia ipocrita o l’indifferenza idiota, con cui le classi superiori dell’Europa hanno veduto la fortezza montuosa del Caucaso essere preda della Russia e la eroica Polonia essere assassinata dalla Russia stessa; le mostruose e incontrastate soperchierie di questa potenza barbarica, la cui testa è a Pietroburgo e le cui mani sono in tutti i gabinetti europei, hanno insegnato alle classi lavoratrici che è loro dovere dominare anch’esse i misteri della politica internazionale, vigilare gli atti diplomatici dei loro rispettivi governi, opporsi ad essi, all’occorrenza, con tutti i mezzi in loro potere, e che, ove siano nell’impossibilità di prevenire, è loro dovere unirsi, per smascherare simultaneamente questa attività, e per rivendicare le semplici leggi della morale e del diritto, le quali dovrebbero regolare i rapporti fra i privati, come leggi supreme nei rapporti fra le nazioni.
La lotta per una tale politica estera è una parte della lotta generale per l’emancipazione della classe operaia.
Proletari di tutti i paesi, unitevi!
2. Statuti generali dell’associazione internazionale degli operai
Considerando,
che l’emancipazione della classe operaia deve essere l’opera della classe operaia stessa, che la lotta per l’emancipazione della classe operaia non è una lotta per privilegi di classe e monopoli, ma per stabilire eguali diritti e doveri e per abolire ogni dominio di classe;
che la soggezione economica del lavoratore a colui che gode del monopolio dei mezzi di lavoro, cioè delle fonti della vita, forma la base della servitù in tutte le sue forme, la base di ogni miseria sociale, di ogni degradazione spirituale e dipendenza politica;
che di conseguenza l’emancipazione economica della classe operaia è il grande fine cui deve essere subordinato, come mezzo, ogni movimento politico;
che tutti gli sforzi per raggiungere questo grande fine sono finora falliti per la mancanza di solidarietà tra le molteplici categorie di operai in ogni paese e per l’assenza di una unione fraterna tra le classi operaie dei diversi paesi;
che l’emancipazione degli operai non è un problema locale né nazionale, ma un problema sociale che abbraccia tutti i paesi in cui esiste la società moderna, e la cui soluzione dipende dalla collaborazione pratica e teorica dei paesi più progrediti;
che il presente risveglio della classe operaia nei paesi industrialmente più progrediti d’Europa, mentre ridesta nuove speranze ed è in pari tempi un serio ammonimento a non ricadere nei vecchi errori, esige la unione immediata dei movimenti ancora disuniti;
per queste considerazioni è stata fondata l’Associazione Internazionale degli Operai.
Essa dichiara:
che tutte le associazioni e gli individui ad essa aderenti riconoscono la verità, la giustizia e la morale come base dei loro rapporti reciproci e verso tutti gli uomini, senza distinzione di colore, di fede o di nazionalità;
che non riconosce
nessun diritto senza doveri, nessun dovere senza diritti;
e in questo spirito sono stati redatti i seguenti statuti:
1. — Questa Associazione viene fondata allo scopo di creare un mezzo centrale di collegamento e di collaborazione tra le Associazioni operaie che esistono nei diversi paesi e tendono allo stesso fine, cioè alla difesa, al progresso e all’emancipazione completa della classe operaia.
2. — Il nome della società è: Associazione Internazionale degli Operai.
3. — Ogni anno si riunirà un Congresso generale operaio, costituito dai delegati delle Sezioni dell’Associazione. Compito del Congresso sarà di proclamare le aspirazioni comuni della classe operaia, di prendere le misure necessarie per assicurare il successo dell’attività della Associazione Internazionale e di eleggere il Consiglio Generale dell’Associazione[1].
4. — Ogni Congresso fissa la data e il luogo di riunione del Congresso successivo. I delegati si riuniscono alla data indicata e nel luogo indicato senza invito speciale. In caso di necessità il Consiglio Generale può cambiare il luogo del Congresso, ma non ha la facoltà di rinviarlo. Il Congresso fissa ogni anno la sede ed elegge i membri del Consiglio Generale. Il Consiglio Generale così eletto ha la facoltà di aggregarsi nuovi membri[2].
Nelle assemblee annuali il Consiglio Generale è tenuto a presentare al Congresso generale un rapporto pubblico sulla propria attività nel corso dell’anno. In caso di necessità il Consiglio Generale può convocare il Congresso Generale prima del regolare termine annuale.
5. — Il Consiglio Generale si compone di operai appartenenti a paesi rappresentati nella Associazione Internazionale. Esso elegge tra i suoi propri membri i funzionari necessari per il disbrigo degli affari, un cassiere, un segretario generale, segretari per i diversi paesi, ecc.[3]
6. — Il Consiglio Generale funge da collegamento internazionale fra i diversi gruppi nazionali e locali dell’Associazione, allo scopo che gli operai di un paese siano costantemente informati sul movimento della loro classe in ogni altro paese; allo scopo di condurre contemporaneamente e sotto una comune direzione una indagine sulle condizioni sociali dei diversi paesi d’Europa; allo scopo che le questioni di interesse generale sollevate da una società vengano discusse da tutte; e così pure — quando si rendano necessarie delle misure pratiche immediate, come per esempio nel caso di conflitti internazionali — allo scopo di assicurare la simultaneità e l’unità d’azione delle Associazioni aderenti. Ogni qual volta lo riterrà opportuno, il Consiglio Generale dovrà prendere l’iniziativa di avanzare proposte alle diverse Associazioni nazionali e locali. Per facilitare il collegamento, il Consiglio Generale pubblicherà dei bollettini periodici.
7. — Poiché il successo del movimento operaio in ogni paese può essere assicurato soltanto dalla potenza dell’unione e dell’organizzazione, mentre d’altra parte l’utilità del Consiglio Generale Internazionale dipende necessariamente in grande misura dall’aver a che fare con un piccolo numero di centri nazionali di associazioni operaie, oppure invece con un grande numero di piccole società locali senza collegamento tra di loro, i membri dell’Associazione Internazionale debbono fare tutti gli sforzi per riunire le società operaie isolate dei loro rispettivi paesi in organizzazioni nazionali, rappresentate da organi nazionali centrali. È naturale che l’applicazione di questa norma dipenderà dalle leggi particolari di ogni paese e che, a prescindere dagli ostacoli legali, a nessuna società locale indipendente sarà impedito di entrare in corrispondenza diretta col Consiglio Generale.
a) Nella sua lotta contro il potere unificato delle classi possidenti il proletariato può agire come classe solo organizzandosi in partito politico autonomo, che si oppone a tutti gli altri partiti costituiti dalle classi possidenti.
Questa organizzazione del proletariato in partito politico è necessaria allo scopo di assicurare la vittoria della rivoluzione sociale e il raggiungimento del suo fine ultimo — la soppressione delle classi.
L’unione delle forze della classe operaia, che essa ha già raggiunto grazie alla lotta economica, deve anche servirle di leva nella lotta contro il potere politico dei suoi sfruttatori.
Siccome i magnati della terra e del capitale utilizzano sempre i loro privilegi politici per difendere e perpetuare i loro monopoli economici e per asservire il lavoro, così la conquista del potere politico è diventata il grande dovere del proletariato.
8. — Ogni Sezione ha il diritto di nominare il proprio segretario, incaricato di corrispondere col Consiglio Generale.
9. — Chiunque accetta e difende, i principi della Associazione Internazionale degli Operai può esservi ammesso come membro. Ogni Sezione è responsabile della rettitudine dei membri che essa ammette.
Ogni membro dell’Associazione Internazionale degli Operai riceve, in caso di trasferimento da un paese ad un altro, l’appoggio fraterno degli operai membri dell’Associazione.
Sebbene unite in una lega permanente di collaborazione fraterna, le società operaie che entrano a far parte dell’Associazione Internazionale conservano intatta la loro organizzazione.
I presenti statuti possono essere riveduti da ogni Congresso, se due terzi dei delegati presenti si dichiarano favorevoli a tale revisione.
Tutto ciò che non è previsto dai presenti statuti verrà definito da statuti speciali, da sottoporsi alte revisione da parte di ogni congresso.
Note
[1] Nell’edizione inglese: «Nel 1865 si riunirà nel Belgio un Congresso generale operaio costituito dai rappresentanti delle società operaie che avranno aderito alla Associazione Internazionale. Il Congresso dovrà proclamare a tutta l’Europa le aspirazioni comuni delle classi lavoratrici, decidere gli statuti generali dell’Associazione Internazionale, esaminare i mezzi necessari per assicurare il successo della sua attività, e nominare il Consiglio Centrale dell’Associazione. Il Congresso Generale si riunirà una volta all’anno».
[2] Nell’edizione inglese: «Il Consiglio Centrale risiederà a Londra e sarà costituito da lavoratori appartenenti ai diversi paesi rappresentati nell’Associazione Internazionale. Esso eleggerà fra i supi membri i funzionari necessari per il disbrigo degli affari, e cioè un presidente, un segretario generale, un cassiere, segretari corrispondenti per i diversi paesi, ecc.».
[3] Nel testo inglese: «Nei Congressi annuali, al Congresso Generale verrà presentato un rapporto pubblico sulle attività del Consiglio Centrale nel corso dell’anno. Il Consiglio Centrale, nominato ogni anno dal Congresso avrà il potere di aumentare il numero dei suoi membri. In casi urgenti, potrà convocare il Congresso generale prima del regolare termine annuale».
Fonte: Rosario Romeo e Giuseppe Talamo (a cura di), Documenti storici. Antologia, vol. II L’età conteporanea, Loescher, Torino, 1966.