L’incontro tra i ghiacci tra Peroni e Ken Parker
di Paolo Marcucci
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Il fascino del Grande Nord
Tutte le conversioni[1], si sa, rendono gli uomini interessanti e così, come Sant’Agostino che dalle lusinghe del piacere è arrivato ad essere uno dei padri della Chiesa, anche Robert Peroni ricorda questo tipo di percorso, di viaggio, che dalle calde notti estive dei locali, lo ho portato tra i ghiacci della Groenlandia.
Peroni, ex-alpinista ed esploratore altoatesino, uno sportivo conosciuto in tutto il modo negli anni ’80 per i suoi record. Robert è stato un uomo che amava la bella vita, le macchine, le donne e la fama. Finché un giorno in una delle sue missioni non conosce la Groenlandia e si trova a contatto con un popolo dalle tradizioni millenarie e con uno spirito di adattabilità che non aveva mai visto. Robert si trasferisce in Groenlandia agli inizi degli anni ’90, ed acquista una piccola casetta di legno rosso. La Casa Rossa diventa un rifugio-albergo per esploratori e turisti, un campo base per organizzare escursioni, situato nella regione di Ammassalik nella Groenlandia orientale[2].
«Fino al 1981 non esisteva il turismo, per sbarcare in Groenlandia serviva un permesso. Insistettero perché comprassi una baracca di 4 metri per 6 su questa collina. Ne ho aggiunte altre cinque, sino ad avere 55 letti. Non me ne pento: dalle finestre vedo 12 ghiacciai. Io non volevo venirci. Ci arrivai d’estate come guida di un gruppo internazionale e mi fermai per un mese. Credevo che fosse piatta. Invece ci trovai monti Bianchi, Rosa e Cervini a bizzeffe».[3]
Leggendo il racconto di Peroni, sembra di rivivere incredibilmente le storie, questa volte inventate, di un protagonista del fumetto italiano, Ken Parker, del periodo ambientato nel ghiaccio dell’Alaska, che accomuna i due protagonisti nelle loro scelte e reazioni al mondo che li circonda: un mondo duro, difficile, ma che reca in sé anche il rapporto umano che l’ambiente naturale estremo tira fuori.
È il mondo del fascino del “Grande Nord” che unisce Parker e Peroni, quello delle sterminate distese di neve, di fiumi gelati che rimandano alle atmosfere raccontate da Jack London:
«La Natura ha molti espedienti per convincere l’uomo dei suoi limiti — l’incessante scorrere delle correnti, la furia dei temporali, il sussulto del terremoto, il lungo rullio dell’artiglieria del cielo — ma il più tremendo, il più sconvolgente è la passività del Silenzio Bianco. Ogni movimento cessa: il cielo è limpido, l’aria tersa, il più lieve bisbiglio sembra sacrilegio, e l’uomo diventa timido, terrorizzato al suono della propria voce».[4]
Ken Parker, creato da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo è un personaggio particolare, vagamente crepuscolare, che parte dal genere western ambientato nell’America del Nord, in un tempo che va dal 1868 al 1908, per arrivare anche fino in Alaska e fare il cacciatore di balene.
Proprio l’omaggio al Moby Dick di Melville, nell’episodio Caccia sul mare, dove lavora sulla baleniera New England alla caccia di cetacei, gli fa incontrare Nanuk, l’inuit con cui, in seguito al naufragio della nave, senza viveri né attrezzature, approderanno a terra e verranno salvati da una tribù di eschimesi nei ghiacci del nord, con i quali divideranno un intero inverno. Forti e drammatiche esperienze, ma che faranno anche nascere una straordinaria amicizia.
E Nanuk, tra i molti riferimenti cinematografici delle storie di Ken Parker, viene tratteggiato ispirandosi al Dersu Uzala di Kurosawa (e lo stesso protagonista ricorda Robert Redford del Corvo Rosso).
Simboli di un futuro sostenibile
La Casa Rossa è diventata nel tempo anche un punto di riferimento per gli Inuit (che nella loro lingua significa Uomo[5]) che abitano questa zona della Groenlandia, che era, in concreto, isolata dal resto del mondo fino quasi al Novecento, e che poi, inevitabilmente, ha subito la pressione della società occidentale sulle tradizioni e abitudini che ne avevano consentito la sopravvivenza.
L’idea è stata quella di costruire sulla Casa anche proposte di turismo sostenibile, con trekking, sci, alpinismo, cani da slitta, escursioni in barca tra i ghiacci e le balene.
«La mia non è la soluzione del problema. Giovani che gettano via la loro vita ci sono ancora, e il tasso di povertà è drammatico. La mia vuole però essere la dimostrazione che si può immaginare un futuro per gli Inuit passando per un turismo responsabile, valorizzando la loro terra, così inospitale ma così meravigliosamente bella.
Mi sento uno di loro, e me lo dimostrano ogni volta che mi abbracciano e mi annusano: con le narici infatti respirano l’anima dell’altro, e saldano nel più profondo il rapporto di lealtà e amicizia. Anche se ero un bianco, un occidentale, non ho imposto i miei standard e non li ho considerati un popolo rozzo, primitivo. Anzi, ho cercato di farmi contaminare in tutto. E sono stati loro a dirmi di restare, a farmi capire che il mio posto era qui».
Analogamente il personaggio di Ken Parker vive la sua esperienza rispettando le tradizioni non sue, ma aperto a imparare e gli Inuit lo considerano uno di loro, riceve addirittura il soprannome di Kenissuak, cioè di capo quando si mettono contro i norvegesi massacratori di foche.
Gli effetti dell’influenza occidentale si sono manifestati in maniera crescente a partire dal bando della caccia alla foca e il relativo commercio di pelli, sotto la pressione di Greenpeace e dai movimenti ambientalisti, anche per i massacri dei bracconieri canadesi. Disoccupazione, depressione, suicidi e alcolismo sono vere piaghe sociali. Peroni ha capito bene il problema del bere:
«Voglio far vedere che non bevo. L’etilismo è una piaga fra gli inuit. Sono di stirpe mongola, nel fegato non hanno l’enzima che neutralizza l’alcol. Bevono quattro bicchieri di birra e svengono».
Qui si è sempre mangiata la foca. Sempre e solo foca. E la foca si mangia perché la si caccia. È una cosa normale, fa parte della cultura e della sopravvivenza di questo popolo. Alla fine degli anni Settanta il Wwf aveva intrapreso una campagna in difesa degli animali del Polo chiedendo ad alcuni Paesi di interrompere l’eccidio delle foche. Un’iniziativa lodevole. Che però ha danneggiato gravemente gli Inuit. Proibire la caccia, anche se poi è stata ripristinata, li ha segnati: la foca per loro era tutto, dava cibo e pelli, anche da esportare. Poi, la Danimarca ha cominciato a dare sussidi: una piccola rendita e una casa di cemento. Ma gli Inuit non cercavano soldi. Per secoli hanno cacciato e ora non avevano più nulla da fare: andavano a ritirare il sussidio e si ubriacavano»[6].
Il punto di vista di chi vive sul territorio è sempre fondamentale per capire la realtà dei luoghi e avere 15 fucili in casa come Peroni diventa una necessità per difendersi, per esempio, dagli orsi:
«Servono per sparare in alto e spaventare gli orsi bianchi. Non pratico la caccia. Sono diventati aggressivi. Non trovando da mangiare al Nord, scendono al Sud. Il primo censimento avvenuto tre anni fa sulla costa orientale, dove abito, ha dimostrato che sono dieci volte più numerosi di quanto asserisce Greenpeace nelle sue statistiche».
L’accusa agli Inuit di sterminare gli orsi, le foche, le balene non ha mai convinto Peroni:
«L’etica della caccia è tutto, per loro. Se devono uccidere un orso bianco, dopo avergli sparato si scusano. Lo prendono per le orecchie, lo fissano negli occhi e gli dicono: “Tu ci hai insegnato a sopravvivere nel grande freddo. Oggi eravamo più forti noi e avevamo fame. Ma non volevamo farti del male. Perdonaci”».
Anche per se stessi applicavano le dure leggi della selezione naturale, per la limitazione demografica:
«È così. Quando arrivai nel 1981, i cacciatori partivano in barca per battute che duravano un anno. I vecchi malandati salivano a bordo con loro e si facevano abbandonare senza cibo nei luoghi più remoti. Si suicidavano così. Non molto cristiano. Ma era una forma di etica arcaica: si sacrificavano per lasciare il posto ai giovani».
«Questa vita a -43 gradi è un dono del cane che morì per me. Era il cane guida dei miei 11 groenlandesi da slitta, razza incredibile, dotata di un sesto senso. Io, ricoverato all’ospedale di Bolzano, stavo per morire. Miki prese a latrare in un modo mai udito prima. Gli inuit parlarono con lui. E conclusero che la sua vita equivaleva alla mia vita. Lo uccisero. Guarii in quel preciso istante».
Il rapporto magico e speciale dell’uomo con i cani è millenario, Argo muore dopo che Ulisse è tornato a casa, e anche Ken Parker nell’episodio di Lily e il cacciatore, ferito e senza cibo, sopravvive nei boschi innevati grazie alla generosità della cagnetta in cui si è imbattuto.
Le condizioni sono estreme:
«Oggi sono nove sottozero. Di solito è meno 18. Nelle traversate anche meno 43. I venti catabatici arrivano a 250 chilometri orari di velocità. Negli anni Sessanta spazzarono via mezza Tasiilaq. La notte scorsa soffiavano a 100, sono caduti altri 2 metri di neve. Sembrava il paradiso».
I cambiamenti climatici hanno effetti anche lassù:
«Leggo di gas nocivi, di buco nell’ozono, ma non sono un esperto, perciò non posso giudicare. Dalla Nasa ci hanno avvertito che il freddo aumenterà. Infatti da tre anni l’estate è molto meno calda. Dalla mia finestra vedo ghiacciai più vasti di quando in passato ci andavo a sciare.
La vita in Groenlandia non è mai stata facile. Siamo fuori dal mondo, in un Paese che per il 99 per cento è disabitato, e gli inuit non conoscono la parola futuro. Non temo il silenzio, parlo con il vento. Mi porta ancora la voce di Gudron: “L’hai sentito stanotte? Qualcuno ha bisogno di aiuto”. Fa tremare le pareti della casa, a me sembra un cavallo che freme per partire per le vette e da lì superi l’orizzonte».
Note
[1] La conversione, naturalmente, può anche fare la via inversa, come ci insegna la vita di Mirabeau (Honoré Gabriel Riqueti, conte di Mirabeau, 1749–1791) che fu uno scrittore, diplomatico, rivoluzionario, agente segreto e uomo politico francese. Nato da famiglia nobile non seguì i modelli sociali e visse in modo avventuroso con la ricerca dei piaceri del corpo come guida di vita, forse anche per avere perso la causa con la moglie che aveva chiesto proprio la separazione dei corpi.
[2] Francesco Catarinolo, nella presentazione del film La casa rossa (Film Commission Torino e Regione Piemonte).
[3] Interviste di Stefano Lorenzetto , Il Corriere della sera, 16/2/2021 e Federico Taddia, La Stampa, 29/9/2011
[4] Jack London, Silenzio bianco (1900)
[5] Una delle storie di Ken Parker dove c’è Nanuk, si chiama appunto Il popolo degli uomini, come dall’immagine d’apertura pubblicata.
[6] Stefania Culurgioni, Agensir, 1 novembre 2019
Paolo Marcucci ha svolto tutta la sua esperienza lavorativa nel mondo bancario. È stato relatore a convegni/incontri a carattere economico, docenze a master universitari sul risk management. È stato assessore alla cultura e all’industria del Comune di Montelupo Fiorentino. Da sempre interessato alla storia e all’economia locale, la sua ultima pubblicazione è Storia della Banca Cooperativa di Capraia, Montelupo e Vitolini. Una banca territoriale toscana e l’economia locale al tempo della globalizzazione.