Mario Soldati e il vino degli scomparsi

Mario Mancini
10 min readFeb 14, 2021

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di Paolo Marcucci

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Illustrazione tratta da LABANOF, Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano. (http://www.labanof.unimi.it).

L’arte forense

Il giallo, il thriller forense è da molto tempo uno dei settori più importanti dell’industria editoriale e le grandi vendite di autori, solo per citarne alcuni, come Patricia Cornwell o Kathy Reichs, lo dimostrano ampiamente. In questo genere narrativo gli indizi, da cui solitamente partono le indagini che assicurano alla giustizia il colpevole, muovono quasi sempre dall’analisi e osservazione della scena del crimine e dall’esame del cadavere.

Nella realtà sono istituti come il Labanof di Milano, laboratorio che fa parte dell’Istituto di Medicina Legale, che operano in questo campo cercando di ridare identità a ritrovamenti di resti umani e a interpretare segni di crimini o violenza per indagini giudiziarie. Archeologia, antropologia e odontoiatria forense sono essenziali per le corrette azioni di ricerca e recupero dei cadaveri, insieme alle altre scienze naturali come geologia, entomologia, e botanica.

Bello, interessante e attuale, proprio in quest’ambito, è un racconto in giallo — mai ripubblicato — di Mario Soldati[1], che, precorrendo per certi versi i tempi, si basava appunto sulle piante, in questo caso dei vitigni, e sulla loro miscela di composizione del vino. Miscele e studi che sarebbero poi in seguito stati utilizzati e analizzati nell’uso dell’attività forense, sempre più tecnica e vasta e, per fortuna, con molti più mezzi a disposizione.

In vino veritas, parola di Mario Soldati

L’articolo si chiamava In vino veritas (nel vino sta la verità) e fu pubblicato sul Corriere della Sera del 14 agosto 1983. Narra la vicenda torbida, in una delle tante profonde province italiane, qui siamo a Sarzana in Liguria, di un delitto che viene scoperto attraverso il vino. Questa è la storia[2].

Un vignaiolo, il Sig. Moizio, è scomparso a seguito di un rapimento da parte di quattro banditi, che l’avevano prelevato sotto gli occhi della moglie Claudia e dell’autista, e le cui successive trattative di riscatto non erano arrivate a buon fine. L’inchiesta si protrae e si arena fino a quando la giovane moglie non chiede al tribunale la dichiarazione di morte presunta per il passaggio ereditario.

Il commissario Arnaudi, incaricato di chiudere il fascicolo, si mette a ricostruire la vecchia indagine e piano piano cominciano a venire fuori dubbi e sospetti, a partire dalla presunta relazione tra la signora e l’autista, e anche dal vino che il vecchio Moizio produceva attraverso la sua azienda vinicola e vendeva in tutta la zona.

La produzione del vino nell’anno successivo alla scomparsa del Moizio aveva suscitato qualche domanda: riuscirà la vedova a riprodurre lo stesso livello di qualità? Quanto Trebbiano toscano?, quanto Trebbiano nostrale? Quanta Albarola? Quanto Greco? Quanto Bosco? La miscela e la misura del bianco da tavola sarebbero riusciti a ripetere il miracolo?

Claudia: «Signor Maresciallo! Sono anni che aspetto! Signor Maresciallo mi dica la verità: quando crede lei che mi rilasceranno questa benedetta dichiarazione? La prego parli chiaro».

Arnaudi, risponde cauto, che i giudici, in questi casi, dichiarazione di morte presunta ci vanno con i piedi di piombo: «Vede, signora, in teoria… in teoria, si potrebbe perfino immaginare che, un giorno o l’altro, suo marito, il signor Moizio, si presenti… ecco, appaia lì, lì, nel vano di quella porta».

L’indagine prosegue con la visita al notaio di famiglia.

Il notaio non ha simpatia per Claudia, che considera una puttana arrivista; ma la sua opinione è netta: Claudia ha fatto benissimo a non mollare e a lasciare i responsabili del sequestro a bocca asciutta.

L’indizio è nel vino

Sarzana, 1919, Caffè Costituzionale, avventori e personale del Caffè[3]

L’indagine porta al titolare del caffè Costituzionale, e all’incontro con il sig. Ugo Caraglio, grande appassionato di vini.

Arnaudi e Ugo Caraglio, padrone del caffè Costituzionale, dopo avere aperto una bottiglia del vino della vedova, bevono insieme con la rilassata concentrazione dei veri intenditori, che non ha niente a che vedere con il teatrale sussiego dei competenti. Il signor Caraglio si lascia andare a un elogio sperticato del vino, ma Arnaudi lo interrompe. Vuole risposta a una sola domanda: è vero o non è vero che il vino è rimasto, dopo la scomparsa del Moizio, tale e quale?

Ugo Caraglio beve un sorso, riflette, poi scuote leggermente la testa e risponde che, a suo parere, il suo parere contro quello di tutti, una leggerissima differenza fra prima e dopo c’è, un niente, una cosa quasi inafferrabile, un punto interrogativo in fondo al bicchiere. Ma c’è, lui ne è sicuro.

Di tutte le cose che ha sentito durante il corso dell’indagine, la prima che sembra avere colpito veramente l’attenzione, l’immaginazione e l’istinto del Maresciallo è questa dichiarazione del Caraglio. Si alza, insiste inutilmente per pagare, e se ne va.

Entra in gioco l’enologo

La cosa porta il Commissario a chiedere consiglio al suo carissimo amico, Sir Cyril Ray, enologo di fama mondiale, che accetta di venire a collaborare all’indagine con il contributo al giudizio del vino ora prodotto.

«Treachery! You are a treacherous friend! Tradimenti! Sei un traditore amico”», sono le prime parole appena afferra a volo il motivo della telefonata. «Tu mi cerchi soltanto quando hai bisogno di me!.»
«Si, ma bisogna che tu mi creda. Questa volta ho un problema che puoi risolvere solo tu. Devi venire subito a Sarzana, hai capito?».

L’incontro si svolge al Caffè Costituzionale, sotto la pergola, tra le piante in cassa, dove, a quell’ora del mattino non c’è ancora nessuno. Sir Cyril cade dalle nuvole allorché sente ciò che il suo vecchio amico maresciallo pretende da lui. Dovrebbe, nientemeno, presentarsi alla vedova, chiedere di assaggiare il vino dell’annata, e ridare un’occhiata alle vigne con la scusa che intende rinfrescare il suo vecchio articolo su una rivista specializzata.

Chi lo accoglie non è Claudia, come nei calcoli del Maresciallo. Si presenta invece, con il viso infingardo cotto dal sole, il Salimbeni (l’autista e tuttofare). Non ha l’aria di sapere chi è Sir Cyril ma accondiscende, sebben con malavoglia, a fargli dare un’occhiata alle vigne. Sir Cyril, con aria distratta, gli pone delle domande sulle uve. L’altro risponde senza esitazione. Tuttavia, a giudicare dalle reazioni di Sir Cyril, deve sballarle grosse. La visita finisce in cantina, dove il Salimbeni, frettoloso e riluttante, consente a mescere alcuni assaggi.

Più tardi, al Costituzionale, rendiconta al Maresciallo. Ebbene, la prima cosa che ha avvertito mettendo piede nella villa è stata un’atmosfera di tensione assolutamente insolita nei luoghi dove si fa buon vino. Il vino è una cosa viva e delicata: non potrebbe mai venire bene nascendo in un ambiente saturo di elettricità com’è oggi la fattoria della vedova. Altra cosa che ha insospettito Sir Cyril è l’assoluta ignoranza dimostrata dal giovane in materia di vitigni.

Aveva confuso il Trebbiano Toscana col Nostrale, aveva scambiato tra loro l’Albarola e la Bianchetta, il Bosco e il Rollo. E le viti erano tenute piuttosto male, non abbastanza potate e diserbate, con ciuffi di gramigna al piede delle viti. Nel racconto Sir Cyril era arrivato al punto che più suscitava la curiosità del Maresciallo: le sue impressioni all’assaggio del famoso bianco da tavola di Moizio. Ma questa volta il Maresciallo sarà deluso. L’espertissimo Sir Cyril ha avvertito si qualche infinitesima differenza fra il vino di oggi e quello di anni prima, ma troppo insignificante è la differenza e troppi anni sono passati. Del resto, le annate dei vini non sono mai perfettamente uguali l’una all’altra.

Partito l’amico, Arnaudi va dal magistrato a confidargli la sua marezza. Quelle indagini, basate dopo tutto sul niente, sono approdate al niente.

Nel cuore della notte il Maresciallo viene svegliato dal telefono. È sir Cyril, eccitatissimo. Finalmente, d’un tratto, ha capito come, forse, sarebbe riuscito a riempire quella strana sensazione, assai vaga, come di un vuoto, di una mancanza, che gli era venuta assaggiando il vino nuovo di Moizio.

Nel vecchio articolo c’è nero su bianco, il nome del sapore che gli era mancato assaggiando il vino di Claudia: era uno spruzzo, niente di più di uno spruzzo di Malvasia che il vecchio Moizio aggiungeva per rendere meno acerbo il suo vino nel caso le viti non avessero preso abbastanza sole: e, quasi certamente, era un caso che succedeva ogni anno. Sir Cyril ricorda benissimo, nella sua visita alla fattoria quella mattina, di avere notato la vigna della Malvasia in condizioni particolarmente deplorevoli.

Gli era sembrato che le zolle sotto le viti invase dalla gramigna non fossero state smosse da anni. Aveva provato d’istinto a avvicinarsi, ma — ricorda benissimo — il Salimbeni gli si era messo rudemente di traverso per sbarrargli la strada, e solo a quel punto, solo allora, si era deciso a portarlo in cantina.

Arnaudi esulta dall’altra parte del filo. Ghigna all’amico: «Che cosa ti avevo detto? In vino veritas!».

Questa storia di Soldati è riemersa dal passato[4], leggendo alcuni recenti articoli sulle attività delle indagini forensi sulle persone scomparse. L’ultimo rapporto del Ministero degli Interni censisce a 61.826 le persone scomparse e mai ritrovate in Italia dal 1974.

Le persone scomparse nel 2020

XXIII RELAZIONE, ANNO 2020

Commissario Straordinario del Governo per le persone scomparse

La scienza forense oggi

Un avvincente e recente evoluzione della scienza forense, parte da uno studio dell’università del Tennessee-Knosville denominata “Plants to remotely detect human decomposition?” e pubblicato su Trends in Plant Science. Lo studio, seppure ancora non codificato a fondo, mette in risalto il possibile utilizzo della conformazione arborea che registra cambiamenti chimici in presenza di resti umani.

L’autore senior dello studio, Neal Stewart Jr., che insegna scienze vegetali all’università del Tennessee, spiega che «Nei territori più piccoli e aperti, le pattuglie a piedi potrebbero essere efficaci per trovare qualcuno scomparso, ma nelle parti più boscose o pericolose del mondo come l’Amazzonia, questo non è affatto possibile.

Questo ci ha portato a prendere in considerazione le piante come indicatori della decomposizione umana[5], che potrebbe portare a un recupero di un corpo più velocemente e forse più sicuramente. Il risultato più ovvio di queste isole sarebbe un grande rilascio di azoto nel suolo, specialmente in estate, quando la decomposizione avviene così velocemente. A seconda della rapidità con cui le piante rispondono all’afflusso di azoto, può causare cambiamenti nel colore e nella riflettanza delle foglie»[6].

L’azoto quindi viene associato all’aumento della clorofilla, che i corpi in decomposizione rilasciano nel terreno insieme a sostanze nutritive come fosforo e zolfo, questo comporterebbe un effetto “rinverdente” sulle foglie delle piante e creando, allo stesso tempo, un “necrobioma” che permetterebbe alla piante di crescere in modo diverso, in quanto i resti umani sono diversi dagli altri grandi mammiferi a causa di molecole chiamate metaboliti, che sono specifiche del nostro corpo[7].

La botanica forense

Dall’Università di Firenze, Andrea Coppi, professore del corso di Botanica forense:

«La flora e soprattutto la vegetazione vengono sottovalutate, ma hanno un’importanza fondamentale nel collocare nello spazio e/o nel tempo un elemento sottoposto a indagine. Quando un corpo viene sotterrato, la prima cosa che salta all’occhio è la rimozione della vegetazione. Col terreno smosso si possono affermare alcune specie vegetali rispetto ad altre che dominano la zona circostante. Possono cambiare i pigmenti delle piante, ma anche la forma delle foglie: molti nutrienti hanno effetto sulla plasticità fenotipica delle piante stesse».

La botanica forense quindi individua e indica nelle variazioni di forma e pigmentazione delle foglie delle piante, la presenza di corpi estranei.

«Attraverso le nuove tecniche di remote sensing o telerilevamento, grazie ad immagini satellitari ad alta risoluzione, è possibile registrare la variazione di colore dovuta alla pigmentazione delle foglie, perché magari si tratta di foglie più giovani o perché cambia la composizione specifica. Discontinuità nella vegetazione possono produrre variazioni nelle firme spettrali e quindi possono rappresentare potenziali siti di scavo o di occultamento di corpi».[8]

… la soluzione era nel vino

In ogni caso, allora, le risposte alla domanda aperta del racconto sul Moizio di Soldati, erano entrambe là nel vino (nelle piante…), non usando la Malvasia[9], sotto la quale era sepolto il cadavere: il vino avrebbe avuto un sapore diverso proprio per la mancanza di quest’uva, e usandola invece avrebbe avuto allo stesso modo un sapore diverso perché l’uva della vite avrebbe assunto un gusto diverso.

Malvasia

Vigna di Malvasia a Salina (SiciliaFan.it)
Venezia, Calle della Malvasia
F. de Witt, Monemvasia, 1680, Amsterdam, 1680 (al momento della dominazione di Venezia). Monemvasía, in italiano Malvasia), è una località della Grecia situata all’estremità della Laconia nella regione del Peloponeeso

Note

[1] Scrittore e regista cinematografico, recita il sito ufficiale www.mariosoldati.it

[2] In corsivo il testo originario di Mario Soldati.

[3] www.welcomesarzana.it

[4] Grazie anche alla collaborazione di Anna Cardini Soldati.

[5] Che avviene dopo le fasi dell’autolisi (autodistruzione dei tessuti) e dell’autodigestione.

[6] Greenreport 10–9–2020

[7] Focustech 6–9–2020

[8] Di Giulia Diamanti 19 gennaio 2021 Repubblica

[9] La diffusione della Malvasia è dovuta ai commerci secolari di Venezia (esiste ancora Calle de la Malvasia, e dove i bar una volta si chiamavano “malvasie”) in tutto il Mediterraneo, fino a diventare in alcuni periodi il vino più popolare in Europa: «Dio non sta con un randello dietro di te, ma ti è davanti con un bicchiere di Malvasia», diceva Martin Lutero ai suoi fedeli (Kellerman editore).

Paolo Marcucci ha svolto tutta la sua esperienza lavorativa nel mondo bancario. È stato relatore a convegni/incontri a carattere economico, docenze a master universitari sul risk management. È stato assessore alla cultura e all’industria del Comune di Montelupo Fiorentino. Da sempre interessato alla storia e all’economia locale, la sua ultima pubblicazione è Storia della Banca Cooperativa di Capraia, Montelupo e Vitolini. Una banca territoriale toscana e l’economia locale al tempo della globalizzazione.

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Mario Mancini
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Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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