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L’impero dei sensi

6 film con contenuto erotico

Mario Mancini
13 min readApr 19, 2025

Vai agli altri articoli della serie “Indovina chi viene a cena? Il grande cinema

Paul: Non ho nome.
Jeanne: Vuoi sapere il mio?
Paul: No, no! Sta’ zitta, non dire niente! Io non voglio sapere come ti chiami! Tu non hai nome, io nemmeno! Nessun nome! Qua dentro non ci sono nomi! Non esistono nomi! Capito?
Jeanne: Lei è pazzo!
Paul: Forse lo sono. Però non voglio sapere niente di te. Non voglio sapere dove abiti, con chi abiti, da dove vieni. Non voglio sapere niente, niente di niente! Siamo intesi?
Paul a Jeanne al primo incontro, in “Ultimo Tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci

ULTIMO TANGO A PARIGI

2 candidature all’Oscar e due al Golden Globe
Film; 1972; regia di BERNARDO BERTOLUCCI; con Marlon Brando (Paul), Maria Schneider (Jeanne), Jean-Pierre Léaud (Tom), Massimo Girotti (Marcel), Maria Michi (madre di Rosa); 2h 9min
Prime Video

La danza erotica di Brando e Schneider ci porta al cuore dell’abisso umano con una sincerità che ancora oggi risulta sconvolgente.
“Il Manifesto”

L’erotismo come atto di dominio

Il film di Bertolucci rappresenta una pietra miliare nella storia del cinema per il suo approccio all’erotismo, tanto rivoluzionario quanto controverso. Il film narra la relazione sessuale tra Paul (Marlon Brando), un americano di mezza età devastato dal suicidio della moglie, e Jeanne (Maria Schneider), una giovane parigina che è fidanzata con regista, Tom (Jean-Pierre Léaud).

L’erotismo nel film non è mai fine a se stesso o estetizzante, ma si presenta come un terreno di scontro esistenziale, dove il sesso diventa linguaggio primordiale di comunicazione tra due persone in crisi. L’appartamento vuoto dove i protagonisti s’incontrano diventa uno spazio metaforico, separato dalla realtà quotidiana, dove l’identità viene sospesa (Paul impone il divieto di rivelare i nomi) e in quell’ambiente il desiderio può manifestarsi senza freni.

Bertolucci rappresenta l’eros come forza primordiale, talvolta brutale, spogliata delle convenzioni sociali e romantiche. Le scene intime sono crude, prive di musica, filmate con una fotografia naturalistica che intensifica il senso di realtà fisica. L’erotismo emerge non tanto dalla sensualità quanto dall’intensità emotiva e dalla fragilità dei corpi.

La sequenza più controversa, quella della noce di burro, rimane emblematica dell’approccio del regista: utilizzare l’erotismo come strumento di provocazione e rottura dei tabù. Questa scena, che ha generato scandalo e censure, rappresenta il culmine del dominio psicologico di Paul su Jeanne, un atto di umiliazione sessuale che trascende il semplice erotismo per diventare espressione di rabbia, dolore e nichilismo. Si è poi appreso che scena non era consensuale da parte di Maria Schneider.

Il film esplora anche come il dominio sessuale si intersechi con questioni di genere e potere. Paul utilizza il sesso come strumento per esprimere la sua rabbia verso le donne e la società, mentre Jeanne oscilla tra sottomissione e ribellione. L’erotismo diventa così specchio delle dinamiche sociali e psicologiche più ampie.

Bertolucci utilizza tecnicamente l’erotismo attraverso un linguaggio cinematografico innovativo: primi piani intimi e prolungati che prescindono dalle esigenze narrative , movimenti di macchina che avvolgono i corpi, e un montaggio che alterna momenti di cruda carnalità a pause di silenzio e alienazione.

L’erotismo del film si distingue anche per come si intreccia con la dimensione esistenzialista: il desiderio sessuale è un tentativo disperato di colmare un vuoto interiore. Paul cerca di annullarsi nel sesso per sfuggire al dolore, mentre Jeanne esplora i confini della propria identità attraverso questa relazione trasgressiva.

Nella sua rappresentazione dell’erotismo, “Ultimo Tango” sfida la distinzione tra arte e pornografia, ponendo questioni fondamentali sul ruolo del corpo e della sessualità nel cinema d’autore. Bertolucci ha saputo trasformare l’erotismo in un potente veicolo narrativo per esplorare temi come l’alienazione urbana, il conflitto generazionale e la crisi dell’identità maschile nel mondo contemporaneo.

L’epilogo vede l’impossibilità di separare l’erotismo dalle sue conseguenze emotive e sociali, mostrando come il tentativo di vivere una sessualità completamente libera dalle convenzioni sociali sia destinato al fallimento in un mondo dove identità personale e ruoli sociali rimangono fortemente legati.

ECCO L’IMPERO DEI SENSI

Film; 1976; regia di NAGISA ŌSHIMA; con Eiko Matsuda (Sada Abe), Tatsuya Fuji (Kichizo Ishida); 1h 92min
Prime Video (CG Collection)

Ōshima cattura l’intimità dei corpi con una precisione quasi scientifica, trasformando l’atto sessuale in un rituale di trascendenza spirituale.
“Le Monde”

L’annullamento nella dimensione erotica

Il regista giapponese Nagisa Ōshima rappresenta uno dei più audaci e discussi esperimenti cinematografici sulla rappresentazione dell’erotismo. Realizzato nel 1976, il film racconta la vera storia dell’ossessiva relazione tra l’ex geisha Sada Abe e il suo datore di lavoro Kichizō Ishida nella Tokyo degli anni ‘30.

Ciò che distingue immediatamente “L’impero dei sensi” da altre opere erotiche è la sua rappresentazione non simulata degli atti sessuali. Ōshima oltrepassa deliberatamente il confine tra rappresentazione e realtà, creando un’opera che sfida la distinzione tra cinema d’autore e pornografia. Questo approccio trasgressivo è, però, funzionale alla narrazione: l’erotismo diventa il linguaggio primario attraverso il quale i due protagonisti comunicano e si definiscono.

Il film vede nell’erotismo la forza totalizzante e globalizzante che conduce all’annullamento del mondo esterno. I due amanti si isolano progressivamente dalla società giapponese pre-bellica, costruendo un universo chiuso dove esistono solo il piacere e l’ossessione reciproca di darselo. I rituali erotici diventano sempre più estremi ed elaborati, trasformandosi in una ricerca quasi mistica che trascende il semplice piacere fisico e vira verso la spiritualità.

Ōshima intreccia da par suo l’erotismo con temi culturali profondamente giapponesi. La relazione tra Sada e Kichizō riflette la tensione tra giri (dovere sociale) e ninjo (desiderio individuale), mettendo in luce come la passione erotica rappresenti una completa sovversione degli obblighi sociali. L’asfissia erotica, elemento centrale nella tragica conclusione della relazione ossessiva tra Sada e Kizicho, richiama il concetto di “piccola morte” portato alle estreme conseguenze.

Sul piano visivo, il regista costruisce un’estetica dell’erotismo unica nel cinema: inquadrature ravvicinate dei corpi che si congiungono, una palette cromatica dominata da rossi intensi e una meticolosa attenzione agli oggetti che diventano essi stessi estensioni del desiderio. La macchina da presa non si limita a osservare, ma partecipa all’intimità dei protagonisti, creando un rapporto voyeuristico con lo spettatore.

Diversamente da molte opere erotiche occidentali, “L’impero dei sensi” non moralizza né romanticizza. L’erotismo è presentato come una forza ambivalente: liberatoria e distruttiva, sacra e profana. Il piacere sessuale diventa un territorio di esplorazione esistenziale, dove i confini tra vita e morte, dominio e sottomissione si dissolvono.

La dimensione politica dell’erotismo è fondamentale nell’opera di Ōshima. In un Giappone militarista e imperialista, la relazione tra i protagonisti rappresenta un atto di resistenza contro l’oppressione sociale. L’ossessiva ricerca del piacere diventa metafora di libertà individuale in una società rigidamente gerarchica, normativa e autoritaria.

Il finale scioccante, con Sada che evira il partner morto, trascende il semplice erotismo trasformandosi in un atto di possesso definitivo. Questo gesto estremo simboleggia il culmine dell’ossessione erotica: quando il desiderio di possedere l’altro diventa così totale da superare i confini tra vita e morte.

Con la sua rappresentazione radicale dell’erotismo come territorio di trasgressione, liberazione e autodistruzione, “L’impero dei sensi” rimane un’opera fondamentale che ha ridefinito i confini tra arte e tabù, lasciando un’impronta indelebile nella storia del cinema.

EYES WIDE SHUT

Tratto liberamente dal romanzo Doppio sogno di Arthur Schnitzler
Film; 1999; regia di STANLEY KUBRICK; con Tom Cruise (dott. William “Bill” Harford), Nicole Kidman (Alice Harford), Sydney Pollack (Victor Ziegler), Marie Richardson (Marion), Rade Šerbedžija (sig. Milich), Todd Field (Nick Nightingale), Vinessa Shaw (Domino); 2h 38min
NowTV

Un’odissea notturna nell’inconscio erotico dell’America benestante.
“Cahiers du Cinéma”

L’erotismo cerebrale

”Eyes Wide Shut”, l’ultimo capolavoro di Stanley Kubrick, esplora l’erotismo in una dimensione profondamente psicologica, trasformandolo in un modo per indagare le complessità del desiderio umano, la fragilità del matrimonio e l’oscurità che si cela dietro le maschere sociali.

Contrariamente a molti film che rappresentano l’erotismo in maniera esplicita, Kubrick sceglie un approccio più cerebrale e onirico. L’erotismo di “Eyes Wide Shut” si manifesta più nell’anticipazione e nella suggestione che nell’atto fisico stesso. Il titolo stesso è emblematico: gli occhi sono aperti ma simultaneamente chiusi alle verità che ci circondano, specialmente quelle riguardanti la sessualità e il desiderio.

La confessione di Alice Harford (Nicole Kidman) riguardo a una sua fantasia erotica mai realizzata diventa il catalizzatore che spinge suo marito Bill (Tom Cruise) in un viaggio notturno attraverso New York. Questo viaggio è essenzialmente un percorso della psiche, dove ogni incontro rappresenta una sfaccettatura del desiderio umano: dalla figlia del paziente deceduto che gli dichiara amore, alla prostituta Domino, fino all’apice rappresentato dall’orgia mascherata.

La sequenza dell’orgia nella villa è il culmine dell’esplorazione dell’erotismo nel film. Kubrick crea una cerimonia ritualistica che fonde elementi religiosi e pagani, dove la nudità femminile viene esibita come oggetto di contemplazione e possesso. L’uso delle maschere veneziane trasforma i partecipanti in archetipi, spogliandoli della loro individualità mentre paradossalmente ne rivela le pulsioni più intime. La colonna sonora inquietante, con il suo canto rituale, accentua la sensazione di trovarsi in uno spazio che si divide tra realtà e incubo.

Ciò che rende l’erotismo di “Eyes Wide Shut” così disturbante è la sua connessione con il potere e la classe sociale. La sessualità diventa una forma di valuta in un mondo dove tutto può essere comprato e scambiato, inclusi i corpi e il piacere. Kubrick suggerisce che dietro la facciata dell’alta società newyorkese si nasconde un nucleo di perversione morale, dove l’erotismo è indissolubilmente legato a manipolazione e controllo sociale.

Il film esplora anche la tensione tra fantasia e realtà erotica. La gelosia di Bill nasce da un atto sessuale che non è mai avvenuto, esistente solo nell’immaginazione di Alice. Questa ossessione per l’infedeltà immaginaria lo conduce a situazioni dove lui stesso è tentato, ma mai consumato — un’altra manifestazione dell’erotismo frustrato che pervade il film.

Visivamente, Kubrick rappresenta l’erotismo attraverso una fotografia particolare, dominata da luci di Natale e tonalità blu-rosse che creano un’atmosfera simultaneamente festiva e sinistra. I corpi nudi sono presentati con una qualità quasi pittorica, reminiscente della tradizione figurativa europea.

Il finale del film, con Alice che suggerisce che ciò di cui hanno bisogno dopo tutti questi eventi è “scopare”, offre una conclusione ambigua ma catartica. L’erotismo, suggerisce Kubrick, può essere tanto una forza distruttiva quanto un elemento di riconciliazione, tanto un territorio di alienazione quanto di intimità autentica.

NUOVO OLIMPO

Film; 2023; regia di FERZAN ÖZPETEK; con Damiano Gavino (Enea Monti), Andrea Di Luigi (Pietro Ghirardi), Luisa Ranieri (Titti), Giancarlo Commare (Ernesto/Molotov); 1h 42min
Netflix

Un omaggio al potere salvifico del cinema e dell’amore. Una storia intima che diventa universale, capace di emozionare senza mai scadere nel sentimentalismo.
“MYmovies”

L’erotismo come memoria

Nel suo film per Netflix, Ferzan Özpetek offre una rappresentazione dell’erotismo che spicca per la sua delicata poeticità e la profonda connessione con la memoria e il tempo. Ambientato nella Roma di fine anni ’70, il film narra l’incontro e la successiva separazione di Enea e Pietro, due giovani i cui destini si incrociano nel cinema che dà il titolo all’opera.

Nella vicenda narrata da Özpetek si cela probabilmente un elemento autobiografico. Un indizio significativo in tal senso potrebbe essere la scelta di far diventare Enea un apprezzato regista cinematografico, circostanza che suggerisce un parallelismo con il percorso professionale dello stesso Özpetek.

In “Nuovo Olimpo”, l’erotismo si manifesta primariamente attraverso lo sguardo: è nell’intensità degli occhi dei protagonisti che si accende il desiderio che precedente il contatto fisico. Özpetek filma questi momenti di riconoscimento con una sensibilità inusuale, trasformando un semplice incrocio di sguardi nella penombra della sala cinematografica in un evento carico di tensione erotica. Questa scelta estetica riflette la concezione registica dell’erotismo come fenomeno che trascende la mera fisicità per elevarsi a espressione di un’intimità più profonda.

Le scene di intimità fisica tra i protagonisti sono illuminate da una luce calda e soffusa che crea un’atmosfera onirica, come sospesa in una dimensione atemporale. Özpetek privilegia i primi piani sui volti durante questi momenti, con l’intendo di cogliere le impercettibili espressioni di vulnerabilità. Questa tecnica trasforma l’erotismo in un’esperienza contemplativa piuttosto che voyeuristica.

Il contesto storico-sociale della Roma degli anni ’70 conferisce all’erotismo omosessuale rappresentato nel film una dimensione di clandestinità che ne esalta la carica emotiva.

Il cinema “Nuovo Olimpo” stesso si configura come un un altro spazio, uno spazio liminale di trasgressione dove il desiderio può manifestarsi liberamente, celato dall’oscurità della sala e dal temporaneo anonimato che essa offre.

La forzata separazione dei protagonisti trasforma gradualmente l’erotismo vissuto in un erotismo rievocato. Özpetek mostra come il desiderio possa persistere attraverso i decenni, alimentato dalla memoria e dall’idealizzazione dell’amato. I flashback delle scene intime assumono così il senso quasi di spettri, nel corso degli anni divengono ancora più vivide, in un processo che potremmo definire di “erotizzazione della memoria”.

Quando i protagonisti si ritrovano in età adulta, l’erotismo si ammanta di una nuova complessità: è un desiderio che si confronta con l’ineluttabile trascorrere del tempo, con la mutata fisicità, con le esistenze portate avanti separatamente. Özpetek rappresenta questo tardivo ricongiungimento con grande delicatezza, suggerendo come l’erotismo possa persistere anche nella semplice condivisione dello spazio e nel mutuo riconoscimento che trascende le barriere temporali.

La colonna sonora, piena di atmosfere malinconiche, contribuisce a dare rilievo alla nostalgia che caratterizza tutto il film. Le canzoni italiane degli anni ’70 si integrano profondamente nell’esperienza sensoriale, evocando un’epoca di liberazione e scoperta.

BELLA DI GIORNO

Leone d’Oro al Festival di Venezia
Film; 1967; regia di Luis Buñuel; con Catherine Deneuve (Séverine Serizy), Jean Sorel (Pierre Serizy), Michel Piccoli (Henri Husson)), Geneviève Page (Madame Anais, Pierre Clémenti (Marcel), Françoise Fabian (Charlotte), Macha Méril Renée); 1h 41m
Internet Archive

Catherine Deneuve regala una performance di straordinaria complessità, oscillando tra glaciale distacco e febbrile vulnerabilità.
“The New York Times”

L’erotismo represso

In “Bella di Giorno” l’erotismo è molto più di un mero elemento di scandalo. Luis Buñue lo eleva a linguaggio filmico sofisticato, attraverso il quale indaga le stratificazioni della psiche individuale e le contraddizioni della società borghese parigina degli anni ‘60.

Il film segue Séverine Serizy, una donna dell’alta borghesia interpretata da Catherine Deneuve. Nonostante l’affetto per il marito Jean, Séverine è emotivamente e fisicamente inaccessibile nella sfera intima. La sua frigidità nel rapporto matrimoniale, il suo essere paralizzata da un blocco emozionale contrasta con le sue fantasie erotiche, spesso connotate da dinamiche masochistiche. Questa frattura della personalità la spinge verso una doppia esistenza: di giorno, come “Belle de Jour”, inizia a frequentare una esclusiva casa di appuntamento, mentre di sera riassume il ruolo di moglie irreprensibile e devota.

Il fascino del film risiede proprio in questa irrisolta ambiguità di Séverine. Buñuel, però, non offre una chiave di lettura univoca. Lo spettatore resta sospeso nell’incertezza: ciò che vede è la realtà o una proiezione delle fantasie di Séverine? La sua decisione di prostituirsi rappresenta una liberazione oppure un’altra e più estrema forma di prigionia?

Per il tramite di questa ambiguità, il regista smaschera l’ipocrisia della borghesia. I clienti della casa di piacere sono stimati professionisti, uomini d’affari che, dietro la maschera della rispettabilità, celano desideri inconfessabili. Séverine stessa incarna questa dualità: l’eleganza dei suoi abiti firmati contrasta con l’esplosione dei suoi impulsi sessuali repressi.

Nonostante la sua reputazione, “Bella di Giorno” si distingue per una notevole pudicità visiva. Buñuel predilige la suggestione all’ostentazione, delegando allo spettatore un ruolo attivo nell’immaginare l’atto erotico. L’erotismo si manifesta attraverso dettagli apparentemente insignificanti: uno sguardo, un oggetto feticcio, il suono di un campanello. Emblematica è la misteriosa scatola che un cliente porta con sé: il contenuto non viene mai svelato, ma la reazione di Séverine, tra disgusto e fascinazione, comunica la capacità dell’erotismo di essere simultaneamente inquietante e attraente.

Nel più ampio contesto della filmografia di Luis Buñuel, il film si configura come una profonda e definitiva riflessione sull’eterna e insanabile impossibilità di armonizzare i desideri individuali, spesso irrazionali e sovversivi, con le norme imposte dalla società borghese. L’erotismo diviene la potente metafora di questa tensione e di stallo della condizione umana.

A distanza di decenni dalla sua realizzazione, “Bella di Gorno” mantiene intatta la sua capacità di turbare e di affascinare il pubblico contemporaneo, proprio perché il suo erotismo non si esaurisce mai in una sterile esibizione fine a se stessa, ma è costantemente posto al servizio di un discorso più ampio e universale sulla complessa dialettica tra la libertà individuale e i meccanismi di repressione sociale, sul potere ambivalente, sia liberatorio che potenzialmente distruttivo, del desiderio umano che giace sornione sotto la superficie delle nostre vite.

Il film fu rifiutato a Cabbes per poi aggiudicarsi il Leone d’Oro al Festival di Venezia del 1967.

HYSTERIA

Film; 2011; regia di Tanya Wexler; con Hugh Dancy (Mortimer Granville), Maggie Gyllenhaal (Charlotte Dalrymple), Rupert Everett (lord Edmund St, John-Smythe), Jonathan Pryce (dottor Dalrymple), Felicity Jones (Emily Dalrymple); 1h 40m
Prime Video

Irriverente, divertente e istruttivo, ‘Hysteria’ è una ventata d’aria fresca nel panorama delle commedie in costume.

Dalla cura al piacere

”Hysteria” è una divertente commedia storica che si svolge nella Londra vittoriana degli anni Ottanta del XIX secolo. Il film racconta con tono leggero e intelligente la storia dell’invenzione del primo vibratore elettromeccanico, un dispositivo inizialmente concepito come strumento medico.

La trama segue il giovane e ambizioso dottor Mortimer Granville (Hugh Dancy), un medico progressista che, dopo essere stato licenziato da vari ospedali per le sue idee moderne sull’igiene, trova impiego presso la clinica del dottor Robert Dalrymple (Jonathan Pryce), specializzata nel trattamento dell’isteria femminile.

L’isteria, all’epoca, era una patologia ritenuta femminile che si manifestava in una vasta gamma di sintomi, dall’irritabilità all’insonnia, dall’ansia alla depressione. Il trattamento consisteva in un “massaggio pelvico” manuale eseguito dal medico per indurre un “parossismo isterico” (in realtà un orgasmo), che temporaneamente alleviava i sintomi.

Granville diventa subito popolare tra le pazienti, ma sviluppa una tendinite debilitante a causa dei numerosi trattamenti manuali che deve eseguire quotidianamente. Ispirandosi da un massaggiatore elettrico inventato dal suo amico Edmund St. John-Smythe (Rupert Everett), Granville adatta il dispositivo per creare il primo vibratore, rivoluzionando così il trattamento dell’isteria.

Parallelamente alla trama scientifica, il film sviluppa una sottotrama romantica e sociale. Granville si trova diviso tra due sorelle: Emily Dalrymple (Felicity Jones), figlia maggiore del suo datore di lavoro, educata e conformista, e Charlotte Dalrymple (Maggie Gyllenhaal), la figlia ribelle che gestisce un centro di assistenza nel quartiere povero di Londra e lotta per i diritti delle donne e delle classi più svantaggiate.

“Hysteria” affronta con umorismo e leggerezza temi importanti come la repressione sessuale dell’epoca vittoriana, la disuguaglianza di genere nella medicina e nella società, e l’emergere dei primi movimenti femministi. Il film evidenzia l’ipocrisia di una società che medicalizzava la sessualità femminile mentre ne negava l’esistenza.

La regia di Tanya Wexler bilancia abilmente la commedia con momenti di riflessione più profonda. La scenografia e i costumi ricreano con precisione l’atmosfera vittoriana, mentre la colonna sonora sottolinea i momenti comici e romantici della storia.

Le interpretazioni sono eccellenti, con Dancy che offre un ritratto convincente di un medico progressista intrappolato tra convenzioni sociali e innovazione scientifica, e Gyllenhaal che brilla nel ruolo della femminista idealista ma pragmatica.

“Hysteria” è un film che, dietro la facciata di una commedia in costume, offre uno sguardo interessante sulla storia della medicina, della sessualità femminile e dei diritti delle donne. Nonostante alcune licenze creative rispetto alla vera storia dell’invenzione del vibratore, il film riesce a essere al contempo divertente ed educativo, rivelando come alcuni strumenti di piacere oggi considerati comuni abbiano avuto origine da una seria (per quanto errata) pratica medica di un’epoca passata.

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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