Per la pace in Irlanda

Mario Mancini
28 min readAug 31, 2021

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Abbiamo bisogno di un nuovo inizio che includa tutti gli abitanti di quest’isola

di Gerry Adams

✎ Think|Tank. Il saggio del mese [Settembre 2021]

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Gerry Adams nel 1918 al momento del suo annuncio di ritiro da presidente del Sinn Fein.

Pubblichiamo di seguito Il primo discorso ufficiale pronunciato da Gerry Adams, presidente del Sinn Fein, dopo il cessate il fuoco dichiarato dall’Ira nel settembre del 1994.
Si tratta di una sincera riflessione sul difficile processo di pace dopo una guerra interminabile.

A chairde agus a chomradaithe Amici e compagni,

il 1994 è stato un anno importante, ricco di cambiamenti significativi e lungimiranti. La strada da Tallaght, lo scorso febbraio, alla Mansion House non è stata facile ma certo è stata densa di eventi e ha visto il Sinn Fein avanzare verso i suoi obiettivi strategici e politici.

È stato anche un anno segnato da tragici eventi. Ogni anno, nel mio discorso congressuale, ho avuto il triste compito di ricordare quei compagni che sono stati uccisi nell’arco dei dodici mesi che sono seguiti all’ultimo Ard Fheis (congresso nazionale, Ndt).

E quest’anno non è purtroppo diverso dagli altri. Dal nostro ultimo Ard Fheis, Theresa Clinton, moglie dell’attivista del Sinn Fein Jim Clinton e madre di Siobhan e Roseanne, è stata assassinata nella sua casa da uno squadrone della morte lealista a Belfast sud.

Qui a Dublino, una strage di vaste proporzioni è stata sventata e centinaia di vite sono state salvate dall’azione coraggiosa del volunteer Martin Doherty, che ha affrontato i killer lealisti al Widow Scallan’s Bar. Anche lui è stato assassinato.

Voglio anche ricordare Paul Kinsella, un prigioniero repubblicano di Derry, che è morto in un carcere britannico dopo una lunga malattia. Ai loro compagni e alle loro famiglie vogliamo estendere la nostra solidarietà e il nostro dolore.

Il 1994 è stato l’anno in cui si sono visti i primi frutti del nostro recente tentativo di rafforzare l’agenda nazionalista e di far cessare la dominazione inglese e unionista. È stato l’anno in cui è diventato chiaro il ruolo cruciale che il Sinn Fein ha nella costruzione del processo di pace. Ma dobbiamo ancora raggiungere la pace. La strada da percorrere è ancora molto travagliata. Pace significa giustizia. E la giustizia richiede libertà.

Vorrei inviare un messaggio speciale di solidarietà alle famiglie dei prigionieri repubblicani e specialmente di quei prigionieri detenuti nelle carceri inglesi e in altre parti del mondo. Voglio esprimere un sincero benvenuto a quelli che sono usciti di prigione e sono presenti a questo Ard Fheis. Siamo impegnati completamente per il rilascio di tutti i prigionieri politici. Non ci può essere una vera pace senza di loro.

Non si possono nominare i prigionieri politici senza ringraziare i gruppi di solidarietà qui in Irlanda e all’estero. Voglio citare per una menzione speciale il lavoro dell’Irish Northern Aid Committee. Quest’anno ricorre il venticinquesimo anniversario della sua fondazione. Il lavoro dell’Inac in appoggio ai prigionieri politici e alle loro famiglie e nella promozione della riunificazione nazionale e dell’indipendenza è stato parte integrante di questa lotta. Il suo ruolo in questo senso rimane di vitale importanza.

La cessazione delle operazioni militari dell’Ira

Il contributo più significativo al processo di pace è giunto il 31 agosto quando la leadership dell’Ira ha annunciato la cessazione delle operazioni militari. È stata un’iniziativa coraggiosa, riconosciuta e applaudita in tutto il mondo.

Per molti repubblicani è stata anche destabilizzante, difficile e traumatica. Per più di due decenni i volunteers dell’Ira hanno combattuto un periodo di resistenza armata senza precedenti e ininterrotto. Per molti repubblicani questa era una delle certezze del nostro tempo e della nostra lotta.

La dichiarazione del 31 agosto ha cambiato tutto. Ma non ha soltanto rimosso alcune delle nostre certezze, ha anche posto la responsabilità sugli inglesi e ha convinto i lealisti a dichiarare una cessazione tattica della loro campagna. Ha imposto un obbligo morale a tutti quelli che dipingevano le operazioni dell’Ira come la causa dei nostri mali. Adesso, in assenza di queste operazioni, in che modo stanno affrontando le cause reali del conflitto?

L’iniziativa dell’Ira ha anche posto una pesante responsabilità su di noi e su chiunque sia impegnato a risolvere la guerra in atto in questo paese. Dobbiamo tutti diventare garanti del processo di pace.

Abbiamo la responsabilità di condurlo a una conclusione democratica. Questo è il significato implicito ed esplicito della dichiarazione dell’Ira.

Chi potrà mai dimenticare il momento dell’annuncio dell’Ira? Quando mi sono recato con altri esponenti del partito a una manifestazione spontanea davanti a Connolly House a Belfast, ho visto raccolti davanti a me parte di quelli che hanno portato avanti la lotta in quella città dalla fine degli anni ’60.

Mio fratello mi ha ricordato che quel giorno era il ventunesimo anniversario della morte del volunteer Patrick Mulvenna. Ho visto i genitori di Patrick tra la folla. Era stato assassinato dall’esercito inglese insieme ad un altro mio caro amico, il volunteer Jim Bryson a Ballymurphy nel 1973. Patrick era il marito di mia sorella. Quando l’hanno ucciso lei era incinta di sei mesi.

Sono sicuro di non essere stato il solo ad avere la mente invasa da questi pensieri. Tutti noi abbiamo provato le stesse cose. Tutti noi che abbiamo vissuto e sperato, che abbiamo combattuto per la libertà e la giustizia, che abbiamo perso tanti compagni e amici, abbiamo pensato a loro in quel momento e ai loro cari.

È anche per questa ragione che l’iniziativa dell’Ira è stata coraggiosa. Impegnarsi per la pace è un gesto nobile e l’iniziativa del 31 agosto è stata intrapresa da un esercito sicuro, forte e unito.

Questo Ard Fheis ammira questo coraggio. Nel valorizzare questa iniziativa e le donne e gli uomini che l’hanno resa attuabile, siamo consapevoli anche delle nostre responsabilità per assicurare che questa opportunità di pace non venga compromessa, che venga rafforzata e che conduca a una pace permanente.

Vorrei illustrare la nostra strategia generale per far progredire la situazione. Prima di farlo, però, vorrei sottolineare quanto importante sia che tutti gli attivisti siano coinvolti completamente nella discussione interna che ha un ruolo così necessario per perfezionare la capacità di impatto del Sinn Fein su questo processo.

Abbiamo sempre cercato di tenere aperte linee di comunicazione tra tutti gli attivisti. Certo non è pensabile che tutti siano sempre coinvolti in tutte le decisioni, ma è comunque essenziale che ciascuno di noi conosca e comprenda il contesto in cui le decisioni vengono prese. È anche estremamente importante che tutti manteniamo alto il nostro morale e il nostro attivismo in modo da incoraggiare la partecipazione popolare.

Tutto ciò rappresenta per noi una sfida che potrebbe anche essere considerata scoraggiante. Il Sinn Fein è ancora un partito piccolo e ha lavorato alacremente per rispondere alle esigenze della nuova situazione. A mio avviso dobbiamo ancora comprendere pienamente le potenzialità che abbiamo di fronte. Per farlo dobbiamo costantemente perfezionare le nostre capacità e abilità. Dobbiamo anche essere sicuri della nostra strategia e dei nostri obiettivi. Questo richiede revisioni costanti, autocritica e autoanalisi.

Questo Ard Fheis ci offre un’opportunità di rivedere e consolidare la nostra posizione ma questo presuppone una costante chiarezza. Da oggi al prossimo Ard Fheis ci troveremo di fronte a sfide decisive. Per migliorare la nostra coesione politica collettiva e la nostra unità intendo chiedere al nuovo comitato direttivo di convocare una conferenza di revisione, strutturata come l’ultima conferenza dei delegati che si è svolta l’anno scorso a Letterkenny.

Ciascuno di noi deve, d’ora in avanti, preparare questo partito a ottemperare alle sue responsabilità storiche. I nostri principi non sono cambiati e non devono cambiare, ma i nostri obiettivi strategici, la nostra strategia e tattica devono tenere sempre presente la realtà oggettiva.

Nuove grandi possibilità si sono aperte. In molti modi rappresentiamo potenzialmente la tendenza politica più forte di quest’isola. La nostra lotta non è finita. Siamo di fronte a una nuova fase — una nuova fase di lotta che richiede nuove analisi e nuove tattiche.

In questo momento siamo coinvolti in discussioni con rappresentanti dei governi inglese e irlandese e con il governo degli Stati uniti. Siamo in contatto con tutti i maggiori partiti politici di quest’isola, escluso l’Ulster Unionist Party. Mi auguro che presto potremo sedere al tavolo dei negoziati anche con loro. Sono convinto che sia solo questione di tempo.

Abbiamo anche sviluppato contatti con governi e partiti politici in altre parti del mondo.

Dobbiamo essere sicuri della nostra forza. I repubblicani sono stati così spesso oggetto di denigrazione, marginalizzazione e pura oppressione statale, che molti osservatori oggi sono sorpresi, e i nostri oppositori delusi, dal fatto che non siamo mai stati sopraffatti da tale pressione.

Noi irlandesi siamo un popolo colonizzato. Siamo sopravvissuti a secoli di dominazioni coloniali. Si deve però prendere atto che questo paese non è mai stato interamente sopraffatto. Certo non lo sono state le nostre menti.

Ci siamo rifiutati, e continuiamo a farlo, di lasciare che ad essere colonizzate fossero anche le nostre menti. È anche per questo che oggi una larga parte della popolazione vuole un’Irlanda migliore, un’Irlanda libera, un’Irlanda gratificante per tutta la sua gente.

Larga parte della popolazione ha espresso il desiderio di un’Irlanda unita ma deve essere convinta del modo in cui questo obiettivo può essere raggiunto a breve termine.

Il nostro obiettivo è articolare le richieste centrali dei repubblicani in un modo razionale e convincente per la maggior parte degli abitanti di quest’isola. Facendo ciò, e abbiamo già riscosso i primi successi in questo senso, riusciremo ad invertire gli anni del revisionismo, della censura e dell’isolamento. Riusciremo ad accrescere la coscienza nazionale e la sicurezza dei nazionalisti costringendo gli inglesi e i loro alleati sulla difensiva.

Il Sinn Fein ha la potenzialità di unirsi ad altri per costruire un movimento di massa in tutta l’isola. Molti dei nostri possibili alleati devono ancora essere convinti di come si possa raggiungere il ritiro degli inglesi. Spetta a noi delineare la nostra strategia e la nostra tattica in maniera convincente per il maggior numero di persone.

Uno dei progressi più significativi degli ultimi tempi è la generale accettazione del fatto che una soluzione interna alle sei Contee non rappresenterebbe una soluzione. Alcuni sono giunti a questa conclusione perché riconoscono il fallimento della partizione e perché ritengono realisticamente che il problema non sia soltanto il governo delle sei Contee, ma piuttosto la stessa esistenza dello stato delle sei Contee.

Altri, che magari non condividono questa opinione o che non vedono altra alternativa, sono arrivati comunque alla conclusione che una soluzione interna non rappresenterebbe una soluzione soltanto perché tutte le altre opzioni si sono rivelate fallimentari.

La fine della divisione. Questo è il nostro obiettivo primario in questo momento.

Un campo da gioco a più livelli

La nostra strategia da adesso alla fine della divisione dovrebbe quindi basarsi sulla visione, ormai ampiamente condivisa, che non può esserci una soluzione interna, che ci devono essere cambiamenti fondamentali e che durante la fase transitoria ci dev’essere la massima democrazia. Ci devono essere inoltre uguaglianza e parità di trattamento.

Ottenere parità di trattamento per i nazionalisti nel nord equivale a corrodere la ragione stessa dell’esistenza di questo stato. E i leaders unionisti lo sanno bene. Ed è per questo che sbattono così dogmaticamente la porta in faccia a qualsiasi ipotesi di cambiamento.

Gli unionisti hanno tradizionalmente appoggiato l’unione perché li abilita ad essere «i primi della fila» nelle sei Contee. Un campo da gioco su più livelli renderebbe di fatto impossibile la cosa e gran parte dell’unionismo sarebbe lasciata senza alcuna base razionale.

A parte questo, tutti i cittadini hanno il diritto a essere trattati allo stesso modo. Non stiamo cercando un trattamento preferenziale o privilegiato per una parte della popolazione. Abbiamo sempre chiesto uguaglianza.

Lo stato del nord è stato creato e sopravvive grazie alla discriminazione. È stato, e continua ad esserlo, caratterizzato da politiche determinate da Londra. Gli unionisti non possono più essere ritenuti i responsabili del fallimento inglese dopo 23 anni di governo diretto, se vogliamo affrontare efficacemente la discriminazione strutturale politica ed economica dei cattolici; gli unionisti non possono essere ritenuti i soli responsabili per la continua discriminazione culturale che nega ai bambini irlandesi il loro diritto a essere educati in irlandese, la nostra lingua nazionale; è la politica inglese che etichetta i nazionalisti in generale e gli elettori del Sinn Fein in particolare come inferiori, cittadini di seconda classe. Tutto ciò non può più essere tollerato.

La formulazione di tutti gli impegni statutari da parte del governo inglese mira a mantenere l’unione. C’è un dibattito generale su quanto gli inglesi siano impegnati rispetto a questo e non ci sono dubbi sul nostro impegno a portarlo a termine. Ma è importante sottolineare che la posizione attuale degli inglesi non impedisce, senza un consenso affermato, altri cambiamenti costituzionali o un qualsiasi progresso politico che manchi di tale consenso.

Questo è importante, perché è in quest’area di equi cambiamenti politici e costituzionali che si misurerà la buona volontà degli inglesi. È indispensabile che rimuovano tutti i simboli anti-nazionalisti dallo stato delle sei Contee assicurando parità di trattamento in quel contesto ed eliminando il più possibile tutte le ovvie e visibili differenze tra quello stato e il resto dell’Irlanda.

È anche necessario che apportino modifiche legislative per migliorare la posizione dei nazionalisti rispettando i diritti degli altri cittadini.

I diritti democratici includono i diritti nazionali. I nazionalisti della zona occupata dell’isola non sono una minoranza etnica che vive in un paese straniero. Siamo irlandesi che vivono in Irlanda sotto un governo straniero da noi non voluto.

In questo senso la frase che sta continuamente guadagnando favore è «parità di trattamento». In senso letterale implica uguaglianza di rispetto, di opportunità. Nel contesto politico attuale significa parità di rispetto e di trattamento per i nazionalisti del Nord. È chiaro che, in ultimo, dovrebbe valere per tutti gli abitanti di quest’isola.

Ma che cosa significa in pratica «parità di trattamento»? Il Sinn Fein ritiene che questo termine potrebbe essere sostituito più efficacemente dal più specifico «pari rispetto».

C’è un bisogno urgente di espressioni fisiche, legislative e pratiche che offrano una prova positiva che ai diritti dei nazionalisti, identità e appartenenza, viene effettivamente garantita equità. In termini politici questo deve significare che tutti i partiti sono trattati allo stesso modo.

Per quanto riguarda l’occupazione abbiamo bisogno di efficaci leggi antidiscriminatorie che rimuovano le disparità di livello e opportunità occupazionali che esistono tra cattolici e protestanti.

Queste disparità non sono di fatto cambiate dal primo «Atto per la parità occupazionale» del 1976, quasi vent’anni fa. Solo il mese scorso, l’ultima ricerca sulla forza-lavoro condotta dall’Ufficio per il nord Irlanda ha confermato che la disoccupazione tra i cattolici è più del doppio di quella tra i protestanti e che è ancora molto più difficile per un cattolico trovare lavoro.

Devono essere quindi introdotte nuove leggi antidiscriminatorie, affiancate da efficaci e positivi programmi di azione, obiettivi realistici e tempi.

Abbiamo allora bisogno di:

1. Pari opportunità nel lavoro;
2. Parità di trattamento per la cultura e l’identità irlandese;
3. Parità di trattamento tra elettori e tra eletti;
4. Adeguati provvedimenti di sicurezza per tutti i cittadini a seconda delle esigenze;
5. Parità nei provvedimenti educativi, soprattutto per l’insegnamento in lingua irlandese;
6. Parità di trattamento nello sviluppo economico.

È in queste aree della nostra vita quotidiana che possono verificarsi i cambiamenti più rapidi. Questi cambiamenti infatti non richiedono negoziati — dovrebbero avvenire di diritto. La profondità e l’intensità di sentimento che coinvolge queste problematiche è evidente in un documento che il famoso avvocato per i diritti umani, P.J. McGrory, aveva preparato per me qualche tempo fa.

«Una componente sostanziale dell’incubo nazionalista… è l’opprimente sensazione di vivere in un ambiente estraneo e ostile. I nazionalisti vedono quotidianamente intorno a loro le istituzioni della società proclamare una lealtà e una appartenenza che essi non riconoscono ma dalla quale si sentono oppressi, stranieri nella loro stessa terra. La forza di polizia è ‘reale’, i tribunali sono ‘reali’, la posta è ‘reale’; alle funzioni pubbliche e alle manifestazioni aperte a tutti viene suonato l’inno inglese; a funzioni pubbliche e perfino private organizzate da società o altre organizzazioni con una sostanziale adesione di nazionalisti, si propone un brindisi ‘reale’; la bandiera esposta sugli edifici pubblici, su teatri, stazioni e ospedali è la Union Jack. E questa stessa bandiera sventola sopra le caserme di polizia.
Ma se il tricolore venisse esposto in quartieri lealisti o anche misti, il colpevole sarebbe passabile di denuncia per ‘comportamento lesivo alla pace’. Egli, o qualsiasi suo testimone, sarà chiamato in tribunale in nome della Regina, e se verrà condannato, la probabile pena sarà l’obbligo di mantenere una condotta modello (pena l’arresto, in caso contrario) ‘nei confronti di tutti i sudditi di Sua Maestà’.
La lingua irlandese, invece, che non è un’esclusiva dei nazionalisti, ma fa parte dell’eredità culturale di noi tutti, non gode di riconoscimento ufficiale e riceve ben poco incoraggiamento ufficiale. La bandiera e l’inno irlandesi vengono considerai con disprezzo e la polizia ostenta un soddisfatto entusiasmo nel rimuovere il tricolore e nel denunciare chi osa esporlo in luoghi che non siano aree molto ristrette».

La sensazione di alienazione espressa da Paddy McGrory è comune a molti nazionalisti nelle sei Contee. Non c’è da stupirsi!

L’assenza di parità di trattamento è uno degli esempi più chiari del fallimento delle strutture politiche e costituzionali del passato e del presente. La realtà è che lo status quo è inaccettabile e deve essere cambiato.

La divisione è fallita: è fallita per la popolazione di quest’isola, unionisti e nazionalisti. Ed è fallita anche per gli inglesi. Le istituzioni e gli organismi politici che sono nati dalla divisione non hanno superato il test della democrazia.

Anche l’altro stato presente in quest’isola ha fallito, costringendo centinaia di migliaia di persone a emigrare e riducendone in povertà un altro milione. Anche qui sono necessari dei cambiamenti.

Abbiamo bisogno di un nuovo inizio, che includa tutti gli abitanti di quest’isola e che contenga le prospettive di un miglioramento qualitativo delle nostre condizioni di vita.

Come ottenere tutto questo? Con l’accordo. Sedendosi attorno al tavolo di negoziati di pace multilaterali e accordandosi su una soluzione basata su principi democratici.

Perché con l’accordo? Perché l’imposizione non funziona. Come facciamo a dirlo? Perché il governo inglese l’ha usata per secoli e noi siamo ancora qui — ribelli più che mai — indomiti, imbattuti a dire alla Gran Bretagna che è tempo di andare; a dire al mondo che il popolo irlandese ha l’umanità, l’intelligenza e la creatività per costruire il suo futuro, libero dalla guerra e libero da ingerenze e ostacoli esterni.

Si dice spesso che in Irlanda ci sono due culture, due tradizioni. Non è vero. Ci sono tracce di tradizioni diverse, forse centinaia. Che unite hanno creato una cultura ricca e varia. E tutte queste culture sono valide. Sono tutte parte di ciò che siamo. Donne e uomini. Mondo urbano e rurale. Piccole città e villaggi. Porti di pescatori e isole. Gaeltacht e Galtacht. Operai e artigiani. Tradizione scritta e tradizione orale. Femminismo. Canzoni e danze. Arancio e verde. Paganesimo e cristianesimo. Protestantesimo e cattolicesimo. Nord e sud. Est e ovest. La sommatoria di tutto questo e di tutto quello che rappresenta è parte della diversità dell’«irlandesità».

Credo che l’assedio di Derry, così come la battaglia del Boyne, siano importanti e appartengano alla storia irlandese esattamente come l’assedio di Limerick, la carestia e la rivolta di Pasqua.

Lo slogan «Fuori gli inglesi» non è una richiesta, come spesso viene maliziosamente suggerito, di messa al bando degli unionisti. Al contrario, abbiamo bisogno di loro perché una società pacifica, giusta e unita in Irlanda deve comprendere tutto il popolo irlandese.

Noi non cerchiamo di escludere. Il processo di pace — così come la filosofia repubblicana — si fonda sull’inclusione, sul mettere insieme gente di opinioni diverse con l’obiettivo di raggiungere un accordo.

Ho spesso argomentato che il consenso e la partecipazione degli unionisti sono indispensabili per ottenere un accordo di pace. Ma gli unionisti non possono avere un diritto di veto sulla politica inglese e John Major deve smetterla di far finta che ce l’abbiano.

L’ago della bilancia deve essere spostato dal potere negativo del veto e indirizzato verso il potere positivo del consenso, della ricerca del consenso, della considerazione del consenso, della negoziazione del consenso.

La nostra proposta che il governo inglese si unisca a coloro che vogliono persuadere gli unionisti è la logica conseguenza di questo ragionamento.

Sono convinto che ci sia un crescente dibattito tra i protestanti sulle loro posizioni politiche tradizionali. Sono pochi quelli che hanno fiducia in Londra. Molti riconoscono invece che un cambiamento di vasta portata è inevitabile. La comunità protestante sta cercando una vera leadership in Molineaux e Paisley. Ma sfortunatamente anche a loro è stato risposto «no».

La fedeltà degli unionisti verso la corona britannica è accompagnata da una profonda sfiducia nei confronti del governo inglese. Il desiderio della leadership unionista di una soluzione interna che preveda la delega dell’amministrazione deriva dal loro desiderio di restaurare un governo unionista, cioè il dominio unionista.

L’entusiasmo che ha accolto il documento-quadro ne è un chiaro esempio. Ancora una volta la leadership ha giocato la carta orangista. La politica è la politica del «non cederemo un centimetro».

Ma quei giorni sono finiti e io chiedo agli unionisti di unirsi pienamente nella ricerca di una pace duratura. Anch’io sono un Ulsterman. Non abbiamo bisogno di ministri inglesi che ci governano. Siamo perfettamente in grado di concordare il nostro futuro.

Mi rivolgo agli unionisti perché portino le loro speranze e i loro sogni, le loro preoccupazioni e paure al tavolo dei negoziati così che, insieme, riusciamo a trovare modi per persuaderci l’un l’altro, e ad accordarci su quelle basi democratiche che ci consentano di vivere insieme su quest’isola in pace.

Il documento quadro

La pubblicazione del documento-quadro da parte dei governi di Londra e Dublino dovrebbe ora dare il via libera a negoziati di pace multilaterali, aprendo così la fase successiva del processo di pace.

Il Sinn Fein parteciperà a questi negoziati forte dell’analisi repubblicana. Esporremo la nostra tesi per cui una pace duratura in Irlanda può essere fondata sul diritto del popolo irlandese all’autodeterminazione nazionale, sulla fine della giurisdizione inglese nel nostro paese e sulla creazione di una nuova, concordata, giurisdizione irlandese.

Il documento-quadro è un documento di discussione. Ma la sua pubblicazione da parte dei due governi è un chiaro riconoscimento del fallimento della divisione, del fallimento del dominio inglese in Irlanda e del fatto che non si può pensare di ritornare alle politiche e alle strutture fallimentari del passato.

Mentre l’ipotesi che traspare dal documento-quadro è quella di un’Irlanda unita e giusta; anche se ci piacerebbe vedere più profondamente radicato e deciso questo concetto, il Sinn Fein giudicherà il documento-quadro in maniera pragmatica e nel contesto dei nostri obiettivi, della nostra politica e strategia.

Da oltre due anni ormai John Major si ostina a tenere un approccio minimalista nei confronti del processo di pace. Ora, dopo la pubblicazione del documento-quadro, la strategia che adotterà il governo inglese indicherà fino a che punto esso è intenzionato a farsi coinvolgere e a far progredire il processo di pace.

Il documento-quadro non è una soluzione, né un accordo. A prescindere dal suo contenuto — da quanto potrà piacerci — la responsabilità che hanno i due governi, ma in particolare di quello inglese, è quella di avviare rapidamente negoziati multilaterali.

Il governo di Dublino ha la responsabilità di assicurare che questo avvenga senza precondizioni e ritardi. Chiaramente i negoziati non possono avere luogo sopra la testa o dietro le spalle della nostra gente. Per i repubblicani i negoziati rappresentano un’altra area di lotta con la quale cercheremo di far progredire la nostra strategia più ampia e i nostri obiettivi politici.

Non ci spaventa la prospettiva di negoziati multilaterali. Una conclusione positiva potrà essere raggiunta soltanto se tutti saranno coinvolti nella ricerca di un accordo. Di un accordo grazie al quale tutte le parti in causa potranno dire di aver migliorato la loro situazione.

Ci sono tre principali aree di discussione che dovranno essere affrontate per consolidare il processo di pace:

1. Cambiamenti costituzionali e politici.
2. Smilitarizzazione.
3. Diritti democratici.

Cambiamenti costituzionali e politici

È necessario apportare dei cambiamenti costituzionali e politici sostanziali se vogliamo condurre questa fase del processo di pace a una conclusione democratica. L’obiettivo del Sinn Fein è quello di arrivare a una fine negoziata della giurisdizione inglese in Irlanda. Cerchiamo di sostituirla con una nuova e concordata giurisdizione irlandese. Secondo noi questo non costituisce una minaccia per nessuna parte del nostro popolo, inclusi gli unionisti.

Tuttavia, sappiamo che altri hanno opinioni differenti. Per questo è indispensabile trovare un accordo. Sarà necessario sviluppare nuove relazioni tra tutti gli abitanti di quest’isola.

Certo non sarà una cosa facile. Ci vorrà del tempo. Saranno necessari negoziati. Sarà necessario un dialogo inclusivo e democratico. Sarà necessario un processo di negoziazione multilaterale senza precondizioni in un clima dove nessuna parte della popolazione detenga un potere antidemocratico di veto.

Smilitarizzazione

Gli inglesi hanno militarizzato con successo un problema che è essenzialmente politico. Il processo di smilitarizzazione dell’area occupata è stato troppo lento.

È necessaria l’abolizione di qualsiasi forma di legislazione repressiva: delle perquisizioni, degli arresti e dei maltrattamenti. Le strade che attraversano il «confine» vanno riaperte immediatamente.

È necessario disarmare tutte le forze della Corona, compresa la Rue (Royal Ulter Constabulary, la polizia nordirlandese, Ndt.). È necessario smantellare le postazioni di osservazione dell’esercito inglese, siano esse situate nei quartieri, nei campi o nelle colline. Se dobbiamo raggiungere un accordo per una pace duratura, allora si dovrà arrivare a una rimozione permanente di tutte le armi — inglesi, lealiste e unioniste oltre che repubblicane.

Devono essere prese decisioni rapide per il rilascio di tutti i prigionieri politici, detenuti in Irlanda, Inghilterra, Europa e Stati uniti. Nell’immediato i prigionieri irlandesi detenuti in Gran Bretagna dovranno essere trasferiti in Irlanda per essere più vicini alle loro famiglie.

Diritti democratici

Si potrebbe dire che alcune di queste questioni dovrebbero essere affrontate con cautela, che fanno parte della politica del «dare e avere», dell’evoluzione del processo di pace. La stessa cosa non si può dire della necessità di restaurare i diritti democratici. Il processo di pace può ricevere una positiva accelerazione dall’immediata abolizione di quelle misure antidemocratiche che hanno contribuito al permanere del conflitto.

Queste non sono soltanto presenti nella legislazione repressiva. Fanno parte del sistema di apartheid, di discriminazione religiosa, politica ed economica sul quale la dominazione inglese è stata costruita. Fanno parte della discriminazione culturale.

No alla pax britannica

Durante una mia recente visita a Londra sono rimasto colpito dall’atteggiamento positivo con cui è stato accolto il processo di pace. L’opinione pubblica inglese è chiaramente favorevole a una cessazione della guerra su queste isole.

Durante i miei viaggi dello scorso anno, soprattutto negli Stati uniti e in Canada, sono rimasto colpito dalla sicurezza degli irlandesi in questi paesi. Una sicurezza che si è rivelata anche nel ruolo cruciale e positivo che quella gente ha saputo svolgere nel processo di pace.

Il lavoro di solidarietà negli Stati uniti è una priorità. In questo contesto, la nomina di Mairead Keane a guidare la nostra delegazione americana e l’apertura di un nostro ufficio a Washington, il mese prossimo, sono indicativi dell’importanza che attribuiamo a questo lavoro.

Negli Stati uniti, in Canada, in Gran Bretagna, in Australia, cittadini di origine irlandese, i nostri ultimi emigranti, ma anche molti di coloro che non hanno alcuna connessione diretta con il nostro paese, hanno contribuito immensamente alla lotta per la libertà, la giustizia e la pace nel nostro paese.

L’evento che più di ogni altro ha dato inizio alla diaspora irlandese nel mondo è stata «Gorta Mor» la «Grande fame» del 1845–1849 il cui cinquantesimo anniversario ricorre quest’anno.

A Grosse Isle, in Canada, dove attraccarono le navi-bare e dove migliaia furono i morti sulla soglia del Nuovo mondo, a Philadelphia, a Boston e a Ellis Island (New York), luoghi che ho visitato l’anno scorso, il tragico vincolo con il passato è ancora visibile. Una delle grandi tragedie, naturalmente, è che l’ingiustizia economica nel nostro paese costringe ancora tantissimi giovani a emigrare.

In un certo senso siamo tutti sopravvissuti della «Grande fame», la più devastante manifestazione del malgoverno coloniale inglese nel nostro paese. È arrivato davvero il momento di liberarci da questo vincolo coloniale.

I sopravvissuti della carestia e i loro figli superarono enormi difficoltà per arrivare a occupare posizioni prestigiose nella vita politica, economica e culturale del loro paese d’adozione. Abbiamo forse il timore di non riuscire a governare il nostro paese da soli?

Dobbiamo cercare di costruire su quelle aree di accordo che abbiamo già raggiunto. Per questo ci rivolgiamo a tutta la gente d’Irlanda, protestanti, cattolici e laici, nazionalisti, unionisti e socialisti, donne, uomini e giovani perché si uniscano a noi per trasformare la società irlandese e creare una nuova Irlanda.

Dobbiamo cercare di costruire una lotta che coinvolga tutta l’Irlanda, che esprima massima solidarietà ai nazionalisti del Nord e insieme appoggio attivo verso tutto ciò che di progressista c’è al Sud. Questo significa anche sostenere il diritto di sovranità dell’Irlanda su tutta l’isola. La rivendicazione inglese della sovranità su una parte dell’isola non potrà mai essere accettata.

Negli Stati uniti, in Gran Bretagna, nella comunità europea e a livello internazionale, il lavoro di solidarietà deve mirare soprattutto a esercitare la massima pressione sul governo inglese perché adotti una politica di ritiro basata sulla positiva trasformazione della Gran Bretagna in una forte sostenitrice della fine dell’unione.

Abbiamo esposto la nostra visione su come realizzare una vera democrazia. I nostri figli e i nostri nipoti ci giudicheranno aspramente se non saremo in grado di gestire al meglio l’opportunità che abbiamo davanti. Dobbiamo trasformarla in un nuovo inizio e in una nuova speranza per il futuro.

Tutto questo significa costruire sulle conquiste che già abbiamo ottenuto. Significa stringere nuove alleanze e allargare la base. Implica una lotta che coinvolga tutta l’isola. Con questo in mente vorrei sottolineare l’importanza del Charter for Justice and Peace in Ireland, che sottoponiamo come documento di discussione a questo Ard Fheis.

Da un certo numero di anni ormai ho promosso l’idea di una «carta» della libertà, o di una «carta» per una nuova Irlanda attorno alla quale il maggior numero di persone dovrebbe muoversi e lavorare. Questa «carta» potrebbe essere utile come indicazione delle caratteristiche fondamentali di un programma democratico nazionale attorno al quale costruire, col tempo, un’alleanza progressista in Irlanda. Abbiamo già avviato dei colloqui preliminari con altri e questa sarà un’idea che tornerà in futuro.

Ma che tipo di pace vogliamo? Certamente non una Pax Britannica. Non una pace che ci viene imposta dagli inglesi con la pistola puntata alla tempia, e nemmeno una pace dettata da una parte della popolazione irlandese e imposta a un’altra. Cerchiamo una pace sincera che dia agli uomini e alle donne la capacità di crescere e sperare, di costruire una vita migliore per i loro figli.

Non c’è un’unica, semplice chiave per raggiungere la pace, nessuna pozione o formula magica. Una pace sincera dev’essere il prodotto di tutti, la somma di tanti atti. Dev’essere dinamica, non statica, mutevole per affrontare le sfide che si troverà davanti. Perché la pace è un processo, un modo di risolvere i problemi, democraticamente e con rispetto e comprensione reciproca.

La pace, per essere significativa, deve insediarsi nella mente e nel cuore della gente. Pace e interferenza inglese negli affari irlandesi non sono compatibili. Nessun atto parlamentare, patto, accordo segreto, veto o trattato, nessun governo può sperare di mantenere la pace in Irlanda senza l’appoggio e il totale impegno di tutto il popolo irlandese. E il popolo irlandese non può ottenere la pace se il governo inglese non sarà a sua volta totalmente impegnato a realizzarla.

Trasformare la società irlandese

Il Sinn Fein crede che sia necessaria la trasformazione dell’intera società irlandese, non solo nelle zone occupate ma nell’intera isola. Riteniamo che ci debbano essere cambiamenti fondamentali nella struttura e nella natura della vita politica, sociale, economica e culturale del paese.

La nostra visione è quella di un nuovo inizio per il nostro popolo. Vogliamo la fine del conflitto e della divisione. Per sopprimere l’ineguaglianza e la povertà. Per stabilire e proteggere i diritti dei bambini. Cerchiamo di mantenere e garantire i diritti delle donne in una società nuova e non maschilista.

Chiediamo libertà civili e religiose e la separazione tra stato e chiesa. Vogliamo la redistribuzione delle ricchezze, una nuova democrazia economica per arginare la disoccupazione e l’emigrazione, per garantire l’istruzione, la casa, il lavoro. Cerchiamo di trasformare questa visione in realtà.

Come? In primo luogo rifiutando di vedere ridimensionate le nostre aspettative. Rifiutandoci di venire ingabbiati o condizionati ad accettare qualunque altra soluzione che non sia la piena libertà. Ci sono due tipi di libertà: libertà da, e libertà per. Noi vogliamo entrambe queste libertà.

Vogliamo la libertà dall’oppressione, dall’ingiustizia, dalla dominazione straniera e dalla povertà. Ma vogliamo anche la libertà per costruire una società migliore, più equa e dignitosa.

Tutto questo è possibile e noi chiediamo che questo governo inglese dia al popolo irlandese l’opportunità di realizzare questi obiettivi. Chiediamo che il governo inglese inizi il processo di ritiro dal nostro paese.

Abbiamo bisogno di un processo sano. Che implica il riconoscimento da parte di tutti noi del male che abbiamo inflitto.

A una recente riunione del Forum per la pace e la riconciliazione, ho ascoltato Tony Doherty, della campagna di giustizia per Bloody Sunday, il cui padre è stato assassinato in quel drammatico giorno, spiegare la necessità che il governo inglese riconosca le ferite inflitte alla gente di questo paese. Lo ha detto in tono molto pacato, perdonando, riflettendo la generosità delle vittime della Bloody Sunday.

È fondamentale in questa nuova epoca di possibilità che tutti affrontiamo onestamente e apertamente le ferite che abbiamo causato.

Ho pubblicamente riconosciuto il male inflitto dai repubblicani. Lo faccio nuovamente, oggi. Per far sì che un processo sano si avvii, tutti devono fare altrettanto. I repubblicani, gli unionisti, i lealisti e soprattutto il governo inglese.

Bloody Sunday e le innumerevoli altre atrocità commesse dal governo inglese e dai suoi alleati degli squadroni della morte protestanti sono un terribile atto di accusa per la politica inglese in Irlanda. Quella politica ha fallito.

Noi, con estrema generosità, siamo disposti a porre tutto ciò dietro le nostre spalle. Chiedo al governo inglese di fare altrettanto. Chiedo agli unionisti di unirsi a noi. Per costruire un nuovo inizio. Per affrontare il futuro.

Il nostro impegno comune deve essere quello di porgere la mano dell’amicizia e della riconciliazione ai nostri vicini, e di trovare l’accordo per una trasformazione della società irlandese che garantisca pace e armonia.

Non credo nemmeno per un istante che esista un repubblicano che non sia in grado di capire o di apprezzare il fatto che siamo impegnati in uno sforzo gigantesco.

Stiamo cercando di realizzare quello che tantissimi altri hanno cercato di ottenere senza riuscirci: la fine dell’ingerenza inglese nel nostro paese. Stiamo cercando anche di trovare la pace con una parte del nostro popolo la cui leadership politica ha cercato finora soltanto di opprimerci. Questo è il nostro obiettivo storico.

In tutto questo l’atteggiamento del governo inglese è di cruciale importanza. Mentre ci troviamo ad affrontare questo nuovo anno, la cosa è evidente. Non possiamo raggiungere la pace se anche il governo inglese non lo vuole.

Sono stati fatti notevoli progressi politici negli ultimi dodici mesi. La fine dell’isolamento dei repubblicani, la costruzione di un vasto consenso nell’Irlanda nazionalista, il risveglio della coscienza nazionale, la conquista di alleati internazionali e la graduale diffusione dell’idea che la radice del problema anglo-irlandese sta nella politica inglese e nell’intransigenza unionista.

Abbiamo raggiunto tutto questo grazie ai vostri sforzi, alla vostra tenacia, al vostro impegno e alla vostra lotta. Affrontiamo il futuro sicuri di noi stessi e della nostra forza.

Noi, assieme ad altri, abbiamo creato lo spazio in cui la pace può crescere. Dove la giustizia può radicarsi, dove la libertà può prosperare.

Abbiamo costruito un processo di pace. Il 1994 è stato l’anno dei cambiamenti.

Cronaca di una trattativa

di Orsola Casagrande

Il 31 agosto del 1994 l’Ira (l’esercito repubblicano irlandese) annunciava in un comunicato letto alla televisione di Dublino la completa cessazione delle operazioni militari a partire dalla mezzanotte.

Dopo venticinque anni di guerra e secoli di resistenza all’invasore inglese, le sei Contee del nord Irlanda (Down, Armagh, Tyrone, Antrim, Derry e Fermanagh) venivano improvvisamente avvolte da un clima di strana e concitata euforia mentre nelle strade di Belfast, Derry e delle altre cittadine del nord si riversavano migliaia di persone che inscenavano rumorosi cortei e comizi improvvisati.

A uno di questi, proprio a Belfast, ha parlato Gerry Adams, presidente del Sinn Fein e principale artefice del processo di pace nordirlandese. Adams è presidente del Sinn Fein dal 1983. Nei dodici anni della sua leadership la politica del partito repubblicano è molto cambiata: è stata abbandonata la strategia dell’astensionismo, sono stati avviati colloqui con gli altri partiti del nord, soprattutto il moderato Sdlp (il partito socialdemocratico e laburista guidato da John Hume), è stato elaborato uno scenario per la pace, un documento che analizzava i percorsi possibili per arrivare alla cessazione del conflitto.

Ma non solo: il Sinn Fein, successivamente, ha elaborato piani di risanamento economico, riforme sociali, strategie sindacali, in una visione proiettata al dopo-conflitto. Una ragnatela di rapporti e progetti tessuta con accuratezza, solida e duratura, che non è mai stata seconda all’obiettivo militare perseguito dall’Ira.

Perché una delle grandi innovazioni di Gerry Adams è stata proprio la ricostruzione di un partito politico di sinistra, agile e capace di imporsi come interlocutore sine qua non per qualsiasi risoluzione del conflitto anglo-irlandese che ha causato più di 3000 vittime.

È stato il Sinn Fein a rendere possibile questo cessate il fuoco, prendendo con l’Ira e con il movimento repubblicano impegni precisi: se non fossimo stati sicuri delle condizioni favorevoli al dialogo, non avremmo mai potuto chiedere all’Ira di sospendere la lotta armata, ha ripetuto più volte Gerry Adams. E le condizioni sono state giudicate favorevoli perché da anni il Sinn Fein lavorava alla costruzione di una base solida per l’avvio dei negoziati.

In realtà oggi, a quasi un anno da quello storico annuncio le prospettive di mantenere sul binario giusto il processo di pace non sembrano elevatissime, più per l’ostinazione inglese che per reali difficoltà, anche se la strada imboccata è irreversibile, come sottolinea Adams.

Una strada costellata di difficoltà e segnata dalle tanti morti e da una repressione che quasi non lasciava spiragli a iniziative che non fossero la resistenza e la difesa del giorno per giorno. Anche se l’Ira è diventato negli anni un esercito preparatissimo e abile tanto che gli stessi generali dell’esercito inglese hanno più volte ammesso che non era possibile vincere questa guerra sul piano militare.

Non che il governo di Londra abbia tratto vantaggio da queste dichiarazioni cercando magari di perseguire la via del dialogo. All’immobilismo del governo inglese (soprattutto da quando John Major è stato eletto al posto di Margaret Thatcher, nel 1990) è corrisposto il dinamismo del Sinn Fein (premiato per altro elettoralmente) e, anche se con molte titubanze, del Sdlp da una parte e del governo irlandese di Albert Reynolds dall’altra.

I primi colloqui tra Sinn Fein e Sdlp risalgono al 1988, ma da quel primo round non si ricavò nulla, se non l’aver gettato le basi per futuri incontri, pubblici e non, tra Adams e Hume e l’aver reso piuttosto esplicita la sterilità dei colloqui che parallelamente il governo inglese aveva intrapreso con il governo irlandese e i partiti del nord (i famosi talks about talks, cioè i colloqui sui colloqui).

Nel 1990 cambio al vertice del governo inglese: la Lady di Ferro cede il posto al più mite e grigio John Major. Tra il ’90 e il ’92 si registra una drammatica escalation di violenza nel nord Irlanda: gli squadroni della morte protestanti colpiscono sistematicamente i quartieri nazionalisti e cattolici, compiendo numerosi omicidi, spesso con la collusione dei servizi di sicurezza inglesi e della polizia nordirlandese.

Se la maggior parte delle vittime dei paramilitari protestanti hanno la sola colpa di vivere in un quartiere cattolico, il Sinn Fein è certamente il secondo obiettivo degli squadroni della morte ma anche dell’esercito inglese e della polizia.

Numerosi consiglieri comunali ed esponenti del partito vengono assassinati o subiscono attentati (lo stesso Gerry Adams è stato oggetto di un agguato nel 1984).

Nell’aprile del 1993 il leader socialdemocratico John Hume accetta di avviare un nuovo giro di colloqui con Gerry Adams. I due rilasciano a settembre una dichiarazione congiunta annunciando di aver sottoposto ai governi di Londra e Dublino un documento (Iniziativa Hume-Adams) nel quale sono contenuti una serie di principi che se accolti potrebbero preludere ad un cessate il fuoco dell’Ira.

La risposta dei due governi, però — dicono i due — dovrà essere flessibile e immaginativa.

Trascorrono due mesi e il 15 dicembre arriva la risposta anglo — irlandese: i premier Albert Reynolds e John Major escono dal numero 10 di Downing street e annunciano di aver sottoscritto l’omonima Dichiarazione nella quale si legge tra l’altro che la Gran Bretagna non ha più interessi economici, strategici o egoistici nelle sei Contee del nord Irlanda e che, previo consenso dei protestanti del nord, le sei Contee potranno decidere di unirsi alla repubblica d’Irlanda.

Terzo importante riconoscimento: il Sinn Fein potrà partecipare ai negoziati di pace se l’Ira rinuncerà alla violenza. Alla pubblicazione della Dichiarazione di Downing street segue la richiesta di chiarimenti su alcuni punti fondamentali del documento da parte del Sinn Fein.

Il governo inglese risponde alle richieste irlandesi con ben ventuno pagine di spiegazioni. Il 31 agosto lo storico annuncio dell’Ira impone, almeno sulla carta, un’accelerazione a un processo di pace che sembra già arrivato a un punto di stallo.

Ma il governo inglese si ostina a non prendere in considerazione le tre questioni principali messe sul tappeto dal Sinn Fein: demilitarizzazione totale delle sei Contee; rilascio dei circa mille prigionieri politici repubblicani e protestanti ancora detenuti nelle carceri irlandesi e inglesi; avvio dei negoziati multilaterali.

Il 13 ottobre anche i gruppi paramilitari protestanti dichiarano un cessate il fuoco.

Il primo ministro irlandese Reynolds viene nel frattempo travolto da uno scandalo a sfondo religioso-sessuale ed è costretto a dimettersi. In molti vedono, nell’enfasi attribuita a questo scandalo, la volontà di far cadere uno dei più fervidi sostenitori del processo di pace (Reynolds ha già accolto la richiesta del Sinn Fein di rilasciare i prigionieri, liberando una ventina di membri dell’Ira).

A Reynolds succede il più moderato John Bruton. In dicembre il neo-eletto premier firma con John Major il documento-quadro nel quale vengono elencati alcuni principi che renderebbero praticabile la via del negoziato multilaterale.

Vengono avviati degli incontri tra delegazioni del Sinn Fein e di rappresentanti del governo inglese, ma di colloqui a livello ministeriale ancora non se ne parla. Anzi, da Londra arriva un altro stop: questa volta in ballo ci sono le armi dell’Ira.

Il Sinn Fein potrà partecipare ai negoziati soltanto quando l’Ira consegnerà le armi. Un altro tentativo di smorzare le potenzialità del pur debole processo di pace, al quale ora risponde stizzito anche il governo irlandese che ammonisce Londra dei pericoli che corre: è passato quasi un anno dal cessate il fuoco dell’Ira e la popolazione delle sei Contee ancora non ha visto segni tangibili di questa tregua.

Il resto è abbastanza lineare: il leader del Sinn Fein Gerry Adams incontra segretamente il segretario per il nord Irlanda, sir Patrick Mayhew. Alla base dell’incontro il tentativo di uscire dall’impasse che sembra aver compromesso già buona parte delle potenzialità del processo di pace.

Per le strade delle sei Contee sono ricominciati gli scontri tra cittadini e forze dell’ordine. Una mano a far salire la tensione la dà proprio il governo inglese che sembra aver intrapreso la via tanto cara agli unionisti del «no» sempre e comunque.

Anche se i colloqui segreti tra Adams e Mayhew sono il segno della debolezza inglese. E intanto si avvicina il primo anniversario del cessate il fuoco proclamato dall’Ira.

Tratto da: Gerry Adams, Per la pace in Irlanda, Roma, manifesto libri, 1995, pp. 17–43

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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