Peter Thiel: il “filosofo” che guida la cultura della Silicon Valley

Da Libertario a nicciano

Mario Mancini
7 min readAug 15, 2021

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Peter Thiel con sullo sfondo il rendering di una delle piattaforme galleggianti mobili (Seasteading) in acque internazionali da lui finanziate.

Il tedesco della valle

Il 53enne Peter Thiel è l’espressione più radicale dello spirito imprenditoriale e della cultura della Silicon Valley, il più grande ed evoluto incubatore della contemporaneità. Thiel è più di un tecnologo, come fondatore di Paypal, o di un investitore, come primo azionista di Facebook. Su questi terreni Thiel può essere sfidato da altre e più referenziate figure come i fondatori di Google o Marc Andreessen.

Peter Thiel è soprattutto un teorico e un ciberpensatore. Non per niente è tedesco (di Francoforte), come erano tedeschi Kant, Hegel e Marx, e si è laureato in filosofia a Stanford sotto l’influenza di un pensatore atipico come René Girard, l’ideatore della teoria antropologica basata sul meccanismo del capro espiatorio, che è anche il titolo di un suo famoso libro tradotto in italiano da Adelphi.

Thiel è stato anche uno dei migliori scacchisti americani under 21, a riprova ulteriore della sua vocazione a pensatore strategico.

Alcune sue intuizioni sono tanto paradossali quanto leggendarie. Un suo libro Zero to One (tradotto in italiano da Rizzoli) ha scalato la classifica della New York Times Bestseller List per la non-fiction fino al numero uno mantenuto per svariate settimane.

La personalità di Thiel ha anche ispirato gli sceneggiatori della serie HBO Silicon Valley nel modellare la figura di Peter Gregory, uscito al quinto episodio della prima stagione a seguito della prematura scomparsa dell’attore che lo interpretava.

“Fortune” ha paragonato il ruolo di Thiel nel dibattito pubblico a quello di grandi intellettuali come Thorstein Veblen o Norman Mailer.

Thiel unchained

Ecco qualche “perla” del Thiel pensiero.

MONOPOLI DI INTERNET: non sono un male, tutt’altro sono alla base dello sviluppo della nuova economia e dell’innovazione creativa. Non c’è da preoccuparsi sono realtà transienti. Capito, Lina Khan?

INNOVAZIONE: da oltre mezzo secolo non si è vista nessuna innovazione che abbia inciso davvero sulla vita della gente, niente di simile al motore a scoppio o alla lampadina della seconda rivoluzione industriale; ci aspettavamo le macchine volanti e abbiamo avuto i 140 caratteri di Twitter.

EUROPA: Thiel non investirà mai nell’Europa continentale, la sua etica del lavoro è ripugnante (un’opinione simile l’aveva anche Steve Jobs). In effetti poi ha investito in alcune startup di Berlino.

ISTRUZIONE: Thiel ha istituito uno specifico fondo per incoraggiare i giovani a lasciare gli studi e a formarsi come imprenditori alla guida di una start up. Infatti è stato Thiel a dare il primo mezzo milione di dollari a Mark Zuckerberg per The Facebook.
Lo vediamo anche in una scena del film The Social Network quando, spinto da Sean Parker, Mark si presenta in pigiama e ciabatte all’incontro con Thiel per il primo round d’investimento; se ci fosse andato in giacca e cravatta e con un diploma universitario, i soldi non li avrebbe presi. Successivamente Thiel ha smentito l’episodio del pigiama.

STARTUP: in tutte le iniziative più innovative, più ardite, ambiziose e pazze della Valle c’è lo zampino del tedesco di Francoforte. Vegano e animalista ha messo un bel po’ di soldi in alcune startup, tra cui Modern Meadow, che si propone di sostituire la carne nell’alimentazione umana con un surrogato 3D che non ne farà rimpiangere il gusto ai consumatori. Ha investito anche in Nuova Zelanda, di cui è diventato cittadino senza averne i requisiti e suscitando un putiferio politico. La Nuova Zelanda per Thiel è il modello sociale del futuro.

Il divorzio tra libertà e democrazia

C’è un principio etico-filosofico alla base del suo pensiero della sua azione: la libertà è un valore superiore alla democrazia e siccome il principio di liberà non sempre si rispecchia nelle pratiche della democrazia, occorre ripristinare le giuste gerarchie con ogni mezzo.

In un saggio dal titolo The Education of a Libertarian, Thiel ha affermato senza mezzi termini “Non credo più che libertà e democrazia siano compatibili”. La seconda, con i suoi meccanismi rappresentativi inefficienti e ipocriti, ha irrimediabilmente soffocato la prima. Il rapporto di nutrimento si è rotto.

La libertà non è più perseguibile con mezzi politici. La sua ultima speranza è nella tecnologia: “Le nuove tecnologie possono creare nuovi spazi per la libertà” scrive Thiel.

Pertanto la persona che crede nella libertà come valore supremo deve poter trovare nuovi spazi dove poterla realizzare e questi spazi devono essere ricercati altrove: nel ciberspazio, nel cosmo e in grandi comunità autonome su piattaforme galleggianti mobili (Seasteading) costruite in acque internazionali.

Con la tecnologia si possono creare queste nuove comunità che non sono legate al concetto classico di Stato-nazione. Si tratta di comunità in grado di produrre un cambiamento nell’ordine politico e sociale esistente. Facebook è una di queste comunità.

L’individuo è la nuova dimensione del sociale

Se la democrazia consente a una entità di violare la liberà di una persona è giusto che la democrazia finisca per questa entità. È quello che è successo a Gawker che ha violato la privacy del wrestler Hulk Hogan e dello stesso Thiel, costringendolo a un involontario outing sulla sua omosessualità.

E tra la meraviglia di una nazione abituata a tutto, Gawker è stato annichilito agli avvocati di Peter Thiel. Amen! Annichilito da un miliardario di destra affermano quelli di Gawker. Da un libertario che si è trasformano in un seguace di Nietzsche, rincara l’“Economist.

Su questo caso vedi il libro: Il post-giornalismo: Il caso Hulk Hogan/Peter Thiel vs. Gawker: privacy o diritto di cronaca? a cura di Mario Mancini, goWare, 2016.

Ora seppur le idee e i comportamenti di Thiel possano sembrare bizzarri e irritanti, non sono poi così campati in aria o proiettati in un tempo improbabile.

Scrive Thiel:

Il destino del nostro mondo potrebbe dipendere dallo sforzo di una singola persona di produrre o diffondere gli ingranaggi della libertà, l’unica cosa in grado di rendere il mondo un posto sicuro per il capitalismo.

La lotta di una singola persona come Hulk Hogan per difendere la propria libertà individuale è una lotta di un’intera comunità per i suoi valori fondanti.

Thiel, questa volta in una magnifica solitudine nella Valle e tra l’élite tecnologica, è stato un grande elettore di Trump ed è entrato nella sua squadra presidenziale, per poi uscirne e attestarsi su una posizione critica nei confronti dell’amministrazione Trump.

Un appoggio così diretto di Thiel a Donald Trump ha un stupito gli osservatori anche se Thiel è un sostenitore da sempre dell’ala libertaria del GOP di Ron e Rand Paul. Che cosa hanno i libertari da spartire con Trump?

Indubbiamente l’avvicinamento di Thiel a Trump è frutto della cultura antipolitica di Thiel come ipotizza l’“Economist”, ma forse è anche il punto di approdo della evoluzione di una cultura più meritocratico-elitaria (da classe eletta) che libertaria di una certa ala radicale della Silicon Valley.

Di questa evoluzione si è occupato l’“Economist” in un articolo su Peter Thiel del quale riportiamo di seguito alcuni passi

Thiel visto dall’Economist

L’educazione di un libertario

Ai tempi d’oro, Thiel era una via di mezzo tra un libertario e un anticonformista. Quando studiava a Stanford, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, si scagliò contro la nuova ortodossia accademica del multiculturalismo, della diversità e del politicamente corretto fondando una rivista conservatrice, la “Stanford Review”, e pubblicando un libro provocatorio intitolato The Diversity Myth (“Il mito della diversità”).

Difese persino uno studente di giurisprudenza, Keith Rabois, il quale aveva deciso di testare i limiti della libertà d’espressione all’interno del campus piazzandosi davanti alla casa di un professore e mettendosi a urlare “Ehi frocio! Spero che tu muoia di AIDS!”.

Quando era ancora un novellino della Silicon Valley la visione libertaria ispirò molte sue decisioni imprenditoriali. Sperava che Paypal avrebbe fatto nascere una nuova valuta mondiale, fuori dal controllo delle banche centrali e dei governi e che Facebook avrebbe aiutato le persone a creare comunità spontanee distinte dai classici stati nazionali.

Da libertario a nicciano

Oggi il suo pensiero ha però assunto una connotazione più oscura. In un saggio scritto nel 2009 per il Cato Institute, un think-thank di orientamento libertario, dichiarò che non credeva più “che libertà e democrazia fossero compatibili”, addossando in parte la colpa del crescente statalismo all’aumento eccessivo dell’assistenzialismo pubblico, senza farsi mancare un finale magniloquente sul ruolo centrale dell’individuo in una società rinnovata.

In un libro del 2014, Da zero a uno, sminuisce invece i vantaggi della concorrenza e celebra il potere dei “monopoli creativi”, che “portano nel mondo categorie di abbondanza completamente nuove”.

In pratica adesso Thiel è libertario quanto può esserlo un nicciano, uno secondo cui gli imprenditori più dotati possono cambiare il mondo con la forza di volontà e con il puro intelletto.

I motivi della svolta nicciana di Peter Thiel sono molteplici. Uno è sicuramente il suo spirito di controtendenza: lo stesso caratteraccio che gli ha fatto venire il rifiuto per tutto ciò che è “politicamente corretto” potrebbe essersi celato dietro la decisione entrare a far parte della squadra Donald Trump.

Un secondo motivo è di ordine filosofico: esiste una forte corrente libertaria a cui il buon senso delle grandi masse interessa molto meno della genialità dei grandi uomini e questo ricorda La rivolta di atlante di Ayn Rand, in cui la minoranza creativa del genio imprenditoriale si è ritirata dal mondo lasciando le masse a godere i frutti del socialismo.

Il terzo motivo è il suo pessimismo: è così preoccupato che la rivoluzione tecnologica non abbia portato i miglioramenti attesi sul piano della produttività e dei risultati tangibili da ritenere che la Silicon Valley e l’America abbiano bisogno di una bella nuova scossa.

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.