Perché non possiamo più parlare di lavoro

Riportare al centro il lavoro UMANO

Mario Mancini
7 min readNov 27, 2022

Estratto dal libro: Francesco Varanini, Marchionne non è il migliore dei manager possibili, Guerini Next, con goWare per l’edizione digitale, 2022, 284 pagine

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Un mix di competenze

Francesco Varanini è un autore poliedrico con esperienze significative sia nel campo della formazione che in quello imprenditoriale e manageriale. Ha anche un curriculum di rilievo nelle discipline delle scienze umane come critico letterario e scrittore. Aggiungerei a queste pure editore, visto che nel 1993 ha fondato, insieme a Giovanni De Mauro, il settimanale “Internazionale”, una delle migliori iniziative editoriali nell’ambito del giornalismo italiano.

Rilevante anche la sua attività di formatore a cui si deve accompagnare anche la docenza di informatica umanistica all’Università di Pisa.

Varanini ha quindi il profilo intellettuale e le conoscenze per un approccio multiversico ai vari rami della sua attività di ricerca. Ho usato intenzionalmente la “terribile locuzione” multiversico proprio perché Varanini conosce benissimo e studia i fenomeni e i processi dell’innovazione tecnologica e del passaggio dallo spazio al ciberspazio. Nel 1999 ha ideato e diretto il primo master in Italia dedicato alla nuova economia e alla cultura digitale.

Insegnamenti dal Migliore

Il libro dal quale abbiamo tratto l’estratto che vi proponiamo di seguito è una riflessione onesta e critica sull’eredità manageriale e culturale del maggiore e anche più discusso manager italiano dell’ultimo mezzo secolo: Sergio Marchionne.

Prima di lasciarvi alla lettura dell’estratto che non concerne la figura di Marchionne ma uno dei temi oggi più cogenti, quello del “nuovo lavoro”, vorrei proporvi un passo dell’Introduzione di Varanini al libro, nel quale dà conto del titolo piuttosto d’effetto e che fa pensare a un certo giudizio all’eredità del manager italiano. Il senso del libro è più complesso. Scrive Varanini:

“Dire che Marchionne non è il migliore dei manager possibili è ammonire noi stessi. Appellarsi all’esempio di un manager celebrato, è togliere a noi stessi il gusto di incarnarsi in modo personale, originale, in questa professione, così bella e così importante. Dire non è il migliore è invitare ogni manager a tener sempre presente, e a mettere in campo, il proprio senso di responsabilità”.

Giusto! Anche Steve Jobs non potrebbe definirsi il migliore dei manager possibili, eppure ha ispirato positivamente l’azione di una coorte di manager innovativi in tutto il mondo.

E prima di lasciarci ha dato una fondamentale imbeccata al suo successore Tim Cook che prendeva in mano una delle più bollenti eredità imprenditoriali della storia. Gli ha detto grosso modo:

“Quando devi prendere una decisione non pensare a che cosa avrei fatto io, ma pensa a cosa faresti tu”.

Bellissimo consiglio che è generalizzabile. Lo riferisce Tripp Mickle nel suo recente L’eredità di Steve Jobs: Tutta la verità sulla Apple, Sperling & Kupfer, 2022.

Torniamo all’argomento dell’estratto. Per il lavoro, e fors’anche per la storia del mondo, ha scritto l’opinionista di punta del “New York Times” Thomas L. Friedman occorrerà rivedere la periodizzazione della storia umana finora bipartita in a.C. e d.C (avanti e dopo Cristo), aggiungendone una nuova: un d.P. (dopo Pandemia). Per il lavoro è senz’altro così.

Senza dilungarci oltre vi lasciamo volentieri alla lettura dell’estratto dal libro di Varanini che tocca due aspetti nevralgici, dei molti, del lavoro nell’epoca d.P.

Buona lettura!

Il lavoro liquido

Labour e work

Particolarmente significativa è anche una espressione che vediamo sempre più adottata: liquid workforce. Qui all’intendere il lavoro come costo variabile, sempre riducibile, si aggiunge l’idea di un lavoro umano acquistato solo dove serve, quando serve.

Forza-lavoro liquida. Attacco il bocchettone quando serve e lo stacco quando non serve più. Non solo per quanto riguarda lavori ripetitivi ed esecutivi, ma anche per qualsiasi tipo di lavoro che esiga conoscenze, esperienze, creatività.

Lo scenario è descritto in varie ricerche. Ho sottomano ora mentre scrivo la Technology vision 2016 di una nota società di consulenza. La Liquid Workforce è uno dei cinque trend: «an adaptable, change-ready, and responsive liquid workforce».

Non è irrilevante lo scarto che si percepisce traducendo in italiano. Forza-lavoro non è precisamente work force. Anche in inglese labour si distingue da work. Si parla infatti di labour nelle norme che regolano il lavoro umano. Lavoro, labour è parola che riguarda in origine il faticoso «lavoro umano»: lavorare discende dal latino labare, «vacillare sotto un peso». Work, invece, come energia, discende dalla radice indoeuropea da cui già in greco ergon, «lavoro», ma anche enérgeia, «azione di una macchina».

Esiste dunque un punto di svolta, che l’insistita propaganda a favore della Trasformazione Digitale tende a occultare: la workforce può essere indifferentemente offerta da un essere umano o da una macchina. Propaganda: andiamo a guardare come è intitolata la Technology vision appena citata. L’avevate indovinato? People first.

Il futuro del manager

Mentre si afferma l’impossibilità di sottrarsi a «key technology innovations» che propongono sostituti digitali del lavoro umano, ancora una volta si sente il bisogno di affermare, a parole, come recita il sottotitolo del rapporto, The Primacy of People in the Digital Age.

In realtà, valgono le parole di quel Business Futurist: sono in molti a pensare che il futuro del manager consista nel trasformarsi in esperto di Intelligenza Artificiale, utilizzatore di dati digitali, gestore di robot più che di persone.

Se non vogliamo dar credito al Business Futurist, ascoltiamo le parole del più noto tra i filosofi che cantano la gloria della novità digitale: «l’esperienza onlife è realtà comune e irreversibile». «L’infosfera è il nostro nuovo ambiente». «Più viviamo nell’infosfera e onlife, più condividiamo le nostre realtà quotidiane con agenti artificiali che possono svolgere bene un numero crescente di compiti». Il filosofo, come si vede, usa qui l’argomento più misero: ormai i buoi sono scappati, ormai le cose stanno così, fatevene una ragione, subite.

I manager, la classe politica intera, sono invitati ad arrendersi alle conseguenze dell’azione di qualche tecnico prezzolato o incauto. L’uso politico della tecnologia da parte della finanza tesa a estrarre valore dall’economia produttiva è imposto, tramite la tecnologia, a ogni manager. Ci sono strategie alle quali molti manager purtroppo hanno dato il loro contributo: si dequalifica il lavoro umano, lo si rende sempre più disumano, finché si dice: essendo disumano questo lavoro, meglio lasciarlo a una macchina.

Siamo di fronte a un attacco al lavoro umano. Nell’Era Digitale si è spalancata una via di fuga: affidati alla macchina, fatti sostituire dalla macchina. Un algoritmo ti dirà cosa fare, un’Intelligenza Artificiale ti guiderà, ti assisterà, ti proteggerà. In questo nuovo scenario la ricerca del Sé non è più motivata.

È questa la tendenza che dobbiamo contrastare. Tornando a porre al centro dell’attenzione il lavoro umano.

Lavoro come fonte di libertà

Lavoro e tempo libero

Non possiamo più parlare di lavoro. Dobbiamo aggiungere sempre l’aggettivo: lavoro umano.

Abbiamo sempre sottovalutato il peso di un’accezione negativa del lavoro. Molti, infatti, pensando al lavoro, vedono innanzitutto il peso, la fatica, lo sfruttamento. C’è stata un’epoca, verso gli anni Settanta del secolo scorso, in cui si è celebrato il rifiuto del lavoro. E ancora oggi si tende a enfatizzare la differenza tra lavoro e tempo libero. Certo, tutti vogliamo, per noi stessi e per ogni altro essere umano, che il lavoro sia sempre meno faticoso, pesante, usurante, dannoso per la salute. Tutti vogliamo un lavoro che non abbia riflessi negativi sulla speranza di vita.

Ma accettando questa critica del lavoro, giustificando la preferenza per il tempo libero, ci dimentichiamo alcuni aspetti chiave. Ci sono certo aspetti positivi nel tempo libero, e forse la riduzione degli orari di lavoro è un modo per garantire lavoro a più persone. C’è anche un certo paradosso nel cercare di liberarsi dalla fatica nel lavoro, per poi scegliere di faticare nel tempo libero: gli sport sono faticosi.

Ma in ogni caso resta aperta la domanda: come occupiamo il tempo libero? In cosa consiste l’ozio? Forse non è così vero che nel tempo libero siamo liberi. La società dei consumi vuol dire colonizzazione del tempo libero. Siamo di fronte così a un altro paradosso: vivere il tempo libero è svolgere un lavoro: il lavoro di consumatore, vittima di scelte obbligate.

C’è, ricordiamolo, per tutti, lo spettro della disoccupazione. C’è anche però, pronto, un pericoloso rimedio: il sussidio di disoccupazione, il salario sociale, il reddito di cittadinanza.

Il lavoro umano

Ha senso sostenere che la vera vita sta nel tempo libero dal lavoro?

Meglio ripensare il concetto di lavoro. Meglio dire che si è liberi con il lavoro e nel lavoro.

Che cosa è dunque il lavoro umano. Conviene ripartire da quella frase di Primo Levi, così spesso citata. Ma forse non abbiamo meditato abbastanza su queste parole. Levi scrive nella Chiave a stella: «se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono».

Per Levi è «profondamente stupida» la retorica di chi tende a denigrare il lavoro, «a dipingerlo vile, come se del lavoro, proprio o altrui, si potesse fare a meno, non solo in Utopia ma oggi e qui: come se chi sa lavorare fosse per definizione un servo, e come se, per converso, chi lavorare non sa, o sa male, o non vuole, fosse per ciò stesso un uomo libero».

Da: Francesco Varanini, Marchionne non è il migliore dei manager possibili, Guerini Next, con goWare per l’edizione digitale, 2022, pp. 101–104

Francesco Varanini è stato manager, amministratore delegato e imprenditore, ed è attualmente presidente di Assoetica. Etnografo e ricercatore sociale di formazione, si occupa di processi di cambiamento legati all’innovazione tecnologica. Nel 1999 ha ideato e diretto il primo master in Italia dedicato all’e-business e alla cultura digitale. Ha insegnato Informatica umanistica all’Università di Pisa. L’attività di docente e consulente si nutre del parallelo impegno come critico letterario. Tra i suoi libri, ricordiamo Viaggio letterario in America Latina, Romanzi per i manager, e per le nostre edizioni Le parole del manager, Contro il management, Macchine per pensare e Le cinque leggi bronzee dell’era digitale. Racconta di sé e dei suoi progetti all’indirizzo www.francescovaranini.it

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.