Le arpie di Andrea del Sarto: un abbaglio psicanalitico

di Rudolf e Margot Wittkover

Mario Mancini
3 min readOct 11, 2020

Vai all’indice le libro mosaico “Nati sotto Saturno” di Rudolf e Margot Wittkower

Particolare del piedistallo delle Madonna delle Arpie di Andrea del Sart0, 1517, Firenze, Galleria degli Uffizi.

Nel 1913, tre anni dopo la comparsa del saggio del Freud, Ernest Jones pubblicò uno studio sull’influenza avuta dalla moglie di Andrea del Sarto sull’arte del marito (The Influence of Andrea del Sarto’s Wife on his Art).

Scolaro di Piero di Cosimo e frequentatore assiduo delle eccentriche riunioni in casa di Giovan Francesco Rustici, il dotatissimo Andrea (1486–1531) apparteneva a quella turbolenta cerchia fiorentina di cui abbiamo parlato in precedenti capitoli.

All’età di trentun anni si sposò con una vedova, bella ma di umili origini. Il Vasari la descrisse nella prima edizione delle sue Vite come una donna di pessima indole, ma nella seconda edizione tacque molte delle cose malevole che ne aveva detto diciotto anni innanzi.

Questa revisione ha dato adito a molte congetture, ma finora non è Stato possibile stabilire le ragioni che lo indussero a modificare il suo giudizio, né accertare quale delle due redazioni fosse più vicina alla verità.

Il Jones diede credito alla prima versione, e suppose che il fatto di non essere Andrea, con tutti i suoi doni, pervenuto alla suprema maestria, fosse dovuto alla sua omosessualità repressa, e al suo carattere femminile influenzato negativamente dal non risolto rapporto di odio-amore con la moglie dominatrice.

Lo studioso trova una conferma a questa opinione in una delle opere più conosciute di Andrea: notando, nel piedistallo della «Madonna delle Arpie», la presenza di:

«parecchie arpie, che sono naturalmente del tutto fuori luogo in un soggetto del genere; a mia conoscenza è questo il solo esempio di motivo pagano nelle opere di Andrea… I critici non hanno saputo in alcun modo rendersi ragione del fatto, ma se la mia ipotesi circa l’atteggiamento inconscio del pittore verso la moglie è esatta, la spiegazione non dovrebbe essere difficile».

Disgraziatamente per la tesi del Jones, le arpie, raffigurate in bella evidenza sotto i piedi della Vergine, non sono per niente affatto «fuori luogo in un soggetto del genere».

Le arpie, e cosi le sirene e le sfingi in simile positura, sono piuttosto comuni nell’iconografia religiosa dell’epoca.

Fra i molti esempi basterà ricordare, di Filippino Lippi, la Vergine e santi di Prato (1498) il San Sebastiano di Genova (1503), in cui appare lo stesso motivo.

Nel contesto in cui sono ambientati quegli antichi mostri essi non possono che simboleggiare il paganesimo sopraffatto dalla religione cristiana; e, più specificamente, la Vergine in trono che li sovrasta significa il trionfo della purezza sul peccato.

Aggiungeremo che se fosse vero che Andrea non figurò mai in nessuna delle sue opere analoghi motivi pagani, vorrebbe dire che né i soggetti, né i desideri dei clienti richiedevano tali figurazioni.

Come quasi tutti gli artisti del tempo, Andrea non era in condizione di scegliere fra mezzo a un certo numero di simboli esistenti quello che appagasse i suoi stimoli inconsci.

La Madonna delle arpie fu commissionata da un frate minore di Santa Croce per il convento delle monache di San Francesco in via Pentolini, e in casi simili i committenti erano soliti prescrivere minutamente quel che volevano fosse rappresentato.

A illustrazione della curiosa negligenza del Jones per i costumi nazionali, citeremo ancora una sua osservazione marginale. In una nota egli fa riferimento al Vasari, il quale racconta che ogni mattina Andrea andava da per sé al mercato a scegliere gli ingredienti migliori per i suoi piatti preferiti.

Per il Jones questa è una prova di più dell’omosessualità dell’artista: ignorando che il far la spesa, specialmente per le ghiottonerie, è ancora oggi in molte case italiane una prerogativa maschile.

Fonte: Rudolf e Margot Wittkover, Nati sotto Saturno. La figura dell’artista dall’antichità alla Rivoluzione francese, Einaudi, 1963

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Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

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