Nessuno europeo lo farebbe di nuovo
Il sentimento della guerra in “Tenera è la notte”
Da: Francis Scott Fitzgerald, Tenera è la notte, traduzione di Fernanda Pivano, Torino, Einaudi, Edizioni del Kindle, pp. 87–90.
Nel capitolo 13 del primo libro di “Tenera è la notte”, Dick e Nicole Diver viaggiano in Francia con Abe North, Rosemary Hoyt e altri. Dick li porta sulla collina di Thiepval, luogo di un episodio cruente della Battaglia della Somme.
Per Dick non è turismo. Ha lavorato come psichiatra durante la guerra. Conosce bene quei luoghi. Li ricorda. Non parla molto mentre cammina tra le vecchie trincee. Si percepisce il suo profondo e contagioso, per Rosemary, smarrimento.
Fitzgerald usa questa scena per mostrare come il passato rimanga. Dick torna dopo molti anni, ma la ferita sanguina ancora. Le trincee sono ancora lì. I ricordi anche. Il passato non scompare.
La scena dice qualcosa sulla generazione di Fitzgerald e sulla guerra. Nel 1934, con l’Europa di nuovo scossa da venti di battaglia, questi luoghi avevano un significato particolare. Non servono grandi parole. Le trincee parlano da sole.
Ecco il passo.
Capitolo tredicesimo
Dick svoltò l’angolo della traversa e continuò a percorrere la trincea. Giunse a un periscopio, vi applicò l’occhio un momento, poi salì il gradino e si sporse dal parapetto. Davanti a lui, sotto un cielo cupo, era Beaumont Hamel; alla sinistra la tragica collina di Thiepval. Dick le fissò attraverso il binocolo, con la gola chiusa di tristezza.
Proseguì lungo la trincea e trovò gli altri che lo aspettavano alla prossima traversa. Era molto esaltato, e voleva contagiare gli altri, farlo capire agli altri, per quanto in realtà Abe North avesse partecipato alla battaglia e lui no.
— Questa terra costò settanta vite umane al metro, quell’estate, — disse a Rosemary. Lei guardò ubbidiente la pianura verde piuttosto sterile, con i suoi bassi alberi di sei anni. Se Dick avesse aggiunto che adesso erano sotto un bombardamento, lo avrebbe creduto, quel pomeriggio. Il suo amore aveva raggiunto un punto in cui finalmente incominciava a renderla infelice, a renderla disperata. Non sapeva che cosa fare: voleva parlare con sua madre.
— È morta tanta di quella gente, da allora, e presto saremo morti tutti, — disse Abe con fare consolante. Rosemary aspettò intensamente che Dick continuasse.
— Guarda quel ruscelletto: potremmo raggiungerlo in due minuti. C’è voluto un mese agli inglesi per raggiungerlo: un intero impero che camminava molto lentamente, moriva sul fronte, e avanzava passo passo. E un altro impero indietreggiava, molto lentamente, qualche centimetro al giorno, lasciando i morti come un milione di tappeti insanguinati. Nessun europeo di questa generazione lo farebbe di nuovo.
— Come, hanno appena smesso in Turchia, — disse Abe.
— E in Marocco…
— È diverso. Quest’affare del fronte occidentale, non si potrebbe far da capo, almeno per un pezzo. I giovani credono che potrebbero farlo, ma non è vero. Potrebbero combattere da capo la prima battaglia della Marna, ma non questa. Questa implicava religione e anni di abbondanza e tremende certezze e i rapporti esatti che esistevano tra le classi. I russi e gli italiani non fecero niente di buono su questo fronte. Bisognava avere un equipaggiamento sentimentale tutto anima, capace di andare indietro più di quanto si potesse ricordare. Bisognava ricordare il Natale, e le cartoline del Kronprinz con la sua fidanzata e i caffeucci di Valencia e le birrerie dell’Unter den Linden e i matrimoni in Municipio e il Derby, e le basette del nonno.
— Il generale Grant inventò questa specie di battaglia a Petersburg nel ’65.
— No, non è vero: ha soltanto inventato il macello in massa. Questa specie di battaglia è stata inventata da Lewis Carrol e Jules Verne, da quello che ha scritto Undine e dai diaconi di campagna che giocano alle bocce, dalle madrine di Marsiglia e dalle ragazze sedotte nei vicoli del Württenberg e della Westfalia. È stata una guerra d’amore: un secolo d’amore borghese. È stata l’ultima guerra d’amore.
— Dovresti offrire questa battaglia a D. H. Lawrence, — disse Abe.
— Tutto il mio bel mondo sicuro è scoppiato qui in gran turbine d’amore ad alto esplosivo, — insisté Dick.
— Non è vero, Rosemary?
— Non lo so, — rispose questa col viso serio.
— Tu sai tutto.
Rimasero dietro agli altri. Improvvisamente cadde su di loro una pioggia di zolle e di ciottoli e Abe urlò dall’alta traversa:
— Lo spirito della guerra mi ha invaso di nuovo. Ho alle mie spalle cento anni d’amore dell’Ohio e intendo far saltare questa trincea — . Sporse il capo dall’argine.
— Siete morti: non conoscete le regole? Era una granata. Rosemary rise e Dick raccolse una vendicatrice manciata di pietre; ma la lasciò cadere.
— Non mi riesce di scherzare, qui, — disse scusandosi.
— La corda d’argento è recisa, e il bacile d’oro è infranto e così via, ma un vecchio romantico come me non ci può far niente.
— Anch’io sono romantica. Uscirono dalla trincea ben restaurata, e si trovarono di fronte ad una lapide dedicata ai morti di Terranova. Leggendo l’iscrizione, Rosemary scoppiò improvvisamente in lacrime. Come a molte donne, le piaceva che le dicessero ciò che doveva sentire. E le piaceva che Dick le dicesse quali cose erano divertenti e quali cose erano tristi. Ma soprattutto voleva che sapesse che lei lo amava, ora che questo sconvolgeva ogni cosa, ora che passeggiava sul campo di battaglia in un sogno emozionante. Poi salirono in macchina e ripartirono per Amiens. Una sottile pioggia calda cadeva sui nuovi boschi e sottoboschi stenti, e oltrepassarono grandi pire funerarie di cimelî: proiettili, bombe, granate, elmetti, baionette, calci di fucile e cuoio marcio abbandonati alla rinfusa per terra da sei anni. E improvvisamente, dietro a una curva, i bianchi coperchi di un gran mare di tombe. Dick chiese allo chauffeur di fermarsi.
— C’è quella ragazza; e ha ancora la corona. Rimasero a guardarlo mentre scendeva e si avvicinava alla ragazza che stava incerta sul cancello con una corona in mano. Il taxi l’aspettava. Era del Tennessee e aveva i capelli rossi; l’avevano incontrata sul treno quel mattino, venuta da Knoxville a deporre un ricordo sulla tomba del fratello. Aveva sul viso lacrime di disperazione.
— Il Ministero della Guerra deve avermi dato un numero sbagliato, — balbettò.
— C’era un altro nome. È dalle due che cerco, e c’è una tale quantità di tombe.
— Allora al vostro posto la poserei su una tomba qualunque, senza guardare il nome, — la consigliò Dick.
— Credete che debba fare così?
— Credo che lui avrebbe voluto che faceste così. Diventava buio e la pioggia aumentava. Lei lasciò la corona sulla prima tomba vicino al cancello, e seguì il consiglio di Dick di licenziare il taxi e ritornare ad Amiens con loro. Rosemary pianse di nuovo quando seppe dell’incidente: era stata una giornata lacrimosa, sentiva d’aver imparato qualcosa, anche se non sapeva con precisione che cosa. Più tardi ricordò come felici tutte le ore di quel pomeriggio: uno di quei momenti privi di eventi che lì per lì sembrano soltanto un anello tra il piacere passato e il piacere futuro, ma poi si rivelano come il piacere stesso. Amiens era un’echeggiante città purpurea, ancora triste per la guerra, come certe stazioni ferroviarie: la Gare du Nord, e la Waterloo Station a Londra. Di giorno ci si sente smontare da queste città, coi loro piccoli tranvaietti di vent’anni fa, che attraversano le grandi piazze lastricate di pietra grigia davanti alla cattedrale, e l’aria stessa sembra avere in sé il passato, aria sbiadita come quella di vecchie fotografie. Ma quando è buio, tutto ciò che è piú attraente nella vita francese torna a guizzare nel quadro: i pasticcini multicolori, gli uomini che discutono con centinaia di voilà nei caffè, le coppie alla deriva, testa contro testa, verso la piacevole economia del dove capita. In attesa del treno, sedettero sotto un grande portico, abbastanza alto da permettere al fumo, alle chiacchiere e alla musica d’innalzarsi, e l’orchestra si lanciò in Non ho più banane; applaudirono, perché il direttore aveva l’aria così soddisfatta di sé. La ragazza del Tennessee dimenticò i suoi dolori, e si divertì, incominciò perfino un flirt tropicale a base di roteamenti d’occhi e toccamenti di piedi, con Dick e Abe. La canzonarono con garbo.
Poi lasciando parti infinitesimali di wurtemburghesi, guardie prussiane, cacciatori delle Alpi, manovali di Manchester, e ex Etoniani alla loro eterna dissoluzione sotto la pioggia calda, presero il treno per Parigi. Mangiarono panini imbottiti di mortadella e Belpaese preparati nel ristorante della stazione e bevvero Beaujolais. Nicole era distratta, e si mordeva irrequieta le labbra leggendo la guida del campo di battaglia portata da Dick: effettivamente Dick aveva fatto un rapido studio dell’intera faccenda, semplificandola affinché avesse una lieve somiglianza con una delle sue festicciole.
Fitzgerald, Francis Scott, Tenera è la notte. Einaudi, Torino, Kindle Edition, pp. 88–90.