Libri: Capitolo 5 — Francesco Maria Gianni, La Costituzione toscana immaginata dal Granduca Pietro Leopoldo
Il progetto di costituzione toscana di Pietro Leopoldo
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Al benevolo lettore
Il dono, che in li faccio, o Lettor cortese è forse il più desiderabile, ed il più utile che io potessi mai, considerate le circostanze in alle quali ci troviamo, ed i bisogni, che ci stringono. A questi tempi, e di questi giorni molto abbiamo di leggi e di franchigie al Principe, che regge questa bella parte d’Italia; e dico molto paragonato al nulla, cui siamo stati contenti per lunga pezza e molto è forse paruto al Principe di donare. Ma se tu sapessi ritornare alla tua mente quale e quanta fu lasciata la tua patria dal grande Leopoldo, se potessi misurare l’altezza de’ benefici da questo benefattore dell’umanità compartiti, la presente condizione politica raffrontare con quella, tu diresti: i doni che ci si fanno oggi non sono più doni, ma restituzione di cosa tolta, o riordinamento di cosa che già era ordinata; la nostra eredità non è stata accresciuta, o conservata, ma piuttosto manomessa e diminuita. Non dimeno io vorrò, che tu li mostri contento a quello che ti si è fatto ma non già, che tu li creda di non dovere altra cosa, desiderare e volere. Le buone leggi, e se tu vuoi, le generose e sapienti istituzioni di principi, non hanno in sé la ragione della loro durata, se non in quanto piace al Principe che le dettò di mantenerle, perché sieno esse un vero e durabile beneficio, e bisogno che non si possano di capriccio di uno o di pochi distruggere; c’è bisogno di una legge che le garantisca. Questa legge della quale manchiamo, questa legge fa la sua parte dei diritti, e dei doveri di tutti, questa legge, che a desiderarla, a dimandarla, vederla, è stata fin qui tenuta studiosamente sepolta, perché al governo arbitrario non ne fosse chiusa dimandandola e volendola, per sempre la via. Io te la presento lettor mio, quale apparisce nelle memorie di costituzione, che il Senator Gianni ci lasciò scritte. Troverai che in essa molte cose sono da aggiungere, altre da torre, oltre solo da correggere. Avrei potuto con opportune annotazioni supplire a questi difetti, ma non voleva, quando mi venne in pensiero di farti questo dono, se non offrirti un mezzo onesto per conoscere quello che ti è dovuto, e quello che già possederesti, se questa felice Toscana fosse stata più lungamente in governo del più glorioso principe che il mondo si abbia conosciuto da Marco Aurelio, o se principi più studiosi di imitarlo fossero a lui succeduti: accogli il dono, fanne tuo pro, e vivi felice.
L’EDITORE
La Costituzione toscana immaginata dal Granduca Pietro Leopoldo
Una Costituzione governativa sociale non può crearsi a volontà dei Riformatori del Mondo: bisogna che sia conforme a certe disposizioni fisiche della natura, e che sia applicabile a certi caratteri della nazione, comuni alle popolazioni che la compongono, altrimenti che risultano mostruosi aborti di mal concepita idea, che fanno molti mali, dove si cercava di stabilire un bene generale.
Pochissime, ed affatto generali sono le leggi di Costituzione, che possono convenire in certe monarchie colossali, dove, sono popoli d’indole varia, di lingue diverse, Provincie di vario clima, e territori di differente condizione.
La sola legge di Gesù Cristo è una Costituzione, che può convenire a tutti gli uomini, a tutti i climi; e se si osservasse quella generalmente, basterebbe a far. godere agli uomini la più vera felicità terrena, senza bisogno di regi, né di legislatori.
Nel corso di quattordici anni, abbiamo veduto nascere molte costituzioni governative, ma tutte repubblicane, lambiccate nella mente di filosofi, di politici, e di guerrieri. o composte dalle passioni, che guidavano lo spirito delli uni e delli altri, ,talmenteché divenne una moda l’immaginare Costituzioni, e crearne a fantasia dei pochi ragionatori, come dei molti scrittori per trastullo accademico.
Adesso gl’ingegni non si esercitano più ad immaginare costituzioni repubblicane, o perfezionare quelle già conosciute, ,perché pare che la possibile perfezione delle società civili e politiche sia stata riconosciuta nella forma di governo monarchico, temperato da una legge fondamentale di convenzione, per cui abbracciandosi il Trono e lo Stato, intervenga il voto del Popolo alla elezione de’ suoi rappresentanti, e la voce di questi alla emanazione delle leggi che si consegnano per guida all’amministrazione di un Monarca paterno, che ha giurato di governare secondo la convenzione costituzionale.
Le idee di repubblicanismo, di monarchia assoluta o temperata non sono nuove, ma non tornarono ad essere soggetti di discussioni filosofiche, generalmente tra tutte le classi dì persone, altro che quando la rivoluzione francese fece le sue impressioni nella mente di tutti, risvegliò ne’ cuori le passioni assopite in una vecchia maniera di sentire, e di vedere gli oggetti di governo con una stupida indifferenza, e si viddero sviluppare sentimenti dimenticati e passioni spente per rinascere.
Prima di quell’epoca memorabile nella istoria europea, non era la scienza del governo una occupazione che per pochi filosofici quali riscuotevano ammirazione, trovavano pochi seguaci, e molti critici, che per lo più furono satelliti di quelle persecuzioni, che insorgono contro certe verità, dove i Governanti devono temere i lumi dei filosofi e la ragione dei popoli.
Ma esisteva già un Principe, che non avea simili timori, e sentiva l’umanità, amava il vero ed utile uso della filosofia indagatrice, e seppe conoscere i difetti ed i vizj de’governi, per conoscere i loro veri sentimenti verso de’ governati, e così scuoprì ciò che altri pari suoi non sanno, o vogliono ignorare.
Questo raro esemplare fra i coronati fu Pietro Leopoldo Granduca di Toscana, che nell’anno 1779, e dopo molto studio, visite ed esame del suo paese, esternò il pensiero di dare alla Toscana una legge fondamentale di convenzione, che fosse la perpetua Costituzione di un governo monarchico temperato dall’intervento del voto nazionale.
Ma adesso sarebbe tedioso il leggere il testo di una Costituzione priva di tutti gli ornamenti che abbiamo veduto nelle Costituzioni moderne, onde io ne confiderò una succinta memoria a quei pochi suoi amici, che hanno ben conosciuto e stimato Leopoldo, specialmente in questa parte de’ suoi progetti e delle sue operazioni, che più volte è stata la materia dei nostri ragionamenti, mentre si applicava a questo lavoro, degno di menzione nella istoria del governo di questo raro Principe, sebbene la mala sorte de’ suoi successori, ed il destino della Toscana non permettessero che quell’opera fosse promulgata ed eseguita, quando era già compito il lavoro ed approvalo, all’avvenimento di Ferdinando III al Trono toscano.
Ricordiamo primieramente che si trattava di un piccolo paese, che prezioso per sé stesso, non poteva avere un posto tra le potenze Europee, e di un Principe, che non poteva aspirare ad altra gloria, che a quella di felicitare una Nazione, e partecipare della sua prosperità.
Conviene osservare come già da gran tempo si andava tutto disponendo, e preparando ad una tale situazione di cose che rendesse il paese e la Nazione capace del nuovo ordine di Governo.
Imprimere nei Toscani i sentimenti di vero patriottismo, e far loro conoscere l’importanza di Concordare il bene pubblico per mezzo di lumi e voti, talmenteché degl’interessi del Trono e di quelli della Nazione si formasse un solo interesse comune, era difficile in breve tempo, dopo i secoli scorsi in costumi adatto opposti, ed insegnamenti che allontanavano gli spiriti da ogni premura per li oggetti pubblici.
Perciò conveniva eccitare gl’interessi privati a concorrere, alle operazioni d’interesse comune, e dare ai Toscani l’esercizio del loro voto, e con questa mira furono organizzate le Comunità, fissate le regole per le loro amministrazioni, e queste conferite a Magistrature di comunisti tutti interessati alla buona economia e miglior servizio della rispettiva Comunità che rappresentavano, indipendentemente, e senza bisogno di approvazione per tutti li oggetti indicati nella legge di regolamento quali erano tutti di carattere e d’interesse comunitativo locale: queste magistrature erano destinate a diventare anche assemblee primarie, nelle funzioni delle adunanze nazionali; ma forse TRE soli tra i Toscani si accorsero che quel lavoro era un filo di un’opera più vasta, senza potere però immaginare quale sarebbe stata.
Non era parimente disposta la Nazione ad altre operazioni, che richiedevano cognizioni delle cose pubbliche e generali nello Stato, giacché le medesime abituazioni di educazione, ed i medesimi insegnamenti di tradizione tenevano i Toscani lontani dalle cognizioni riguardanti il paese, e gli proibivano di voltare l’occhio a mirare l’andamento delle operazioni di Governo.
Questa è la scuola del Ministero che ha bisogno delle tenebre dove si coltiva il dispotismo nel Principe, per investirne i Ministri che all’ombra di misterioso segreto, lo esercitano di fatto sul principe e sul popolo. Ma questo inveterato vizio non si poteva togliere, se il Granduca non preparava dei lumi fondamentali alla Nazione, e non fissava certi stabilimenti di benefizio e giustizia generale, che ispirassero praticamente opinioni e massime coerenti, da servire di guida franca è leale ai voti nazionali a suo tempo.
Quindi è notabile l’adito aperto alla onesta libertà civile nell’esercizio delle lecite industrie, e nella libera disposizione delle private proprietà, di che non occorre parlare, giacché è nota da per tutto questa primaria operazione di Leopoldo, che rende immortale il suo nome nell’istoria del secolo, e pose il primo fondamento della prosperità toscana, disponendo insieme li spiriti alla stima per un Governo benefico. ed all’amore per una patria felice.
L’eguaglianza davanti alla legge fù costituita mediante le riforme che tolsero tanti privilegi di foro, tante esenzioni o prerogative, che faceano dubitare se l’amministrazione della giustizia fosse, la medesima per tutti.
Di feudale restarono i nomi e li stemmi, ma si vidde sparire il giurisdizionale ed il gius di regalità a chi lo aveva originalmente comprato, e poi rimasero i titoli personali a pascere la vanità di chi ne voleva sentire il suono, mediante il piccolo tributo annuo stabilito fino dal tempo delle investiture in segno di omaggio, onde si può dire con verità, che in Toscana non vi era più chi soffrisse la strana soggezione feudale.
Una legge generale aveva aboliti i fidecommissi e sostituzioni per disposizioni testamentarie, preservando i diritti ai chiamati viventi il giorno della legge, ed ai nascituri dai matrimoni contratti all’epoca medesima, e così prima che altrove fosse abolito il barbarismo delle sostituzioni fidecommissarie, era già fatto questo stabilimento di giustizia primitiva, e caduto il mostruosa privilegio di istituire fidecommissi, che in Toscana era riservato alla nobiltà.
Sotto il governo di Ferdinando III fù violata questa legge, e venduta a chi. istituisse fideeommisso sopra ai capitali di credito sul debito pubblico; perché l’ignoranza estrema del Ministero in quel tempo non seppe trovare altro, mezzo di spremere denari in soccorso all’erario che si andava lacerando.
Le Magistrature attribuite per nascita ai Cittadini fiorentini riconosciuti, furono abolite con varie riforme, e ridotte elettive a nomina dei Granduca, e poi furono conferite colle prove di Dottorato, di Notariato, esercizio di Curia, è meriti personali.
Le corporazioni di arti è mestieri, tanto contrarie all’onesta libertà civile, furono soppresse, con la giurisdizione dei loro particolari Tribunali, e di tutti li statuti e vincoli che limitavano l’estensione delle lecite industrie.
La legge delle Manimorte non fù opera di Leopoldo, ma sotto il suo regno furono sciolte le lunghe questioni, e le dubbiezze che l’arte curiale aveva saputo introdurvi, e ridotta dipendente dal Regio assenso l’acquisizione di nuovi beni, e l’alienazione dei medesimi già posseduti dai Patrimoni di Manomorta.
Parimente fù opera sua il rendere i beni ecclesiastici soggetti alle medesime tasse dei ben secolari, in quanto prima ne erano esenti, o parzialmente privilegiati.
L’ordine nobile di S. Stefano era declinalo alla soppressione, ed il suo vasto patrimonio dovea servire al pagamento degli Uffiziali della Truppa: ma era riservata alla Croce di onore al lungo servizio delli Uffiziali e soldati. Il piano era fatto, e ne risultava un riguardevole risparmio per l’erario.
Per disporre li animi a questa soppressione, che dovea colpire le vecchie abituazioni di una numerosa nobiltà, affezionata ed interessata a quello stabilimento d’illusione e di profitti, furono ammessi Cavalieri senza il rigoroso processo di nobiltà, e furono date commende in luogo di pensioni e ricompense per prestati servigi civili, ma non ci fù tempo di eseguire il piano pienamente.
La barbara istituzione dell’azione personale e carcere per i debitori meramente civili, era soppressa, ma con qualche limitazione rispetto a Livorno, che strepitava per la perdita di questo privilegio di inumanità, e fù assistito dall’intrigo e dal voto del Ministero, sempre segretamente opposto alle più gloriose ed utili operazioni di Leopoldo, che avrebbe voluto creare un Trono salvo dalla influenza ministeriale, e costruire una Nazione libera dal dispotismo) seducente de’ Ministri; ma per quella fatalità che talvolta accicca i Principi, anch’esso vi fù sottoposto, benché di rado.
Non sarebbe facile d’indovinare con quali motivi di bene pubblico fù poi sotto il governo di Ferdinando III. ristabilita la carcere per i debitori, onde non ni dico di più.
I tribunali e governi delle provincie, e le loro relazioni con i tribunali superiori, furono disposti in forma da potere intervenire nella nuova organizzazione costituzionale, senza bisogno d’innovazioni.
Le leggi proibitive, e le privative di esazioni per le Finanze dello Stato furono tutte soppresse, poiché Leopoldo aveva conosciuto che questa forma di esazione risulta la più oppressiva, la meno utile all’erario, e la più contraria alla libertà della industria.
Per potere operare senza certe opposizioni, che imbarazzano anche i Principi più assoluti, Egli aveva soppressi i finanzieri, che aggregati in una compagnia, tenevano in appalto quasi tutte le rendite dello Stato; e fù Esso il primo Principe in Europa, che purgasse il Governo da questo solenne vizio di amministrazione, e liberasse la Nazione dal flagello di cui si dolevano tutte le altre, e specialmente la Francia.
I finanzieri interessati nell’impresa non soffersero torto alcuno, poiché il loro contratto ammetteva la rescissione, mediatile un’indennità in somma fissala, che fù loro pagata.
Era già stata creata una truppa civica, e non peranco stabilita da pertutto, ma questo stabilimento fù contrariato tanto, che l’istesso Granduca lo abolì, poiché ci furono mescolati alcuni Uffiziali della Truppa regolala, che era stata assai diminuita, i quali protestarono di non poterla comandare con successo, all’occasione di un piccolo tumulto popolare accaduto in Prato, per motivo dei disgusti introdotti nel popolo dalla riforma di certe funzioni di Chiesa e di certe Dottrine, che resero odioso quel Vescovo, e servirono alla Corte di Roma ed al Ministero di Firenze per diffondere sordamente una mala opinione della Religione di Leopoldo, e dargli una odiosità meritata piuttosto da chi gli rese cattivo servizio, e gli diede falsi consigli in quella materia.
Il debito pubblico era sciolto, dall’amministrazione del Governo, e ripartilo in tanto debito e credito privato tra i veri debitori e veri creditori, con proporzione alla loro tassa su i beni stabili, sicché ne risultava F abolizione di una amministrazione, che raccoglieva le contribuzioni di tutti, pagava gli interessi ai creditori, e teneva registro delle contribuzioni accadute dei loro crediti, tutto a spese dello stato, che è quanto dire dei debitori e dei creditori, ma con quella eccessività che interviene in tutte le amministrazioni pubbliche, delle quali si forma il patrimonio per gl’impiegati, e la dateria delli impieghi, che moltiplica i satelliti del Ministero.
Conseguenza parimente di questa operazione fù, che i debitori potevano dimettere il loro privato debito a piacere, mentre sotto l’amministrazione non era possibile a veruno sbarazzarsi dalla imposizione sulle terre, e pagare il capitale corrispondente, o cassare il suo credito con l’amministrazione.
Tra i motivi di fare questo preparativo all’atto di costituzione, intervenne anche la cognizione, che Leopoldo aveva acquistata, dell’abuso che un principe può fare del debito pubblico, e delle tenebrose operazioni che talvolta i ministri ignoranti o male intenzionati fanno sull’amministrazione del debito medesimo, con danno di un popolo, che non le conosce, e con discredito alla fama di un principe, che le acconsente senza saperne l’importanza e le conseguenze.
Bisognava fare questo preparativo per potere introdurre nella Costituzione un articolo proibente il crear debiti pubblici, e non era da presumersi che a principio le Assemblee nazionali avessero tante cognizioni, e tanta energia da attaccare questo capo al disordine e riformarlo, mentre dal pregiudizio abituale era riguardato con favore, e come uno stabilimento di sicuro impiego ai capitali.
Anche questa operazione dello scioglimento fù disfatta subito sotto Ferdinando III, e poi si è veduto quale abuso è stato fatto dall’amministrazione del debito pubblico: oggi, forse i Fiorentini che tanto tanto biasimarono lo scioglimento. sarebbero contenti che sussistesse.
Era soggetta alla medesima difficoltà di mettere in azione le assemblee, una necessaria riforma della legislazione criminale, e specialmente nella parte concernente la forma della Procedura, infetta di tutti i vizj della sua antichità, e di lutti li abusi introdottivi dal curialismo e dal dispotismo; ma la Nazione doveva soffrire troppo lungamente questi disordini, prima di potere con il suo voto promuovere l’opportuna riforma ed eseguirla.
Perciò Leopoldo diede in luce il Codice Criminale, che dopo laboriose applicazioni, disgustosi contrasti, e difficili conciliazioni di opinioni, poté finalmente pubblicare, benché non vi vedesse pienamente adempito il suo progetto, onde a perfezionarlo aspettava di farne un soggetto delle deliberazioni nazionali.
Fù meritamente applaudita quell’opera, benché non libera da qualche difetto, ma l’arte curiale o li agenti dei tribunali seppero introdurvene dei nuovi, in sembianza di provvedimenti approvati, sicché il Codice così deformato, in luogo di essere perfezionato prima di ricevere la qualità di legge Costituzionale nella prima Assemblea, era stato assai intralcialo dalle antiche consuetudini; ma Leopoldo frattanto aveva preparato un volume di annotazioni da servire a tale effetto.
Quindi si può dire per incidenza, che sotto il regno di Ferdinando III, il Codice fù sottoposto a tante nuove alterazioni, onde l’arbitrio dei tribunali e dei loro agenti ne è divenuto il regolatore; e così l’amministrazione di giustizia criminale non si può lodare in Toscana, altro che quando cade nelle mani e nella coscienza di processanti e di giudici guidati dalla Religione e dall’onore.
Seguitiamo ciò che fù preparato con le vedute della Costituzione, e ricordiamo che i lavori di argini e ripari ai Fiumi erano stati attivati dagli antichi Governi sotto l’amministrazione di alcune magistrature; ma difatto, per loro natura, non erano altro che oggetti di lauti diversi particolari, interessali a preservare dai danni delle acque i loro rispettivi fondi.
Fù sempre del carattere nazionale e specialmente fiorentino, la difficoltà, di concordare li interessati a quella unione e fiducia, che ci vuole per formare una associazione, che dei particolari interessi ne faccia per convenzione un oggetto solo d’interesse comune; e di questa originale inclinazione alla discordia e discussione, ne fanno ampia testimonianza le istorie della Repubblica Fiorentina, e le croniche dei paesi e città che formano al presente il Granducato.
Quindi anche i lavori a riparo delle acque non avrebbero avuto successo, se l’autorità non fosse intervenuta ad abbracciare gli interessi di tutti quelli che doveano profittare del benefizio dei lavori, e ne dovevano soffrire la spesa; e così si trova che in principio per la piccolezza dalli oggetti, fù agevole il consegnarli a diverse Magistrature, senza che però divenissero parte della Cassa regia o pubblica, né dipendenti dal ministero.
Nelle loro discordici popoli della Toscana hanno sempre invocato un terzo conciliatore, e cedutigli i loro diritti, soggettandosi volentieri ad un nuovo potere, che li costringesse, se persuaderli non poteva; ma quando il progresso dei bisogni; il rilevante importare dei nuovi lavori; e l’abuso delle amministrazioni magistrali svegliarono gli interessati dalla loro cecità, e si scopersero debiti smisurati, si soffrirono collette e tassazioni di contribuzioni gravose, e spesso insieme nuovi danni dalle acque, i Toscani interessati in queste amministrazioni si mossero tosto d’accordo per lamentarsi con voto unanime, e da tutte le parti giungevano suppliche al Trono, imploranti sollievo, o provvedimento; come dal fonte di ogni potere.
A quell’epoca di poco anteriore al Regno di Leopoldo, il Ministero spiegò il suo solito spirito d’invasione, e le Magistrature incaricate delle diverse aziende delle particolari società, interessate alla difesa delle acque, nei diversi luoghi esposti al corso di alcuni fiumi, o preservati dalle inondazioni, mediante lo scolo per dei canali manofatti, furono sottoposte ad una stretta dipendenza dai Governo, nel dipartimento di Finanze.;
Contenti i Toscani dì aver trovato un protettore che soggiogasse quelle autorità, che sino allora avevano governato i loro interessi con malcontento universale, aspettavano maggiore soddisfazione dal nuovo metodo intrapreso.
Ma la lusinga illusoria, che è l’arme micidiale del dispotismo ministeriale, sa piacere in momenti ad un Popolo intiero, che voglia poi tiranneggiare, o così gl’interessati nei Lavori dei fiumi non sentirono più per alcuni anni tassarsi al pagamento di rate contribuzionali, per le selve dei loro respettivi argini e lavori, che erano state l’oggetto dei disgusti e delle lamentanze; ma con l’autorità governativa si accrebbero i debiti ai rispettivi corpi d’interessati nei lavori dei rispettivi luoghi, e costoro si trovarono obbligati, senza avervi acconsentito, e senza saperlo.
Era questo divenuto un oggetto di sordo profitto per i subalterni delle amministrazioni, ma divenne anche un motivo di nuovi disgusti, quando si scoprì che la massa del debito fatto richiedeva una proporzionata somma annua per il pagamento dei frutti ai creditori, onde s’incomincio a lassare li interessati per somme troppo forti, che li facevano strepitare, talmente che le opere di riparo alle acque assunsero il nome d’imposizionii dei fiumi, e quasi ogni fiume ed ogni fosso avea la sua Azienda e la sua imposizione annua perché non mancavano, né progetti, né pretesti per sottoporli alla proiezione, che i vecchi interessati avevano implorata per schiacciare la loro disunione e discordia.
Era in tale stato la cosa quando Leopoldo giunse al trono; ma prima elle potesse arricchirsi di cognizioni e di esperienza, fù condotto ad instituire una Camera popolatissima d’impiegali, cui furono consegnati tutti gli affari commutativi; tutte quelli d’interesse civico, moltiplici, e dettagliosi sommamente, quelli delle strade, ed anche quelli delle così dette imposizioni di fossi e fiumi.
Quello stabilimento divenne il regno dell’artificiosissimo ma non ignorante, Ministro di Finanze in quel tempo, e la pastura di tutti i suoi satelliti; ma l’amministrazione diventò una confusione. Il servizio delle imposizioni dei fiumi portava un carico enorme di tassazioni sopra alli interessati; e non si parla delle oppressioni che le Comunità soffersero, né della mala amministrazione delle strade, perché qui si contemplano soltanto i fiumi e le acque.
I lumi che rapidamente acquistava il giovine Granduca, gli faceva presto vedere lo sbaglio di quello stabilimento, benché fatto con il suo nome, e volle efficacemente una riforma della Camera di Comunità, fiumi e strade.
Quindi non senza laboriose applicazioni, fece consegnare a ciaschedun corpo d’interessati, l’amministrazione dei loro lavori ai fiumi e fossi, con i loro rispettivi debiti e crediti; ma non fù praticabile un pieno rendimento di conto alle passate amministrazioni ed ai loro agenti.
Fù gradita nel pubblico questa operazione, e per breve tempo si manifestò lo zelo e la premura di condurre li affari loro, tra i rispettivi interessati; ma poi la negligenza e la disunione; che sono connaturati ai caratteri ed ai costumi dei Toscani si sono manifestate egualmente ad attestare quanto la gente toscana sia tuttora lontana dallo spirito sociale, a dalla inclinazione di occuparsi di oggetti comuni a qualche corpo di associati ad un’istesso interesse, infatti appena che il Governo di Ferdinando III. fù conosciuto come guidato dallo spirito ministeriale, si videro nascere suppliche d’interessati nelle imposizioni di fossi e fiumi del Pisano, che imploravano di tornare sotto alla amministrazione di quell’Uffizio che prima fù il bersaglio delle lamentanze e dello accuse loro.
Questa digressione storica non è superflua nel nostro ragionamento e non si potrebbero addurne esempj di troppo, per convincere come la maggiore difficoltà di stabilire la Costituzione di Governo s’incontrava nel carattere nazionale, e nette inveterate attuazioni, che erano divenute massime ed opinioni generali.
Altra considerabile preparazione era necessaria, prima di emanare la Costituzione ad un Popolo modellalo in forme totalmente opposte, e questa fù la legislazione e sisteme dell’amministrazione Doganale.
Questa branca di finanza appunto avrebbe bisogno in tutti i paesi di essere trattata con le più estese cognizioni commerciati, e con la maggiore vigilanza al cambiamento continuo delle circostanze interne, e delle relazioni con esteri; ma tante riunite nazioni, e tanta assidua vigilanza di dettaglio non sono da supporsi nel più abile Ministro di Finanze, occupato di mille altri premurosi oggetti, onde bisogna convenire che in questa parte specialmente il Governo ha bisogno dei lumi della Nazione, che per mezzo delle assemblee li abbia raccolti detta cognizione dei bisogni, che vengono esternati dalle petizioni delli individui e delle classi che giornalmente li provano.
Leopoldo volle perciò iniziare la Nazione a questa opera importante delli interessi generali, e darne un’esemplare; onde fece compilare una nuova tariffa di Gabelle, ed un sistema di amministrazione Doganale.
Questa operazione portava in sostanza, che l’amministrazione fosse tanto semplice, chiara all’intelligenza di tutti, da non obbligare a farne una scienza per li impiegati, né una istruzione pubblica peri viandanti, mercanti, vetturali ec., alfine di evitare le pene di involontarie trasgressioni, e l’artifizio dei commessi e delli esecutori per sorprendere li incauti ed i frodatori.
Tale intento si conseguiva mediante una Tariffa, che non era più un dizionario voluminoso, ma poche pagine dove si individiavano le classi dei generi gabellabili; e le classi erano poche, e ridotte a vocaboli volgarissimi.
L’uso e le tare per i continenti delle mercanzie, sempre disputabile e secondo per le spedizioni, o sempre d’imperfetta applicazione, fù abolito, e tutto doveva gabellarsi a peso lordo, ma nella tassazione fù considerata qualche cosa la abolizione delle tare. Il gioco di sorpresa tra il Fisco ed il Pubblico fù tolto, poiché non furano più obbligati i portatori a dinunziare la mercanzia per qualità e quantità, giacché poscia dovevano li esecutori verificar la denunzia, e fù stabilito il dovere o obbligo ai portatori di presentare la mercanzia al suo luogo destinato nelle Dogane, ai commessi e pesatori il riconoscerne la qualità e la quantità.
La Gabella per estrazione fù abolita, e così tolte per metà le ispezioni e le occupazioni alle Dogane, e liberale le condotte e trasporti da ritardi e spese.
Fù tolto parimente il privilegio della minor gabella, che si accordava alle mercanzie per passo, e così cessava il bisogno di avere delle Dogane nella Città, dove si depositassero riscontri e registri, si avessero compagnie di Facchini forestieri per caricare, scaricare e custodire le robe, con una Tariffa per le loro mercedi, e poi una quantità di spedizionieri corrispondenti con i mercanti esteri, che rispondessero per loro di tutte le condizioni apposta al benefizio del passo, sicché pagata una volta la gabella all’ingresso dello Stato, nulla di più si richieda a; e fù dimostrato che messe in conto le spese di Facchini, di emolumenti ai Ministri delle Dogane e delle Porte di Città, ritardi alle condotte, e provvisioni alti spedizionieri, poco o nulla risultavano aggravate le mercanzie per passo, più che nel sistema che si aboliva, ma questo punto fù la di scandalo, e il motivo delle contrarietà per il nuovo sistema, che spiegarono tutti gl’impiegati, dall’alto ministero fino all’ultimo facchino stipendiato.
Era dimostrato lungamente con calcolo di probabilità, che l’Erario troverebbe profitto in luogo di scapito che si minacciava dai con radittori, ma la diminuzione di posti ed impieghi, che non avevano più luogo, e l’abolizione delle Dogane di Città, dove si nutrivano tanti oziosi, incapaci di altra occupazione, e si facevano tante oscure speculazioni di profitto », di protezione, favore o dispetto, non fù tollerabile dalla moltitudine assuefatta a riguardare gl’impieghi come botteghe, e considerare l’Erario pubblico come una vacca, secondo il proverbio fiorentino, che dice «Minchione chi non sa trovare il mezzo di mungerla».
Il piano fù fatto perché Leopoldo lo voleva, nonostante le opposizioni e le segrete inquietudini che li si facevano pervenire. Fù distesa ed approvata la legge di Tariffa e di Regolamento Amministrativo, ma alcune disposizioni preparatorie, che non si potevano dare nel momento di pubblicare ed eseguire la legge generale doganale, furono differite, trascurante, o male eseguite, talmente che la partenza del Principe accadde, prima che il sistema doganale potesse aver luogo.
Tutta questa riforma, che abbracciava tanti oggetti di abituazione inveterata, tante sorgenti di abuso profittevole, e toglieva tante gradite faccende alla bottega delle finanze, non poteva farsi altro che dopo lunghissimo tempo, dall’attività delle Assemblee, e perciò Leopoldo voleva consegnarla già introdotta, benché non perfezionata, alla sorte delle petizioni, ed all’esame ed ai voti delle Assemblee, che potevano perfezionarla.
Eppure appena incominciato il Regno di Ferdinando III, si vidde voltata l’applicazione a distruggere le primordiali disposizioni di Tariffa, e di Regolamento Amministrativo state date, e nascere un nuovo mostro di Tariffa e di regolamento, lutto favorevole alti antichi pregiudizj, alli errori vecchi e all’arbitrio delli Amministratori, ma tutto ciò fù fatto vedere al giovine inesperto Principe come un’opera diretta a perfezionare ciò che aveva immaginalo l’Augusto, suo Padre.
Altro preparativo essenziale fù il separare dalle Finanze dello Stato i beni discendenti dalla Famiglia estinta dei Regnanti Medici, e quelli procedenti dalle confìscazioni ed acquisti, così che si formasse un distinto Patrimonio nominato della Corona, ed un’Amministrazione, che dipendeva intieramente ed immediatamente dal Principe, abbracciava tutti gli interessi della Corte; e non riceveva influenza alcuna dal Ministero, ma veniva poi trattata come ogni altro patrimonio privato, tanto in giudizio che fuori, e soggetta alle medesime imposizioni ed a tutte le leggi generali dello Stato.
Anche questo fù un soggetto della più fina opposizione del Ministero, e specialmente del dipartimento delle Finanze; ma Leopoldo conosceva quanto importava questo passo preparatorio, e vedeva l’impossibilità di separare un patrimonio della Corona dall’Erario dello Stato, per mezzo dei voti delle assemblee, e prevedeva quanta influenza vi avrebbe presa il Ministero, onde lo volle eseguito di propria mano, per poterne fare un Articolo della Costituzione.
Tutti possono rammentarsi che in Toscana non vi era l’uso di parlare in pubblico nei Tribunali, e molto meno in adunanze civiche, quantunque l’arte della eloquenza sia favorita dalla lingua, e la facilità di scrivere in prosa, e cantare all’improvviso in versi non sieno qualità punto rare nella Nazione.
Ma bisognava bene eccitare alla franchezza di arringare in pubblico, quella gente che per la Costituzione doveva un giorno parlare nelle Assemblee, e togliere un costume di umiliante silenzio, e perciò fù ordinato che le cause civili si trattassero in pubblico davanti ai Tribunali.
Tale era la scuola di dire e di ragionare che il Granduca poteva instituire per iniziarvi, incoraggirvi e prepararvi la Nazione; ma l’ignoranza ha bisogno di segreto per nascondersi, e tenne il Pubblico che la deride o la condanna, onde in breve tempo un’occulto artifizio curiale seppe trovare tanti pretesti da fare scordare anche questo stabilimento. Che quantunque non sia revocato, si trova per altro quasi, affatto disusato.
Non ho fatto menzione che delle più notabili e l’organizzazione di Governo alla Costituzione, e disporre la Nazione a riceverla, purgata dai principali difetti della vecchia legislazione, e dai vizj di un’amministrazione, che non aveva mai né ascoltata la Nazione, né associato il di lei voto, nelle risoluzioni governative, e non rendeva conto altro che in segreto al Principe.
Non era possibile che in un subito le Assemblee si occupassero a tante riforme, nuove, instituzioni, che si accordassero con lo spirito con la Legge Costituzionale; ormai di tutti sanno che sé le Assemblee sono mezzi eccellenti a somministrare lumi e buoni Vóti per il servizio del Pubblico, non sono poi altrettanto attive e ad eseguire le funzioni di dettaglio nell’esecuzione dei loro savi progetti.
Un Popolo discendente dal sistema dispotico, ed abituato per tradizione a diffidare del Governo temerlo, odiarlo, obbedirlo, e per non ivitare i suoi Agenti, renderli ogni omaggio di esterior bassezza, non poteva presto cambiare costumi e sentimento elevandosi al grado onorevole di suddito obbediente alla legge consacrata dal suo voto, e ciascuno divenire Cittadino zelante, ambizioso di cooperare al bene di uno Stato filialmente vincolato di amore e di interessi con un Padre regnante.
Non erano queste le idee che facilmente potessero concepirsi, e le belle passioni che in un momento potessero rinascere e smascherare i Toscani al comparire della Costituzione inaspettata.
Appena poteva sperarsi di vedere un languido stupore di dolce sorpresa, nello scarso residuo di pochi Cittadini non depravati, che non avevano affatto estinto in cuore, né amore di Patria; né sentimento di vero rispetto per un Trono, e per un Regnante in cui nasceva il centro della Nazione; ma questi pochi preziosi individui stavano rifugiati in umile volontaria oscurità, sotto il contegno di prudente silenzio, salutare e necessario ormai da più secoli a tutti i savj, che amavano la propria, sicurezza e tranquillità, poiché il dispotismo vuole, silenzio, sa di essere odiato, ma non vuole ascoltare la voce della improbazione, né del disgusto.
Ed ecco data una succinta idea dello stato delle cose tal quale doveva trovarsi all’arrivo della Costituzione; ma pur troppo mancava a perfezionare le operazioni fatte, e molto più a far quelle che dovevano essere frutto del sistema Costituzionale.
Ora passerò a dire brevemente ed in sostanza, quali furono gli Articoli principali della Costituzione, acciò si veda come doveva servire e concordare il ben pubblico tra il voto Regio cd il voto Nazionale, reciprocamente illuminati dalle cognizioni e dalle petizioni.
Alla creazione della Legge doveva intervenire il voto dei Granduca e quello della Nazione.
La legge doveva consegnarsi al Granduca per l’esecuzione, e perciò era investito dell’autorità e del comando della forza nei termini della Convenzione Costituzionale come si vedrà in appresso.
La Nazione era rappresentala dalle Assemblee commutative, da quelle provinciali, dalla generale.
Assemblee comunitative del luogo di suo domicilio, ma per oggetti meramente locali, e compresi nelle facoltà dei Magistrali delle medesime Comunità, ed era data la formula delle petizioni.
Dall’aggregato di varie Comunità si formava il Circondario Provinciale, e quivi dovevano tenersi le Assemblee Provinciali.
Queste erano composte dei Deputati delle rispettive Comunità, e davanti alle medesime era libera, la petizione come sopra, ma per oggetti riguardanti l’intera Provincia soltanto.
Non deve far meraviglia la maggiore o minore estensione data alle Provincie circondarie, poiché fù fatta attenzione alla situazione e somiglianza di circostanze locali, più che ad altri oggetti meno confacenti alla unione e comunione delli interessi acciò il votò provinciale fosse confaciente a tutti.
Come nell’Assemblee commutative si dovevano; sentire le petizioni della rispettiva Comunità, e quelle dei particolari comunisti, così si dovevano anche discutere e passare al partito di voti, e poi quelle ammesse consegnarle ai Deputati, che le producessero alle Assemblee Provinciali, per quindi discutersi e partitarsi parimente.
Dalle Assemblee Provinciali si creavano Deputati per intervenire alla Assemblea generale, e ad essi si consegnavano tutte le petizioni, che vi erano state ammesse o decretate come voto Provinciale, e così venivano abbracciate le petizioni Commutative, e Provinciali.
Questi Deputati Provinciali formavano l’Assemblea generale, che dovea adunarsi senza intimazione o invito, in determinato tempo, ogni anno, e risiedere prima in Pisa, poi in Siena, poi in Pistoja, e finalmente in Firenze, ricominciando il turno ogni quattro anni. Per Livorno fù fatto un regolamento particolare, che si darà in fine.
Dal detto sin qui, si rileva come il grande scopo della nuova instituzione consisteva nel far pervenire dalla Nazione al Trono la cognizione dei bisogni delle piccole Comunità, delle maggiori Provincie, e dell’universale dello stato; ma il tutto esaminato, discusso e maturato, tanto che i voti non potessero essere, né equivoci, né sorpresi, o in opposizione per li interessi locali con gl’interessi generali.
Rilevasi parimente come il dover trattar gli affari nelle Assemblee, poneva i votanti nella felice necessità di conoscere. gli interessi locali e nazionali, sapere la Legislazione vegliante, ed indagare l’andamento dell’Amministrazione, cose tutte che prima in Toscana non occupavano veruno, non giovava averne cognizione., o passava per una curiosità sediziosa il fissar l’occhio nel misterioso segreto riservato al Ministero.
Un Principe che voglia ben governare, non ha maggiore bisogno, né oggetto più importante, che quello di conoscere dove il Popolo sente un male, e dove chiede bene; e così veniva pienamente adempito questo santo fine di ogni buon Governo, e d’ogni buon Principe, che voglia sostenere la Nazione, e conosca che essa è il solo appoggio del Trono.
Egualmente adempita veniva la mira di guidare la Nazione alla istruzione pratica dalle cose pubbliche, inspirargli lo zelo patrio e la fiducia in un Principe, che gli confidava l’attività d’intervenire a dargli lumi, prestargli servizio nella discussione, e pronunziare con voto maturato in pubbliche adunanze, sotto la censura della opinione pubblica.
Questa era la sostanza della Costituzione, e questo lo spirito che l’animava: tutto il resto non era che una discendenza di conseguenze dal loro principio, onde qui potrebbe darsi fine alle presenti memorie; ma l’istoria non è mai di troppo ricca di notizie per i posteri, e perciò darò succinta idea del resto.
Per principale Articolo di politica, si fissava in Costituzione una perfetta neutralità con tutte le Nazioni, e anche barberesche, e in tutti i tempi e circostanze; tanto per mare che per terra.
Non si potevano stipulare alleanze offensive, o ricevere proiezione o assistenza da Potenze estere, e molte meno somministrarne, oltre i termini di neutralità; che venivano molto bene e precisamente spiegati, secondo la pubblicazione che precedentemente era stata fatta, senza reclamo delle Potenze, né grandi, né piccoli.
Non si riportano qui li articoli di quella pubblicazione, perché saranno bene esposti da chi scrive l’Istoria del Regno di Leopoldo ma ognuno vede, che fissata la neutralità come professione politica, unicamente opportuna ad un piccolo paese, non deve fare più meraviglia, se nella Costituzione non si parla della facoltà di fare la guerra, la pace, e di trattare di alleanze sussidj e simili.
La Truppa doveva essere tutta Civica, sul piede che ho indicato a suo luogo parlando della medesima; prima di pubblicare l’Atto Costituzionale doveva essere compita ed instituita dappertutto; ma se una fatalità imprevista fece abolirla, forse una migliore scelta, o più rispettabili attribuzioni potevano riprestinarla, o forse qualche miglior progetto gli sarebbe stato sostituito.
Non si potevano fabbricare fortezze o cose simili, e quelle già esistenti non potevano contenere Artiglieria, neppure in forma di magazzino.
Nel regolamento per Livorno venivano per altro fissate le eccettuazioni opportune, al Porto ed alle Coste marittime, come pure alle nostre Isole di Portoferrajo, Gorgona, e Giglio.
Leopoldo sapeva che Portoferrajo rta un carico senza ricompensa per l’Erario, ma non poteva indovinare che ne sarebbe stato sgravato.
La libertà di commercio diventava un Articolo di Legge Costituzionale, alla quale non si poteva fare limitazione alcuna, nemmeno temporaria, né portare attentato indiretto, con imposizioni o tasse, o altro qualunque vincolo.
Non si poteva creare debito pubblico, né Comunitativo, né Provinciale, e per quello Commutativo che vi fosse, s’incaricavano le Comunità di pagarlo con un certo regolamento.
Neppure poteva crearsene sul Patrimonio della Corona, che si dichiarava inalienabile, indivisibile, ed incapace d’ipoteca.
È perché con i beni che furono attribuiti a questo patrimonio, non si aveva una rendita quale si voleva congrua al decoroso mantenimento del Granduca e della Famiglia, s’instituiva un, supplemento fisso annuale sull’Erario Pubblico.
Fù esemplare dichiarazione scritta di mano di Leopoldo, che lo Stato non potesse essere mai obbligato a supplire né alle dotazioni, né a spese per il mantenimento delle Principesse, né per lo stabilimento o promozioni dei Principi della Real Famiglia.
Il territorio non si potea ingrandire con l’acquisto di nuovi Stati, né cederne o cambiarne parte alcuna.
I Principi della Famiglia regnante non potevano essere investiti di benefizi ecclesiastici di padronato regio, né coprire impieghi al servizio dello Stato, né civili, né militari. L’istesso interdetto abbracciava espressamente anche i Principi di famiglie regnanti estere.
in questi Articoli merita ammirazione la sagacità di Leopoldo, che sapeva come degeneravano in abuso di autorità, le cariche coperte dai Principi cadetti, o divengono pericolose sorgenti d’intrico e di disordine nel Governo, e come di rado i benefizi ecclesiastici in mano a tali soggetti servono alfine cui sono destinati.
La prerogativa di far grazia erasi riservata al Granduca, ma solamente per diminuire o commutare le pene afflittive corporali a delinquenti già condannati, non già per le pene pecuniarie.
Per tutti i rimedj di grazia nelle cause civili, non volle avere facoltà alcuna, ma nella organizzazione dei Tribunali di giustizia, erano preparate disposizioni, acciò tutti i casi restassero decisi per giustizia.
Nel preambolo di quelle disposizioni Leopoldo si esprime generosamente, che solo
«un despota imbecille e malvagio può credersi superiore alla Legge; che ella è fatta per regolare i dritti tra i privati, e che il far tacere la legge grazia di una parte, non è altro che un abuso di o l’effetto d’imprudenza, di versatilità, od ignoranza di quei Giudici che introdussero questa nuova specie di grazia, che non può aver luogo senza un torto, o un’ingiuria verso parte, cui la Legge in quel momento sta in favore».
Disse apertamente:
«Se la Legge non deve riformarsi; se non è chiara, deve spiegarsi, e se non provveda abbastanza, deve supplirsi con aggiunta, o correzioni, ma per mezzo di un Alto generale e ponderalo, ma per provvedere ad un caso in questione»;
e poi a suo luogo, disponeva che i Giudici dovessero terminare i giudizj, secondo la legge, in quest’ultima istanza che veniva fissata dal regolamento, senza lasciare l’adito a verun ritorno di questione.
Tale era la parte di Regolamento Giudiziario, che doveva promulgarsi insieme colla Costituzione, affine di potervi inserire l’Articolo dell’abolizione di ogni rimedio di Grazia; ma il resto non ha luogo in questo articolo, non se ne potrebbe dare una idea, senza riportare per intiero il progetto e la discussione che ne fù fatta da due eccellenti Legali.
Si doveva formare il ruolo di tutti gli impieghi pertinenti al servizio dello Stato politico, nel civile, militare e giudiziario, con i loro rispettivi assegnamenti, e questi rimanere alla collazione del Granduca, sul piede fissalo, senza poterli alterare.
Parimente, la nomina ni Vescovadi, e la collazione dei benefizj ecclesiastici, di padronato regio o comunitativo.
La collazione della Croce d’onore ai militari secondo il regolamento nuovo.
La prerogativa regia, finalmente, abbracciava tutto ciò che non fosse contrario alla Legge fondamentale di Costituzione.
La vigilanza sulla esecuzione delle Leggi, era raccomandata all’autorità del Granduca, e consegnali tutti i mezzi, poiché non solo gl’impieghi che ne dipendevano, ma anche tutti li ordini, regolamenti e provvedimenti necessarj alla osservanza delle Leggi, stavano in suo potere.
Le Leggi veglianti al giorno della Costituzione erano tutte confermate.
Questa fù la sostanza di ciò che oggi si chiamerebbe potere esecutivo, limitato solamente dalla Costituzione, che formava il potere legislativo, ed instituiva il diritto di petizione nazionale.
Fù maraviglioso il vedere, come in quel tempo, in cui s’insegnava che il Principe è, la Nazione nulla, un figlio della Casa d’Austria dettasse i diritti delle Nazioni, e gl’inspirasse i sentimenti della aua Libertà civile mentre statuiva ciò che brevemente accennerò per dare fine a questa memoria.
La Legge si poteva promuovere dalle Assemblee generali, e doveva ricevere la sanzione del Granduca, come egli la poteva proporre alla consultazione dell’assemblea, e con il voto di quella, la legge veniva creata.
Ricordando quanto interessi il Principe l’avere piena notizia dei bisogni particolari, comunali, provinciali, e generali per potere corrispondere alla fiducia con cui un Popolo si sottomette al Governo, raccomanda che dalle Assemblee e dalle petizioni private nulla si nasconda o si taccia, per un falso simulato rispetto verso le operazioni fatte dal Principe, perché non si reputa che abbia mai voluto né potuto volere altro che la maggiore estensione del pubblico bene, e tutto ciò che non vi sia conforme, si deve attribuire alla debolezza dell’umanità, o alli inganni, cui pur troppo sono esposti i Principi.
Indicando i principali doveri dei corpi rappresentanti, poneva quello di conservare la Costituzione e opporsi con onorevole coraggio, a tutto ciò che tendesse ad indebolirne l’attività, o invaderne il potere.
Furono notabili le formole prescritte per denunziare nelle Assemblee, gli atti o le petizioni di carattere contrario alla Costituzione comunque fossero provenienti dai petizionarj del Ministero o del Principe.
Ripetendo che per le materie non riservate alla prerogativa, si richiedeva il voto Nazionale, prometteva tutto lo zelo per produrre proposizioni degne del gradimento pubblico, ed esortava a farne delle simili, da sottoporsi al voto regio; ma spiegò un linguaggio tutto nuovo ed inusitato tra i Principi.
Il conto annuale delle Finanze si doveva esaminare in pubblico, nell’Assemblea Generale, ed il Ministero di Finanze doveva produrlo, e dare tutte le notizie o schiarimenti occorrenti.
Gli aumenti di stipendj agli impiegati dello Stato dovevano passare per i due voti concordi, similmente le pensioni, gratificazioni agli impiegati per titoli degni di straordinaria ricompensa.
Qualunque impiegato di qualunque grado, al servizio dello Stato, che fosse dichiaralo di non avere la sodisfazione del Pubblico, si doveva dimettere, e non si poteva altrimenti impiegare; ma per tale atto doveva concorrere il voto unanime della piena assemblea generale, senza bisogno del voto regio.
Leopoldo temeva assai il potere influente dei Ministri, con cui si corteggia il Principe, quando si usa l’arie di fargli estendere la prerogativa con che si abbaglia un Principe debole ed una Corte ambiziosa.
La successione al Trono nella Linea e discendenza mascolina. escluse affatto le femmine e la loro discendenza, non si poteva variare.
Fù un difetto della Costituzione il non provvedere alle minorità, alle Reggenze ed alle educazioni, alla imbecillità ed alle violenti trasgressioni della Costituzione, ma allora non si sapeva il mestiere di fabbricare Costituzioni.
I successori al Trono dovevano accettare e promettere l’osservanza della Costituzione, prima di assumere l’autorità e la Corona.
Quest’Atto portava una cerimonia pubblica, che non occorre descrivere.
Non si potevano creare feudi, e quelli che venissero a decadere, non si potevano conferire.
Le imposizioni, tasse o Gabelle Regie non potevano alterarsi dal piede vegliante, e li amministratori delle medesime dovevano annualmente renderne conto.
Anche dalle Amministrazioni Commutative doveva rendersi conto ogni anno.
Di tutti questi rendimenti di conto doveva il Ministro di Finanze fare un rapporto ragionato all’Assemblea Generale.
II vendere o dare in appalto le tasse, gabelle o imposizioni, fù proibito per Costituzione.
Parimente il concedere in privativa alcun mercimonio o manifattura, neppure per titolo di nuova utile invenzione, e neppure con profitto dell’Erario.
Delle molte disposizioni regolamentarie per la disciplina delle Elezioni e delle Assemblee non farò menzione, poiché non importano la sostanza della meravigliosa operazione che voleva fare Leopoldo, ma pure voglio rammentare che gli impiegati al servizio della Corte o dello Stato non potevano essere ammessi a risedere nelle Assemblee Nazionali, e neppure i pensionati, ma non veniva loro interdetto il diritto di petizione, e fù spiegato che non cadevano sotto questa censura gli impiegati al servizio della Comunità.
Leopoldo sapeva quanto potente seduzione sia il profitto degli impieghi, ed il pascolo della vanità delle decorazioni di Corte, ed intese di riparare l’abuso che un giorno poteva farsi della influenza regia sul voto delle Assemblee.
Con queste Memorie di ciò che appartiene alla sostanza della cosa, mi pare che l’Istorico, scrivendo il Governo di Leopoldo, potrà dare una prova della di lui filosofia politica, e di quella grandezza di animo che di rado si potrebbe raccontare nella vita di altri Principi.
Mi resta a dire come fù disposto rispetto a Livorno, ma la sostanza si ristringeva ad escludere la Comunità di Livorno dalle Assemblee Provinciali, lasciandogli le Assemblee Commutative, ed il diritto di petizione.
Le petizioni partitate favorevolmente e decretate in Livorno dovevano mandarsi, per mezzo di un Oratore senza voto, all’Assemblea Generale per esservi discusse e partitate.
Era decretata la soppressione intera della Marina da guerra, della quale sussisteva sempre qualche residuo.
I posti d’Armamento in terra, le barche armate di sanità e di esplorazione tra le Isole e la Costa, inservienti anche al dispaccio, il servizio di guardie alle Torri, ed il loro armamento;
Truppa Civica a piedi e a cavallo, e corpo separato di Artiglieri; Fortificazioni e munizioni.
Tuttociò conveniva fissarsi per adempire la Costituzione in quelle parti dove stabiliva che si conservasse il piede allora attuale.
Poteva anche diffondermi meno, se bastava dare un ricordo di un punto degno della Istoria di Leopoldo, a chi la scrive o vorrà scriverla, togliendo da questa il superfluo ed aggiungendo le proprie riflessioni ad illustrare un fatto degno d’imitazione.
Non ha avuta esecuzione, e forse perciò otterrà l’applauso di un Pubblico, che non ha veduto l’esperimento che doveva mettere alla prova lo spirito della Nazione, Il cuore e la mente di un Ministero, e la costanza di un Regnante pieno di qualità troppo grandi per il suo piccolo Impero. Ma se la malvagità vorrà dire, che un Regnante con una Legge fondamentale di Costituzione diviene un Principe governato dalla Nazione, bisognerà pure che la saviezza risponda : fortunato quel principe che debole, o «poco istruito, sarà governalo dagli organi della Nazione piuttosto che da qualche orgoglioso favorito Cortigiano, da un astuto Ministro, o da una «Puttana!»
E fortunato pure deve dirsi quel Regno dove un Re, dotato delle qualità necessarie a ben governare, conosca la morale impossibilità di supplire solo ai moltiplici oggetti del suo augusto ministero, chiama in ajuto i lumi della Nazione, le sa inspirare la fiducia e lo zelo che generano l’attività e l’energia, e non teme di essere governato dalle Assemblee, che di fatto servono seco all’adempimento dei doveri del Regnante, e lo rendono glorioso nella felicità pubblica, poiché è più difficile il trovare in un solo Uomo che comanda, le virtù ed i talenti indispensabili per ben governare, che il riunire i voti di un’Assemblea a far quel bene pubblico, di cui essa pure deve partecipare colla moltitudine.
Ma perché i vizj della Costituzione e dell’Amministrazione nuocono ad alcuni e giovano ad altri, ne risulta una falsa bilancia, e così i Governi non si correggono mai sino a che il notare sia estremo, intollerabile ed universale.
Allora la disperazione furiosa, o l’avvilimento inerte comandano le riforme ed i nuovi sistemi, e poi la fredda ragione scuopre i Vizj nuovi ed i nuovi errori, e gli uomini tornano a desiderare ciò che detestarono e distrussero.
FINE