Le funzioni della lingua
di Luigi Rosiello
Vai alla serie “Il secolo di Pier Paolo Pasolini. La questione della lingua e altre questioni”
Il processo di unificazione linguistica in atto oggi in Italia è un fatto che nessuno può certo negare. Ma, rilevata questa situazione, anche nelle sue cause storiche e sociali, non si è ancora detto nulla di specificamente linguistico. Bisogna innanzi tutto accertare a quale livello i fenomeni linguistici si pongono: operare cioè una prima e fondamentale distinzione tra quei fenomeni che avvengono sul piano dell’estensione di un tipo comunicativo e quelle tendenze che abbiano invece un’incidenza sulla struttura della lingua.
A mio parere infatti, non può esser autorizzata l’affermazione «che è nato l’italiano come lingua nazionale» (Pasolini), in quanto un’affermazione di tal genere non scioglie, anzi perpetua un equivoco di ascendenza storicistica, la confusione tra elementi linguistici di una determinata struttura (la lingua italiana) e elementi storici e culturali aventi un loro assetto strutturale diverso e autonomo.
Se vogliamo che il nostro discorso linguistico abbia un rigore interno, dobbiamo innanzi tutto tener separati i problemi di uso e di estensione di uso di un tipo linguistico da quelli invece pertinenti al funzionamento interno della struttura della lingua.
Non c’è alcun dubbio che a livello strutturale la lingua italiana ha ormai una sua sincronicità consolidata nel tempo; e quindi la situazione odierna di unificazione e diffusione linguistica di un tipo comunicativo medio presenta dei fenomeni di carattere puramente quantitativo ed estensivo, che non determinano alcun mutamento strutturale nel sistema della linguali problema si sposta così dal piano della qualificazione della lingua italiana come totalità comunicativa al piano dello studio dei modi d’uso della lingua stessa, vale a dire delle funzioni in cui il sistema si articola.
Non è più possibile, dopo le esperienze scientifiche e culturali dello strutturalismo soprattutto praghense, parlare della lingua globalmente senza applicarsi specificamente all’individuazione differenziativa dei livelli funzionali in cui si articola il sistema linguistico. La struttura della lingua è infatti formata anche da una rete di relazioni che intercorrono tra le singole funzioni, che, rappresentando la dinamicità interna della struttura, corrispondono ai tipi di uso del sistema che il parlante attua a seconda delle finalità del proprio discorso.
Il sistema interrelato di funzioni è individuabile in base al fondamentale rapporto, negativo o positivo, che intercorre tra la lingua e la realtà extralinguistica. In questo senso deve essere intesa la fondamentale opposizione tra una funzione comunicativa e una funzione poetica; infatti la prima caratterizza l’uso del sistema linguistico dirigendo l’attenzione del parlante, in determinati contesti situazionali, verso la realtà extralinguistica, cioè verso gli oggetti (linguaggio comune, linguaggio tecnico) o verso i significati (linguaggio scientifico), mentre la seconda agisce all’interno della struttura linguistica, operando direttamente sui segni e sviluppando la consapevolezza del nesso di arbitrarietà esistente tra il piano del significante (organizzazione formale della sostanza fisica) e quello del significato (organizzazione formale della sostanza psichica).
Lo schema è asimmetrico, in quanto la funzione comunicativa ammette delle suddivisioni interne (funzione referenziale, conativa, emotiva, ecc.) che non trovano corrispondenza nella funzione poetica, altro che come scambio di livelli funzionali.
Il livello d’uso del sistema linguistico rappresentato dalla funzione comunicativa comune ha come suo stato costitutivo e strutturale la ridondanza e l’automaticità del discorso. In altre parole, il segno, nel linguaggio comune, viene inteso e usato come una qualità dell’oggetto (impiego magico delle parole) o come simbolo sostitutivo del significato emozionale (rappresentazione simbolica degli stati di coscienza). I sistemi relazionali organizzati nei e tra i singoli piani linguistici (fonologico, morfosemantico, morfosintattico) tendono ad automatizzarsi, creando dei modelli di discorso standardizzati e ridondanti che operano sul parlante medio estraniandolo dai sistema linguistico, delle cui possibilità virtuali egli ha solo parziale consapevolezza. Questa è una costante strutturale verificabile positivamente in tutti i tempi e in tutte le aree d’impiego regionale della lingua.
Il fenomeno dell’automatizzazione dei mezzi linguistici acquista però oggi, in un momento di espansione del linguaggio comunicativo medio, una rilevanza quantitativa maggiore che nel passato. Vari sono i fattori che agiscono in questo processo; uno dei quali e non il solo, come pare affermare Pasolini, può essere l’incidenza del linguaggio tecnologico, limitata però al piano lessicale e terminologico.
Mentre tutti questi fattori sono riassunti nella specificità della situazione storica odierna di organizzazione industriale della cultura. L’industria culturale, coi potentissimi mezzi di comunicazione di massa di cui dispone, moltiplica i modelli standardizzati di discorso, accentuando una tendenza già in atto nell’uso funzionale del sistema linguistico.
Tali modelli vengono assunti e usati automaticamente dai parlanti, i quali, nella misura in cui si inseriscono nel sistema industriale produttivo e di consumo, si allontanano sempre più da quella condizione antropologica preindustriale che aveva come manifestazione linguistica il dialetto.
Non si può dire però che essi, usando il sistema comunicativo imposto dall’industria culturale, entrino in possesso della struttura della lingua, intesa come insieme organizzato di virtualità comunicative, in quanto l’abitudine a usare automaticamente modelli fissi di discorso e le parole come entità reificate determina anche un impoverimento e uno scadimento dei contenuti semantici.
Questo impoverimento comunicativo è strutturalmente e, direi, necessariamente determinato dal processo di espansione in senso unitario dello standard linguistico medio, ed è verificabile sia dal punto di vista quantitativo (riduzione delle unità e loro aumento di frequenza) sia da quello qualitativo (reificazione del segno e dispersione semantica). Insomma, più l’uso del sistema si allarga estensionalmente più si riduce intensionalmente.
Non si può assolutamente affermare che oggi il parlante medio, passando dalla sua arcaica condizione dialettale all’impiego dei mezzi comunicativi della lingua comune, sia integrato nel sistema della lingua «nazionale», in quanto, mentre prima era nel possesso di tutte le virtualità comunicative della struttura chiusa del proprio dialetto, ora si trova a possedere solo parzialmente e imperfettamente gli strumenti comunicativi di un sistema linguistico che egli non riesce a dominare, non partecipando responsabilmente e attivamente al sistema sociale e culturale di produzione e divulgazione dei messaggi linguistici dell’industria culturale.
Torno quindi ad affermare che la situazione linguistica creatasi oggi in Italia in virtù dello sviluppo industriale non ha caratteri di novità a livello delle strutture della lingua, in quanto i parlanti, ricevendo e riproducendo automaticamente un tipo di comunicazione mistificata e reificata, non divengono agenti attivi nell’evoluzione della struttura della lingua.
Consideriamo ora l’altra opposta funzione del sistema linguistico, la funzione poetica, nel senso in cui è stata definita più sopra. La funzione poetica, come s’è visto, ha il compito di liberare il segno e i modi della comunicazione linguistica da tutti gli automatismi reificanti il sistema, sia ch’essi avvengano a livello nel discorso comune, sia ch’essi appartengano a una tradizione letteraria che, avendo fissato un sistema chiuso di norme e modelli linguistici, viene a caratterizzarsi nell’ambito della funzione comunicativa comune, seppur a livello di cultura.
La peculiarità pertanto dei messaggi poetici è costituita dalla loro adesione alla funzione poetica del sistema linguistico. II loro grado di poeticità viene misurato in base al grado di aderenza alla funzione che è loro propria: in altre parole, in base alla quantità di realizzazione informazionale delle possibilità combinatorie proprie della struttura linguistica.
Non mi sento di aderire alla proposta che fa Pasolini di scegliere come parametro di giudizio critico la «lingua media», dimostrando con ciò di mantenersi aderente a una poetica del rispecchiamento seppur tradotta in termini linguistici; mentre mi pare che per fondare scientificamente lo studio dei testi poetici sia necessario tenere come schema di comparazione con le singole realizzazioni la struttura delle relazioni sintagmatiche su cui si fonda la lingua.
Il messaggio poetico, realizzando una precisa funzione linguistica, ha come finalità specifica quella di porre in rilievo se stesso come attualizzazione libera della struttura linguistica. E l’opposizione funzione comunicativa / funzione poetica agisce nel senso che più la prima si estende fissandosi in un tipo di comunicazione impoverita, automatizzata e reificata, più la seconda fa sentire l’esigenza di differenziare maggiormente l’uso linguistico del messaggio poetico.
Questo è ciò che spiega linguisticamente la crisi e l’anacronismo delle poetiche di tipo realistico. Tali poetiche, infatti, formulando l’ipotesi che la realtà effettuale sia portatrice di messaggi autonomi, pongono come programma linguistico la mimesi della realtà stessa e quindi la reificazione del sistema di comunicazione segnica, venendo con ciò meno alla funzione propria del linguaggio poetico.
Tuttavia un programma poetico di questo tipo sopravvive ancora in quanto si colloca nell’ambito dell’operazione linguistica dell’industria culturale, vista nella sua funzione di produttrice di messaggi artistici. Essa infatti annulla l’opposizione funzionale tra linguaggio poetico e linguaggio comune, in quanto nel momento della distribuzione dei suoi prodotti artistici fornisce al fruitore un modello di decodificazione dei messaggi stessi che risponde alle esigenze d’uso della funzione comunicativa comune e non a quelle della funzione poetica.
I messaggi poetici vengono quindi reificati nella misura in cui l’attenzione dei fruitori viene attratta verso la realtà effettuale extralinguistica, anziché verso la struttura delle potenzialità comunicative della lingua.
Diversamente, a mio parere, devono venire valutati gli esperimenti linguistici delle cosiddette avanguardie. Al fondo di tali esperimenti si manifesta una maggior consapevolezza della funzione linguistica che il messaggio poetico deve avere nella situazione culturale di avanzato sviluppo industriale della nostra società, consapevolezza che si traduce in operazioni poetiche condotte sui segni e sulle strutture linguistiche, invece che direttamente sulla realtà esterna.
La letteratura, oggi più che mai, ha il compito di formulare precisi programmi poetici che si qualifichino come schemi conoscitivi non della realtà effettuale extralinguistica, bensì delle possibilità strutturali di realizzazione comunicativa del sistema linguistico. Ciò non può certo coincidere con il progetto di Pasolini formulato in termini di «espressività linguistica».
L’uso ch’egli fa del compromesso termine di «espressività» denuncia chiaramente gli schemi superati della sua poetica tendente verso la comunicazione comune: la funzione espressiva o emotiva del sistema linguistico infatti non è altro che una sottodistinzione della funzione comunicativa comune, in quanto è centrata su un fattore esterno al sistema linguistico, cioè il produttore stesso del messaggio.
Alla letteratura spetta oggi il compito di reintegrare l’uomo produttore ai messaggi nel possesso del sistema comunicativo che gli è proprio, sottraendolo alla condizione alienante di un certo tipo di comunicazione segnica reificata e automatizzata e sviluppando invece la consapevolezza dell’uso arbitrario dei segni rispetto agli oggetti e delle potenzialità comunicative del sistema linguistico.
Un tale programma di integrazione antropologico-linguistica però diverrà totalmente operante, acquistando un senso e una funzione pragmatica, solo quando il rinnovamento in senso democratico della nostra società avrà realizzato una effettiva integrazione culturale, economica e sociale delle classi partecipanti attivamente alla società civile di tipo industriale nel sistema non solo di consumo ma anche di produzione dei messaggi linguistici e poetici.
Da: Dialoghi con Pasolini. Scritti 1957–1984, a cura di Alberto Cadioli, Roma, Editrice «l’Unità», 1985 pp. 78–81
Luigi Rosiello (Bologna, 28 febbraio 1930 — Bologna, 16 giugno 1993) Tra i primi docenti universitari italiani di linguistica generale: iniziò con una cattedra a Cagliari per poi passare a Bologna. La produzione scientifica di Rosiello, sempre attento ai dibattiti culturali del suo tempo, è vasta e articolata ed estremamente consapevole del contesto italiano e internazionale.Be è prova il suo lungo impegno nella rivista “Lingua e Stile”, di cui fu direttore e la sua collaborazione con riviste come l’“Archivio Glottologico Italiano”. Tra i vari saggi sono da segnalare quelli sulle relazioni tra linguistica e marxismo, tra stilistica e strutturalismo come pure le riflessioni sul linguaggio di Vico, Condillac, Gramsci e Chomsky. Rilevanti anche gli studi dedicati alle relazioni tra lingua e letteratura, come nel caso del lavoro sul vocabolario della poesia di Montale.