L’inventore di favole
Il caso deepfake di Stephen Glass a “The New Republic”
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Il film
Ispirato da un articolo di Buzz Bissinger su “Vanity Fair” nel settembre 1998
Film; ; regia di Billy Ray; con Hayden Christensen (Stephen Glass), Peter Sarsgaard (Charles ‘Chuck’ Lane), Steve Zahn (Adam Penenberg); 2003; 1h 34m
Il fake nel giornalismo esisteva ben prima dei social media e poteva trovar posto anche in testate come l’autorevole “The New Republic”, letto negli ambienti liberal. Il clamoroso raggiro dell’apprezzato giornalista della rivista poco più ventenne, che il film narra, non è fiction, ma quello che è davvero accaduto nel 1998. Il narratore di favole (ben 27 pezzi farlocchi su 41 pubblicati) è il brillante Stephen Glass. Peccato che viene sgamato dal reporter di “Forbes” Adam Penenberg. Attenzione a quello che si scrive. C’è sempre un Adam!
Il caso Stephen Glass a The New Republic
Come detto Stephen Glass è il protagonista del film L’inventore di favole, titolo originale Shattered Glass. Shattered Glass è anche il titolo dell’articolo di “Vanity Fair” che ricostruisce lo scandalo giornalistico che ha avuto al centro l’allora reporter del periodico “The New Republic”.
Nel 1998 nell’articolo di Glass Hack heaven (il paradiso dell’hacker), un giornalista di Forbes riscontrò numerose incongruenze. Non riuscì neppure a contattare le persone che erano state le fonti di Glass e neanche trovò traccia della casa di software indicata quest’ultimo come l’obiettivo dell’azione di hackerraggio.
La redazione di “Forbes” pubblicò un articolo che portò a un’indagine interna della direzione di “The New Republic” sugli articoli pubblicati da Glass sulla rivista. Da questa indagine emerse che ben 27 articoli contenevano situazioni, persone e particolari completamente falsificati o inventati di sana piana dal giornalista.
Glass fu licenziato dal giornale e gli fu revocata anche la licenza per esercitare la professione giornalistica. Di seguito riportiamo il primo dei due comunicato dell’allora direttore “The New Republic”, Charles Lan, sul caso Glass.
Primo comunicato del direttore di “The New Republic”
Il “New Republic” è sempre stato un giornale rigoroso: rigoroso riguardo all’onestà intellettuale e rigoroso nel dire la verità. Non abbiamo esitato a biasimare chiunque quando, a nostro giudizio, abbiamo visto trasgrediti questi principi. Ma sappiamo che questa severità, che è parte integrante della tradizione di questa istituzione vecchia di 84 anni, non può essere credibile se non siamo disposti ad applicarla a noi stessi quando è il caso.
E adesso è il caso.
Dobbiamo essere rigorosi con noi stessi nel riconoscere che dal numero datato 25 dicembre 1995 al numero datato 18 maggio 1998, e sotto la direzione di tre diversi direttori, Andrew Sullivan, Michael Kelly e Charles Lane (in carica), il New Republic ha pubblicato 41 articoli di Stephen Glass che probabilmente contengono falsità.
Questi direttori erano in buona fede nel pubblicare il lavoro di un giornalista promettente, un giovane con un talento per l’osservazione e il modo accattivante di raccontate storie con aneddoti coloriti. Tuttavia, ora sappiamo con certezza che, almeno in un’occasione — nell’articolo di Glass, Hack Heaven, (18 maggio 1998) — la sua storia su presunti pagamenti da parte di aziende informatiche a hacker non era il frutto di uno spirito di osservazione acuto o di una coraggiosa indagine. L’intero articolo è stato inventato di sana pianta. Glass ha fatto delle ammissioni parziali; la conferma è giunta da un’indagine interna condotta dalla redazione.
Per dare credito dove credito è dovuto: la nostra indagine è stato sollecitata da un’inchiesta condotta dai reporter del sito web della rivista “Forbes”, il Forbes Digital Tool, i quali ci hanno contattato per comunicarci che non erano riusciti a trovare conferma di nessuno dei fatti citati nell’articolo di Glass.
Ritrattiamo l’articolo e ci scusiamo per averlo pubblicato. Stephen Glass è stato licenziato dalla sua posizione di redattore associato.
Anche una sola violazione dei nostri standard non è tollerabile. Purtroppo, un’indagine preliminare sul lavoro precedente di Glass suggerisce che potrebbero esserci altre situazioni simili. Sulla base di tali indagini, ora crediamo che altri due articoli pubblicati di recente sulle nostre pagine non siano corroborati da prove fattuali. Si tratta di Monica Sells, il resoconto di Glass su una presunta convention politica a Rockville, Maryland (13 aprile 1998), e Plotters, il resoconto di Glass su un presunto incontro di attivisti anti-Clinton in Virginia (23 febbraio 1998). Inoltre, crediamo che Glass abbia inventato gli episodi iniziali dell’articolo Praised Be Greenspan (30 marzo 1998), riguardante supposte attività d’investimento a New York. Vogliamo scusarci anche per la pubblicazione di questo materiale.
Ricontrollare le storie di Glass è un processo laborioso. Ma siate certi che continueremo a indagare su tutto il lavoro che Glass ha fatto per questa rivista.
Come è potuto accadere? È una domanda perfettamente legittima. Ce l’hanno fatta ripetutamente da quando abbiamo informato la stampa dell’allontanamento di Glass, e ci aspettiamo di doverla affrontare ancora e ancora. Ce lo stiamo chiedendo anche noi stessi. La direzione del “New Republic”, come quelli di altre riviste, ha elaborato procedure di verifica dei fatti per garantire l’accuratezza del materiale pubblicato. In generale, crediamo che il nostro lavoro in questo senso sia stato buono. Tuttavia, chiaramente, le misure che abbiamo preso non sono state sufficienti a impedire che le fabbricazioni di Glass uscissero sulla rivista. Intendiamo scoprirne il motivo e adottare le misure correttive necessarie.
Noi direttori ci assumiamo la responsabilità per non aver impedito a questo materiale falso di uscire. Ma è importante capire che i nostri sistemi di editing e di verifica dei fatti sono progettati per difenderci da errori e imperfezioni che si verificano anche nel lavor di buoni professionisti. Questi sistemi non possono niente contro le frodi sistematiche e intenzionali di qualcuno che in realtà non ha alcun interesse a praticare un giornalismo professionale.
Abbiamo dato per acquisito che nessuna persona che si definisce giornalista, tanto meno un membro della nostra famiglia di “The New Repoublica, avrebbe potuto rapportarsi con noi su basi diverse. Nel caso di Stephen Glass, questa certezza non era giustificata. Per ragioni conosciute solo a lui, Glass ha messo in atto un’azione deliberata e sofisticata, come quella della falsificazione di documenti e appunti, per ingannare i nostri direttori e sfuggire ai nostri verificatori dei fatti.
Guardando al futuro, il nostro impegno nei vostri confronti, lettori, è fare tutto il necessario per ripristinare la fiducia che potrebbe essere andata perduta dopo questa situazione straordinaria. Siamo costernati per il fatto che le falsità di Glass siano entrate nelle nostre pagine. Ma, una volta che abbiamo sospettato dell’esistenza di tali falsità abbiamo immediatamente aperto un’indagine. E una volta stabiliti i fatti, abbiamo prontamente rimosso il colpevole e abbiamo riconosciuto pubblicamente il problema. La tradizione rigorosa del “New Republic” non richiedeva nient’altro che questo.
Il caso Jayson Blair a “The New York Times”
Nel 2003, il New York Times ammise che il 27enne Jayson Blair, uno dei suoi giovani reporter, aveva commesso, nel corso di diversi anni, ripetuti falsi in alcuni dei suoi 600 articoli scritti per il quotidiano. I giornalisti del “Times” scoprirono problemi in almeno 36 dei 73 articoli scritti da Blair dall’inizio del suo incarico come corrispondente nazionale.
Falsi che erano sfuggiti al public editor del “New Yotk Times”.
Il Public Editor è una sorta di ombudsman, cioè una figura indipendente all’interno di una testata con l’incarico di valutare la correttezza e l’etica del giornalismo prodotto dai giornalisti. È una figura d’intermediario tra il pubblico e la redazione, con la responsabilità di tutelare i lettori riguardo all’accuratezza, alla oggettività e all’obiettività delle notizie pubblicate.
In un lungo articolo che rifletteva l’opinione della direzione e della redazione, il giornale riconobbe che “le falsificazioni e il plagio rappresentano un tradimento profondo della fiducia e il punto più basso nei 152 anni di storia del giornale”
Blair si dimise immediatamente a seguito dell’incidente. Così fecero due direttori del giornale, Howell Raines, il direttore esecutivo, e Gerald M. Boyd, il direttore responsabile.