Parenti serpenti
5 film a tema sui legami familiari
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“Rocco, non credo che riuscirai più a tornare al paese…
Che cosa pensi di trovare di diverso laggiù?
Anche il nostro paese diventerà una grande città, dove gli uomini impareranno a fare valere i loro diritti e a imporre dei doveri.
Io non so se un mondo così fatto sia bello.
Ma è così, e noi che ne facciamo parte dobbiamo accettare le sue regole.“
Ciro a Rocco, in Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti
ROCCO E I SUOI FRATELLI
Film; 1959; regia di Luchino Visconti; con Alain Delon (Rocco Parondi); Renato Salvatori (Simone Parondi); Annie Girardot (Nadia); Roger Hanin (Duilio Morini); Claudia Cardinale (Ginetta Giannelli); 2h 50min
RaiPlay, AppleTV
La famiglia patriarcale
I rapporti familiari in Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti costituiscono il nucleo drammatico del film, sviluppandosi in un intreccio complesso di amore, sacrificio, rivalità e tradimento. Un intreccio che rispecchia le tensioni dell’Italia del boom economico.
La famiglia Parondi, composta dalla madre Rosaria e dai cinque figli — Vincenzo, Simone, Rocco, Ciro e Luca — simboleggia il dramma della migrazione dal Sud al Nord Italia attraverso le transformazioni socio-economica dell’Italia del dopoguerra. Il legame tra i fratelli, apparentemente indissolubile, viene messo a dura prova dalle ambizioni personali e dai conflitti morali, rivelando fratture emotive e ideologiche che si allargano progressivamente fino a diventare insanabili.
La relazione tra i fratelli Parondi è caratterizzata da un forte senso di appartenenza e protezione reciproca, ma anche da tensioni che riflettono le loro diverse personalità e aspirazioni in rapporto alla modernità industriale di Milano. Questa città, tanto promettente quanto ostile, diventa il catalizzatore che accelera la disgregazione familiare.
Simone (Renato Salvadori), il secondogenito, incarna l’ambizione sfrenata e il fallimento esistenziale: inizialmente un pugile promettente, si lascia trascinare in una spirale di autodistruzione, alimentata dall’avidità e dall’incapacità di adattarsi alle regole della nuova società urbana. La sua parabola discendente rappresenta il lato oscuro del miracolo economico italiano.
Rocco invece è l’emblema della purezza e del sacrificio. È disposto a rinunciare a tutto per mantenere unita la famiglia, anche a costo della propria felicità personale. Questo contrasto tra Simone e Rocco diventa il centro della tragedia familiare, con il primo che, accecato dalla gelosia e dall’insicurezza, sprofonda nella violenza, e il secondo che, in un gesto quasi cristologico, si carica sulle spalle il peso delle colpe del fratello.
Ciro, il quarto fratello, rappresenta la razionalità e il riscatto sociale attraverso il lavoro e l’integrazione. A differenza di Simone e Rocco, che sono due opposti, Ciro abbraccia il pragmatismo e comprende che per sopravvivere nel nuovo ambiente è necessario emanciparsi dai legami familiari soffocanti. La sua decisione di denunciare Simone alla polizia sancisce la definitiva frattura nel nucleo familiare, ma costituisce anche l’unica possibilità di redenzione.
Rosaria, la madre, si presenta come il perno emotivo della famiglia, ma il suo amore possessivo e l’attaccamento alle tradizioni meridionali contribuiscono ad alimentare la tragedia. Ostinatamente legata a un’idea patriarcale della famiglia, si dimostra incapace di guidare i figli in un mondo in rapida evoluzione e finisce per favorire proprio Simone, il figlio più problematico e autodistruttivo.
Visconti dipinge così la famiglia non come un rifugio sicuro, ma come un microcosmo di tensioni sociali e morali. Il film suggerisce che l’amore fraterno e materno, se non supportato dalla consapevolezza della realtà che li circonda, può trasformarsi in una prigione emotiva da cui è impossibile evadere. La storia dei Parondi diventa quindi una potente metafora dell dissolvimento dei valori tradizionali di fronte alla modernità, mostrando anche il costo umano del progresso in una società in frenetica evoluzione.
PARIS, TEXAS
Vincitore della Palma d’oro a Cannes
Film; 1984; regia di Wim Wenders; con Harry Dean Stanton (Travis); Nastassja Kinski (Jane); Dean Stockwell (Walt); Aurore Clément (Anne); Hunter Carson (Hunter); 2h 27min
DVD
La riunione familiare
In Paris, Texas di Wim Wenders, il rapporto tra padre, figlio, madre e genitori adottivi costituisce il cuore del dramma umano ed emotivo dei protagonisti. Travis (Harry Dean Stanton), è un uomo che riemerge dal nulla dopo quattro anni di assenza, nel tentativo di ricostruire un legame con il figlio Hunter (Hunter Carson) e di ritrovare Jane (Nastassja Kinski), la madre del bambino.
Il film si sviluppa intorno alla relazione tra Travis e Hunter da ricostruire dopo anni di separazione. Travis, segnato dal dolore e dal senso di colpa, inizialmente osserva il figlio da lontano, come incapace di riavvicinarsi. Hunter, cresciuto con i genitori adottivi, lo tratta come un estraneo.
Attraverso piccoli gesti e momenti di complicità, il loro legame piano-piano si rinsalda. La scena in cui camminano sui lati oppposti di una strada diventa la metafora di questo riavvicinamento: inizialmente distanti, si sincronizzano passo dopo passo.
Jane, la madre di Hunter, resta una figura sfuggente per gran parte del film. La sua assenza pesa quanto quella di Travis, e il figlio he ha un’immagine idealizzata. Quando finalmente la ritrovano, vedono una donna consumata dal senso di colpa e dal rimpianto. La conversazione tra lei e Travis, attraverso il vetro di una cabina di peep show, raggiunge una grande intensità emotiva: Jane rivela il suo dolore e le ragioni dell’abbandono di Hunter, mentre Travis, con parole misurate e affettuose, le offre la possibilità di rientrare nella vita del figlio.
Walt (Dean Stockwell) e Anne (Aurore Clément), zio e zia di Hunter, che hanno cresciuto il bambino durante l’assenza dei genitori biologici, rappresentano figure di stabilità e sicurezza. Il loro rapporto con Hunter è sereno e affettuoso, ma il ritorno di Travis mette in discussione questo equilibrio. Pur volendo proteggere Hunter da ulteriori traumi, comprendono il suo bisogno di ritrovare i genitori.
Come Alice in “Alice nelle città”, anche Hunter, entrambi di otto anni, diventa il fulcro della narrazione. Wenders caratterizza con straordinaria profondità queste figure pre-adolescenziali che, con la loro vitalità e sincerità, aiutano gli adulti smarriti a ritrovare un senso.
Hunter mostra una maturità sorprendente di fronte a una realtà afffettiva complessa, diventando quasi una figura terapeutica per Travis, come emerge nella scena della lavanderia di Port Arthur, dove il padre, disteso sul divano, si confida con il figlio come con un analista.
Nel suo complesso Paris, Texas, che ha vinto la Palma d’oro a Cannes, fa riflettere con verità e garbo sul tema della famiglia come entità fragile e mutevole, segnata da errori e tentativi di ricostruzione.
Travis, nel suo percorso di redenzione, comprende che l’unico modo per rimediare al passato è permettere a Jane e Hunter di ricominciare senza di lui, in un gesto d’amore tanto profondo quanto doloroso.
Wenders ha raccontato che sono stati molti i produttori che gli hanno chiesto di riscrivere il finale nel senso di un ricongiungimento familiare completo, ma Wenders pensa che il finale sia perfetto così.
E in effetti lo è, anche se ci chiediamo dove stia veramente andando Travis con la sua Ford Ranchero, forse a Paris, Texas?
LA FAMIGLIA
2 Golden Globe, 6 David di Donatello, 6 Nastri d’argento
Film; 1987; regia di Ettore Scola; con Vittorio Gassman (Carlo uomo; nonno di Carlo); Stefania Sandrelli (Beatrice); Fanny Ardant (Adriana adulta); Sergio Castellitto (Carletto uomo); Giuseppe Cederna (Enrico) ; 2h 17min
Prime Video, Plex
La famiglia italiana
La famiglia di Ettore Scola dipinge un esteso affresco dei rapporti familiari nella borghesia romana del Novecento. La trama segue la vita di Carlo (Vittorio Gassman) dall’infanzia alla vecchiaia. Tutte le scene si svolgono all’interno dell’appartamento nel quartiere Prati di Roma, che diventa testimone silenzioso delle trasformazioni delle varie generazioni.
Il rapporto tra Carlo e suo padre rispecchia la tradizione e l’autorità della figura paterna nella famiglia borghese dell’epoca. Il padre è una presenza solida e severa ma giusta, educa il figlio alla disciplina e al senso del dovere secondo i valori del tempo. Carlo, pur ereditando il ruolo di capofamiglia, si rivela un uomo più riflessivo e sfumato, talvolta incerto di fronte ai mutamenti sociali che caratterizzano il suo tempo.
Questa evoluzione si riflette nel rapporto di Carlo con il figlio minore. Carlo non replica l’autoritarismo paterno, ma nemmeno riesce a stabilire una vera intimità emotiva, concedendo al figlio una libertà che nasce forse più dall’incertezza che da una scelta consapevole.
La figura materna rappresenta il baricentro affettivo della famiglia. La madre di Carlo è una donna amorevole che si dedica alla famiglia con abnegazione, mediando i conflitti e preservando l’armonia domestica. Appartiene a una generazione di donne destinate a vivere nell’ombra dei mariti e dei figli, ma capaci di esercitare un’influenza sottile e determinante nelle dinamiche familiari.
Il rapporto tra Carlo e il fratello Giulio si sviluppa tra affetto e rivalità. Giulio, più irrequieto e anticonformista, rappresenta l’antitesi del protagonista: mentre Carlo percorre una strada convenzionale, Giulio abbraccia l’avventura e si libera dalle convenzioni familiari. Il loro legame si complica ulteriormente quando entrambi si innamorano della stessa donna, Beatrice (Stefania Sandrelli), in una dinamica che mette alla prova i vincoli familiari.
Uno dei temi portanti del film è il fluire del tempo e il modo in cui le diverse generazioni affrontano i cambiamenti socioculturali. Il contrasto tra la rigidità della vecchia generazione e l’irrequiextezza delle nuove emerge nei dialoghi e nei gesti quotidiani che animano le stanze dell’appartamento. La famiglia resta un punto di riferimento imprescindibile, ma diventa anche teatro di tensioni, incomprensioni e rimpianti inespressi.
Scola racconta con delicatezza e profonda malinconia il ciclo della vita, mostrando l’evoluzione dei rapporti familiari attraverso momenti di tenerezza, compromessi necessari e piccole frustrazioni quotidiane. L’appartamento si trasforma in un microcosmo che riflette i cambiamenti della società italiana del Novecento, con la famiglia perennemente in bilico tra il peso della tradizione e le spinte della modernità.
Nel corso dell’intero film non viene mai rivelato il cognome di Carlo né quello di alcun altro componente della famiglia. Scola ha successivamente svelato di essersi ispirato alla vita di Carlo Salinari, critico e storico della letteratura italiana, che era stato suo insegnante.
IL PETROLIERE (There Will Be Blood)
Tratto dal romanzo Petrolio! di Upton Sinclair
2 premi Oscar, 1 Golden Globe
Film; 2007; regia di Paul Thomas Anderson; con Daniel Day-Lewis (Daniel Plainview), Paul Dano (Eli e Paul Sunday), Dillon Freasier (H.W. Plainview), Kevin J. O’Connor (Henry Brands); 2h 38min
Paramount +, Apple TV
Il potere paterno
In Il petroliere (There Will Be Blood) di Paul Thomas Anderson, il rapporto padre-figlio costituisce l’asse portante per comprendere la psicologia del protagonista, Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis), e il suo inesorabile sprofondare nella solitudine e nel disordine mentale.
Il film svolge il legame tra Daniel e il figlio adottivo H.W. (Dillon Freasier) attraverso una percorso che dall’apparente affetto paterno scivola nell’opportunismo, fino a una devastante rottura finale.
H.W. entra nella vita di Daniel come figlio di un operaio morto in un incidente sul lavoro. Senza esitazione, Plainview accoglie il bambino e lo presenta come proprio figlio, costruendo un’immagine di rispettabile padre di famiglia per conquistare la fiducia di investitori e comunità locali. Nell’America capitalista e pionieristica dei primi del Novecento, la figura paterna diventa uno strumento di credibilità sociale e commerciale.
Nonostante le premesse opportunistiche, tra Daniel e H.W. si sviluppa un apparente legame affettivo. Il bambino sembra essere l’unica persona che Daniel tratta con una parvenza di dolcezza, coinvolgendolo nelle attività quotidiane e permettendogli di assistere alle trattative d’affari. Il figlio diventa così sia simbolo della continuità dinastica dei Plainview sia strumento per consolidare il potere paterno.
La svolta drammatica nel loro rapporto avviene quando, durante un’esplosione di gas nel giacimento, H.W. perde l’udito. Da questo momento, Daniel inizia a distaccarsi emotivamente dal figlio. Invece di offrirgli sostegno, lo percepisce come un ostacolo ai propri affari, un “fardello” che ne mina l’immagine di uomo forte e infallibile. Questa frattura rivela la vera natura del protagonista: il suo affetto era guidato più dal calcolo che da un autentico sentimento paterno.
L’incapacità di Daniel di confrontarsi con la disabilità del figlio lo spinge a una decisione drastica: l’abbandono improvviso del ragazzo in un istituto per non udenti. Questo atto di crudeltà segna una rottura irreparabile e svela quanto Daniel sia disposto a sacrificare gli affetti in nome del proprio successo.
Anni dopo, H.W., ormai adulto, affronta il padre per comunicargli la decisione di separarsi definitivamente e intraprendere una strada autonoma. Daniel reagisce con rabbia velenosa, rivelandogli brutalmente la verità sulla sua origine: non è suo figlio biologico, ma un orfano adottato per convenienza. Questo confronto finale è devastante: H.W. abbandona la stanza senza voltarsi, mentre Daniel, ormai un uomo divorato dalla propria ambizione, precipita definitivamente nell’abisso della solitudine che fa intendere un finale drammatico.
Il film traccia così la parabola di un rapporto padre-figlio che, nato dalla menzogna e nutrito dall’egoismo, si conclude nel reciproco rifiuto, svelando così la condizione di solitudine e autodistruzione che caratterizza i Daniel Plainview.
Per l’interpretazione intensa e drammatica di questo personaggio, l’attore irlandese Daniel Day-Lewis è stato premiato con l’Oscar per Miglior Attore interprete, il secondo della sua carriera.
MEDEA
Tratto dall’omonima tragedia di Euripide
Film; 1969; regia di Pier Paolo Pasolini; con Maria Callas (Medea); Massimo Girotti (Creonte); Laurent Terzieff (Chirone); Giuseppe Gentile (Giasone); 1h 50
PlutoTV, Prime Video
Lo scontro di culture
In Medea, Pier Paolo Pasolini affronta il rapporto tra la protagonista, il marito Giasone e i figli con una potenza visiva e simbolica che va oltre la narrazione tradizionale del mito.
Il regista reinterpreta la tragedia di Euripide attraverso una chiave antropologica, contrapponendo il mondo arcaico e sacrale di Medea alla razionalità greca incarnata da Giasone. Il film si configura così come un dramma che supera la dimensione individuale per diventare riflessione sul conflitto tra un passato dominato dal sacro e un presente disincantato e pragmatico.
La figura di Giasone si delinea inizialmente come quella di un giovane eroe sospeso tra due universi: quello mitico e primordiale della Colchide, terra d’origine di Medea, e quello razionale della Grecia, che rappresenta il futuro. Medea, sacerdotessa e figura sacra nella sua patria, si innamora di lui e lo aiuta a conquistare il Vello d’Oro, consumando così il primo allontanamento dal proprio mondo ancestrale.
Attraverso ill paesaggio e la messa in scena, Pasolini pone l’accento sulla distanza incolmabile tra i due personaggi: mentre Medea rimane immersa in una dimensione arcaica e magica, Giasone si rivela un uomo freddo, guidato esclusivamente dalla ragione e dall’ambizione personale.
Una volta in Grecia, Medea sprofonda in un isolamento sempre più profondo. Giasone, che inizialmente era rimasto affascinato dal suo mondo misterico, se ne allontana progressivamente, fino al tradimento definitivo con le nozze con Glauce, figlia del re di Corinto. Questo gesto non rappresenta solo un abbandono sentimentale, ma il rifiuto totale della cultura di Medea, che si ritrova improvvisamente privata di ogni riferimento esistenziale.
Il legame di Medea con i figli è segnato da un affetto materno viscerale, ma anche dalla dolorosa consapevolezza che essi rappresentano il legame con Giasone e con il mondo che l’ha respinta.
Se nel mito classico Medea uccide i propri figli per vendicarsi di Giasone, nel film di Pasolini il loro sacrificio assume una dimensione rituale più profonda: diventa il gesto estremo con cui la protagonista si riappropria della propria identità ancestrale, distruggendo definitivamente ciò che la lega a un’esistenza ormai svuotata di significato.
A differenza della Medea euripidea, che ascende trionfalmente su un carro divino, la Medea di Pasolini resta tragicamente ancorata alla terra, condannata a vagare tra le rovine della propria distruzione.
Il film si chiude con un senso di ineluttabilità e di perdita irrimediabile: per Medea non c’è possibilità di ritorno al passato, ma nemmeno di integrazione nel mondo razionale di Giasone.
Pasolini trasforma così l’antica tragedia in un potente affresco sulla dissoluzione del sacro e sul destino di chi non trova più un posto nel mondo moderno, anticipando temi che rimangono di bruciante attualità.
Ha scritto Pasolini a commento della sua visione di Medea: “Medea viene da un mondo religioso e arriva in un mondo ricco come Corinto, dove tutto è laico, moderno, raffinato, colto. Così quando prova un sentimento di grande dolore e angoscia vive una fatale regressione”.