Mezzo chilo di alici

di Patrizia Rinaldi

Mario Mancini
7 min readDec 2, 2018

Il racconto della Domenica

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Le più grandi confidenze d’amore che una donna può vivere sono quelle con il suo parrucchiere. Per darci un taglio, cambiare testa, niente di meglio di un massaggio shiatsu e qualche colpo di sole. Dopo, ognuna se ne esce «felice, bella come una sirena sazia di alici». In questo racconto di ambientazione napoletana, Patrizia Rinaldi dipinge (anzi, tinge) le tribolazioni del cuore femminile con ironia e leggerezza.

«Figlia mia, anzi sorella mia, ma questo non è amore, è una colica renale!»

Ognuno ha il Lucy Psychiatric Help che può. Il mio psychiatric help è Raphael, per i familiari Filuccio, all’anagrafe Raffaele Onorato.

Fa il parrucchiere per donna, uomo e bambino a casa sua, quartiere Poggioreale: «Il magazzino di acconciatore, affollato di lavoranti, lo tenevo. Me lo sono levato. Essì, facevo campare mezza Napoli sulle spalle mie. Gracili».

Gracili sono gracili, infatti il nome che gli sta meglio è Filuccio, ma a lui piace e non piace.

Raffaele è uno spago sottile di spalle, tronco e bacino: un corpo tubolare che non conosce punto vita. Il parrucchiere a domicilio suo si vendica della magrezza con la chioma di anelli gonfi e mèches rosse su base rossa.

È un genio.

Sa tutto dell’amor.

Avrebbe sessant’anni, ma può dimostrarne abilmente quarantacinque, grazie alle luci rosse di casa sua che confondono pelle liscia e chioma barocca.

Piange spesso e senza lacrime.

Protegge i segreti più preziosi dopo aver baciato indice e medio della mano sinistra da una parte e dall’altra: «Giuro e giuro, se dirò una parola, mi deve venire un colpo apoplettico dopo aver vinto una Ferrari Testarossa (ma quante mai volte è bella la Ferrari Testarossa) con un concorso a premi di gomme da masticare».

Indossa stivaletti deliziosi anni Settanta e cravatte Marinella.

Canta sempre e male.

Ha la generosità di un melograno rosso.

È superstizioso fino a raggiungere follie interpretative e ha la collezione di corni più audace del quartiere.

Impazzisce per le storie appassionate o sfortunate a lieto fine.

Mi chiama Anna Caliena e pure per questo lo amo tanto: «Tale e quale alla Caliena sei, solo più fresca. E scopriti il decolté, sorella mia bella di santa pace, ti infasci come una mummia a lutto. Caccia, caccia, caccia fuori. E i pantaloni! Tu non sei nata con la camicia, e ce ne siamo accorti, tua mamma ti ha sgravato che avevi addosso i pantaloni tipo pigiama di flanella. E che è! Quello perciò non ti vuole: non lo ingelosisci, non lo provochi, non lo scuoti dalle fondamenta dei piedi. Il Parassita — così chiama il mio ultimo amor — ti deve vedere e deve tremare. Tze. Ti do un compito difficile …».

«Quale compito, Filuccio?»

«Chiamami Raphael, per favore, che oggi già sto storto che si è rotto lo specchietto della Multipla (quante mai volte è brutta la Multipla), parcheggiata affianco alla Lambretta mia. Mi ha contagiato il confine di mala sorte, ha invaso il mio spazio vitale di stai al posto tuo. Il compito? Ah, sì, il compito. Oggi che giorno è?»

«Quattordici.» Non gli piace come dico “quattordici”.

Raphael mi guarda con un’aria rassegnata e mi spinge la testa sotto il rubinetto del lavandino. Mi massaggia con lo shampoo fino ad ammorbidirmi i pensieri: «Quattordici e poi?».

«poi che?»

«Dimmi una cosa, ma è vero o no che fai la scienziata all’università?»

«Faccio la ricercatrice, lo sai, al momento pure la ricercatrice di stipendio fisso.»

Raffaele prende un poggiatesta fatto in casa: un trespolo, con i piedi di uno stand a rotelle, addobbato di cuscino leopardato. Mi fa appoggiare la nuca sul manto maculato di vilpelle. Mi fa trovare una posizione comoda e poi spalma la crema ristrutturante con movimenti sapienti, rotondi, belli: «Sì, va bene, comunque la scienziata fai. Apri i libri, chiudi i libri, scrivi e scrivi, cancelli, ti sciupi gli occhi di stella: insomma a studiare studi. Embè, fai tutto questo e non sai che oggi è quattordici febbraio: San Valentino. Ti viene in mente niente?».

«No.» Sospiro con occhi di stella mezza chiusa.

«La festa dell’amor, e che caspita!» Sciacqua.

«Io e il Parassita, come lo chiami tu, non badiamo a queste date ridicole e prive di senso. Noi siamo liberi, indipendenti e pure un tantino spregiudicati.» Mi alzo, aggiusto la mantellina di plastica, con fare maestoso, come se portassi una cappa di velluto, rosso. «Vorrei tagliarmi i capelli.» Mi siedo in zona taglio e messa in piega.

Raphael poggia le mani sui braccioli della poltroncina zona taglio e messa in piega. Così piegato, avvicina il viso al mio.

«E invece li lasci in pace i capelli tuoi, ogni volta: taglia! Ma cosa taglio che hai una zazzera di formica? Lunghi devono essere i capelli! L-u-n-g-h-i! Te li concimerei, altro che “Taglia!”»

Dopo lo sfogo sui capelli miei, in effetti già abbastanza corti ma non cortissimi come dice lui, attacca uno sproloquio di contenuto semplice e ripetuto: sono la persona meno spregiudicata che conosce e il Parassita, felicemente mangiante a casa sua cibo di uomo sposato, è il più conformista dei conformisti fatti a stampo di con te è amore, con lei routine massacrante.

Si mette una mano in fronte e recita. Bene, devo dire: «L’amor è fame insaziabile. Non dà tregua, non si esercita a giorni alterni come il traffico inquinato, l’amor è sempre. Sì, va bene, poi non è sempre, ma per lo meno non lo dice prima. Mo’ io, per esempio, lavo i capelli con amor, mi piace. Mi dà contentezza portare sollievo per quei minuti che dura, lo faccio quando viene il cliente, non quando lo chiamo io. Io sono un artista dell’amor e non a chiacchiere. Il Parassita è menzognero. Mente e succhia nettare giovane, il tuo. Questo fa. Quindi tu oggi, quattordici febbraio, giorno di festa d’amor, gli dai una sola e non ti fai trovare. Non obiettare che tanto non ti cerca, lo so già. Quello sta comprando confettini e rose alla moglie, più brutta di una Multipla, che brutta è brutta ma è pure comoda perché tiene assai spazio; le ha già scritto una lettera d’amor falso falsissimo e se la acquieta nell’armadio per un paio di mesi. Sicura, la scema abbocca, oppure scodella sicurezza per non impedire il via vai di una certa utilità. Dopo il tanti auguri a te, il Parassita pidocchioso corre da Anna Caliena, che saresti tu, e ti dice tutto lo schifo della festa bugiarda. Già, tra fatti bugiardi si capiscono bene. Ti sospira di gabbie, di recinti e di dolor di non poter amar come lui solo sa. Ah. Insomma mette dentro all’armadio pure a te».

«Ma io lo amo.» Mentre lo dico, mi faccio senso da sola. La cappa di velluto, rosso, diventa un kleenex usato, beige.

«Figlia mia, sorella mia bella, ma questo non è amore, è una colica renale!»

«Fatico a espellere i calcoli» mi giustifico a occhi spenti.

«Macché, vieni qua.» Mi fa fare una piroetta e poi sbatte i tacchi sul pavimento. «Sputa i calcoli, non farti trovare, e quando lo rivedi mostrati felice, bella come una sirena sazia di alici. Ecco qua quello che devi fare. Quindici euro.»

Pago quindici euro che sono più di “Five cents, please”, ma meno, molto meno, di un’ora specialistica con addetto alle sinapsi rovinate.

Esco.

Mi guardo in una vetrina, Raphael mi ha pettinato la chioma ad anelli gonfi, come i suoi. Rido. Entro in un negozio antico di cappelli, con la vetrina di opale e ghirigori liberty.

Chissà cosa ci fa a Poggioreale una bottega del genere.

Nel negozio di cappelli c’è solo una commessa vecchia con il rossetto sbavato e tremante.

Compro un Borsalino rosso con una fascia rossa. Non mi somiglia, ma lo compro lo stesso. La proprietaria dal rossetto sbavato congiunge le mani e mi dice che somiglio ad Anna Galiena, mi dice pure “Beata lei”; non si capisce se beata sono io o l’attrice. Non indago.

Continuo fino al borgo e mi fermo davanti a pozzanghere confinate in recipienti bassi e larghi: «Mezzo chilo di alici, per favore».

Sollevo la coda di sirena, la aggiusto sotto il braccio, e mi avvio verso il mare.

Patrizia Rinaldi vive e lavora a Napoli. È laureata in Filosofia e specializzata in scrittura teatrale. Dal 2010 partecipa a progetti letterari presso l’Istituto Penale Minorile di Nisida.
Nel 2016 ha vinto il Premio Andersen Miglior Scrittore.
Nel 2006 ha vinto il Premio Pippi, sezione inediti.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo 2X1=2, illustrato da Otto Gabos, (Istos 2018- Collana Rivoluzioni); La Compagnia dei Soli, illustrato da Marco Paci, vincitore del Premio Andersen Miglior Fumetto 2017(Sinnos 2017); Il Giardino di Lontan Town, vincitore del Premio Laura Orvieto 2017 (Lapis 2015); Federico il pazzo, finalista al premio Andersen 2015 (Sinnos 2014), Rock Sentimentale, tradotto in Serbia (EL 2011); Piano Forte, tradotto in Ungheria e finalista del Premio Elsa Morante (Sinnos 2009).
Per le Edizioni E/O ha pubblicato Tre, numero imperfetto (tradotto negli Stati Uniti- Ed.Europa e in Germania-Ed.Ullstein), Blanca, Rosso Caldo, Ma già prima di giugno (Premio Alghero 2015), La Figlia Maschio.
È rappresentata dall’agenzia United Stories:
https://unitedstoriesagency.com/patrizia-rinaldi/

La rubrica “Racconto della domenica” è un’iniziativa dell’agenzia letteraria Thesis Contents e della startup di nuova editoria goWare. Il suo scopo è quello di offrire ai lettori narrazioni brevi dal e del mondo contemporaneo, storie che guardano all’attualità, al costume, alla politica ed alla società nel tempo dell’andata al cyberspazio.

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Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.