Le reincarnazioni di Lisetta Carmi

All’inseguimento della verità perduta

Mario Mancini
7 min readJan 29, 2023

di Giovanna Sparapani

Estratto dal libro Susanne John, Giovanna Sparapani, Messe a fuoco. Storie e battaglie di 40 donne fotografe, goWare, 2022 (tutti i formati)

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Dall’alto in senso orario: René, transgender di via del Campo | Fabrizio De André | Carmelo Bene | Ezra Pound | Donna siciliana | Yogi Barabji | Bambina venezuelana. Tutti ritratti di Lisetta Carmi.

Introduzione

Attraverso un secolo

In quasi un secolo di vita, Lisetta Carmi, venuta a mancare a 96 anni nel luglio dello scorso anno (un anno luttuoso per la fotografia italiana), ha fatto e visto cose che “voi umani non potreste neanche immaginarvi”.

Una biografia della fotografa genovese, uscita nel 2013 con Bruno Mondadori, reca un titolo che dice tutto su questa straordinaria donna, parla de Le cinque vite di Lisetta Carmi. È stata scritta dall’artista visuale e storica della fotografia Giovanna Calvenzi.

È come se la Carmi avesse avuto almeno tre grandi reincarnazioni: una come musicista, l’altra come fotografa e l’ultima come yogi. E poi cinque vite, di cui parla la Calvenzi, che sono poco meno delle sette di un gatto. Chi sa se la Carmi adesso si reincarnerà in un gatto con l’obiettivo (fortunata lei!).

Un’anima in cammino

C’è pure un film sulla fotografa genovese, anche se l’aggettivo genovese che continuo ad usare, seppur appropriato, non circoscrive il quadro cosmopolita del vissuto della Carmi. Ci sono infatti un sacco di luoghi che le appartengono, luoghi dell’anima.

Il regista, documentarista e fotografo piemontese Daniele Segre ha girato un docu-film su di lei, Un anima in cammino, presentato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2010. Purtroppo è introvabile.

Lo stesso Segre ha realizzato un audio documentario in tre episodi per Rai Radio 3, fortunatamente disponibile all’ascolto in streaming, qui.

Oltra la parola che c’è? C’è l’immagine!

Mi sembra abbastanza conclusivo, circa l’arte della Carmi, il giudizio di un bibliofilo e semiologo (e molto altro) come Umberto Eco.

A proposito dei ritratti di Ezra Pound, secondo quanto riferito dal fotografo Uliano Lucas, Eco avrebbe detto che il racconto fotografico della Carmi dice su Pound più di qualsiasi cosa sia stata scritta sul poeta. Un bellissimo apprezzamento che racconta molto dello spessore dell’artista e della sua forza narrativa che è andata ben oltre i confini della sua professione.

Si racconta che la Carmi abbia realizzato il servizio (in tutto 12 scatti) senza che tra lei e Pound corresse una parola. Si sa che Pound non era loquace e la Carmi sul set era una Galabriel. Il giudizio di Eco, con una biblioteca personale di 30mila libri, è stupefacente. Ma l’aveva già affermato Andy Warhol che nei libri non c’è bisogno di parole, bastano le immagini.

Ora però vi lascio al profilo di Lisetta Carmi estratto dal bel libro Messe a fuoco. Storie e battaglie di 40 donne fotografe, goWare, 2022.

Un’ultima cosa. In una intervista del 2019 Lisetta Carmi ha dichiarato:

Io davo voce ai poveri, a quelli che non possono parlare, che non hanno il diritto di parlare. In tutto ho sempre fotografato gli ultimi.

Per questa scelta il suo obiettivo ha veramente inquadrato “cose che voi umani non potreste neanche immaginare.

Lisetta Carmi. statuaria sui set fotografici.

Ero una bambina grande e grossa, molto robusta, e mi mettevano sempre al sole e papà mi chiamava l’africana.
[…] A sei anni ho detto che non mi sarei mai sposata, perché padroni non ne volevo.
Lisetta Carmi

I repentini cambi di scena di Lisetta Carmi

di Giovanna Sparapani

L’essere ebrei negli anni 30

Così Lisetta si tratteggiava parlando della sua prima infanzia. Quest’ultima frase si riferiva alla figura del padre severo e autoritario che amava l’istruzione e la salute dei figli sopra ogni cosa, imponendo loro uno stile di vita improntato a criteri rigidamente salutisti.

Annalisa Carmi, detta Lisetta, nacque nel 1924 a Genova da una famiglia borghese di origini ebraiche, terza di tre fratelli. Frequentò le scuole primarie nel capoluogo ligure: era una bambina molto cordiale e socievole che, fiera dei suoi capelli ricci e tagliati cortissimi, amava confrontarsi con i compagni dell’altro sesso, lei che avrebbe desiderato tanto nascere maschio come i suoi due fratelli.

Ma questa vita di giochi, feste e incontri tra amici, fu bruscamente interrotta dalle leggi razziali, promulgate nel 1938: Eugenio e Marcello furono spediti in un collegio svizzero e a Lisetta non rimase che studiare a casa in completa solitudine, guidata da tutor privati che la seguivano nelle varie discipline scolastiche.

L’insegnamento che la appassionò più di tutti fu lo studio della musica e del pianoforte, nel quale trovò consolazione e sollievo dal velo di tristezza e malinconia che accompagnava le sue vuote giornate.

Verso la musica, ma con uno sguardo alla società

Dopo essere riuscita a sostenere alcuni esami al Conservatorio di Genova, con il padre e la madre dovette trasferirsi da amici in una casa di campagna per poi emigrare in Svizzera per sfuggire alle leggi razziali.

Tornata in Italia dopo la fine del conflitto mondiale, si diplomò al Conservatorio di Milano e a vent’anni, con sicurezza, tenacia e determinazione iniziò la sua carriera di concertista che le procurò numerose soddisfazioni.

Nonostante i successi, non si dimenticò mai delle sofferenze che erano state inflitte agli ebrei, coltivando durante tutta la vita il desiderio di non isolarsi in una torre eburnea. Famosa è la frase che Lisetta rivolse al suo maestro di pianoforte contrario alla sua partecipazione appassionata allo sciopero dei portuali genovesi:

Lei mi ha detto che non potevo andare in piazza perché se mi avessero rotto una mano non avrei più potuto suonare. Ricordo benissimo di avergli risposto che se le mie mani erano più importanti del resto dell’umanità allora avrei smesso di suonare il pianoforte.

I nove rullini

Siamo nel 1960 e Lisetta, dopo aver raggiunto notevoli risultati in ambito musicale, sfidando i consigli di insegnanti, parenti e amici, cessò improvvisamente e senza ripensamenti la sua carriera di concertista.

Senza perder tempo in sensi di colpa e recriminazioni di vario genere, spinta dalla curiosità di conoscere una nuova terra, in compagnia del musicologo Leo Levi, si recò in Puglia, portando con sé una piccola macchina fotografica e nove rullini; in seguito, entusiasta di questa regione, si stabilirà a Cisternino (Brindisi).

Il suo sguardo lucido si rivolgeva alle persone più umili, a coloro che si guadagnano il pane con fatica e sudore: le sue fotografie in bianco e nero sono crude, dirette, realistiche, senza nessun particolare edulcorato.

Lo scatto che immortala la raccolta delle olive nella campagna vicina alla sua abitazione pugliese parla di povertà, ma nel contempo di attaccamento al proprio lavoro, di una passione incredibile per la coltivazione della terra ereditata dagli antenati.

Verso la fotografia d’impegno sociale

Dopo questa prima affascinante esperienza, la giovane fotografa comprese l’importanza della fotografia e il ruolo fondamentale che essa può avere nel raccontare e documentare la vita dei ceti più umili a cui si sentiva particolarmente vicina. Di ritorno a Genova, il suo lavoro dedicato alla terra di Puglia ricevette consensi, ma la Carmi era ben cosciente di avere ancora molto da imparare.

Si lanciò in uno studio forsennato dei più famosi fotografi del tempo, comprendendo, al di là di scatti singoli seppur belli, l’importanza delle sequenze fotografiche al fine di creare degli incisivi racconti visivi composti secondo un ritmo narrativo scandito e preciso.

Suo padre, che aveva aspramente criticato la sua scelta di abbandonare la carriera concertistica, rimase commosso da tanto impegno e, pur rifiutandosi di comprarle un’automobile, le regalò una Leica con tre obiettivi.

Lisetta descriveva così la sua giornata:

Lavoravo anche diciotto ore al giorno. Facevo le foto, sviluppavo i negativi, stampavo tutto io fino alle tre di notte, scrivevo gli articoli poi andavo alla stazione Principe, spedivo le foto all’agenzia di Milano e andavo a dormire.

Fotografa di scena

Nel 1962 venne assunta come fotografa di scena al Teatro Duse di Genova: i tempi erano ristretti, la mattina dovevano essere stampate le foto della sera precedente. Lei si mostrò ben all’altezza delle aspettative di personaggi del calibro di Luigi Squarzina, Carlo Quartucci, Lele Luzzati, Giuliano Scabia, impegnandosi a fondo per dimostrare la sua abilità nelle inquadrature e nella tempestività nello scattare.

Stimata da tutti, rimase per tre anni a lavorare in quel teatro, facendo tesoro dell’esperienza maturata sulle scene, soprattutto nella gestione delle luci.

Ma tre anni a lavorare in uno stesso luogo per la Carmi erano veramente troppi: aveva bisogno di uscire dal mondo magico del teatro per tornare a occuparsi a tutto campo della vita reale.

A Genova e dintorni

Sempre attenta a documentare le tensioni sociali che attraversavano l’Italia negli anni Sessanta, nel 1964 realizzò un reportage molto interessante sui portuali genovesi, dimostrando quanto fosse duro il loro lavoro, al limite di un vero e proprio sfruttamento: con inquadrature larghe insieme a scatti ravvicinati, documentava la brulicante vita del porto, le navi, la sala macchine, le merci, con una forza narrativa di notevole spessore che la fece conoscere a livello nazionale.

Subito dopo si dedicò a documentare la splendida statuaria in marmo disseminata nel monumentale cimitero di Staglieno, creando delle immagini originali, di un’incredibile forza evocativa.

Oltre ai dodici magnifici ritratti del poeta Ezra Pound, del quale mise magistralmente in evidenza la solitudine disperata al limite della follia, i lavori più famosi di Lisetta Carmi sono gli scatti dedicati alla comunità di travestiti che stazionavano nel vecchio ghetto ebraico nel centro storico di Genova.

I transgender di via del Campo

Nel 1965 entrò in contatto con alcuni di loro a una festa e li immortalò più volte, comprendendo a fondo gli aspetti più stravaganti e controcorrente della loro vita. Nel 1972, trentaquattro immagini verranno inserite nel volume

I travestiti, con testi della stessa Carmi e dello psicanalista Elvio Fachinelli; il libro fu edito dal coraggioso Sergio Donnabella che, dato il tema scabroso, ebbe molta difficoltà a farlo accettare dalle librerie.

Analizzandolo oggi con occhi scevri da falsa moralità, ci appare un vero capolavoro: gli scatti in bianco e nero tradiscono intimità, sincera comprensione e amicizia nei confronti di queste persone ricche di umanità e simpatia, reiette dalla società perbenista.

L’approdo alla meditazione

Dopo l’esperienza con la fotografia, Lisetta sentì di nuovo l’esigenza di imporre un drastico cambiamento alla sua vita, sposando il credo e la filosofia di vita del maestro illuminato Babaji.

A Cisternino nel suo Ashram, centro di meditazione frequentato da persone in cerca di un’esperienza di profonda spiritualità, si è spenta il 5 luglio 2022.

Da: Susanne John, Giovanna Sparapani, Messe a fuoco. Storie e battaglie di 40 donne fotografe, goWare, 2022, pp. 100–102

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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