Life at the Bauhaus
Bela Lugosi is dead?
di Federico Chiacchiari
Sono volti di ragazze e ragazzi quelli che emergono dalla foto di copertina. È il 1927, siamo a Dessau. Da due anni il Bauhaus si è trasferito lì da Weimar. La Grande Guerra sembra un po’ più lontana, e per Anni Albers, Gunta Stölz (le due in primo piano), Bruno Streiff, Shlomoh Ben-David, Gerda Marx e Max Bill (in piedi), sembra emergere una sorta di gioia, come facessero tutti parte di un gioco collettivo forse unico e irripetibile.
Ma c’è un aspetto, particolare, che colpisce: la gioventù dei fondatori e dei maestri (Walter Gropius aveva 36 anni nel 1919, Johannes Itten 31, László Moholy-Nagy 30 nel 1925 quando entrò al Bauhaus). Un gruppo di “ragazzi di fine secolo” prese le redini della Formazione sulle Arti e Mestieri e diede vita a una piccola comunità, autonoma e creativa, che sperimentò stili di vita e stili culturali innovativi, che neppure gli anni del nazismo riuscirono a fermare.
Nuovi stili nella moda e nuove forme di stare insieme, moderni elementi concreti del corpo, teorie e tecniche esoteriche come Mazdaznan, esperimenti di amore libero e le feste della Bauhaus come sismografi per lo spirito del tempo e la sua gioia nella sperimentazione.
Raccontano Jeannine Fiedler e Peter Feierabend che tra i primi hanno studiato a fondo la storia sociale della scuola, analizzando, tra gli altri argomenti, i ruoli della musica, delle feste, dell’amore, del genere e del misticismo del Bauhaus.
Ecco, quello che ci piace osservare da qui, a partire da questa foto, è l’incredibile esperimento sociale/emozionale del Bauhaus, oltre le teorie, le forme, le linee e tutte le piccole/grandi innovazioni dal design alle tessiture, agli oggetti e all’architettura. Qui vediamo dei ragazzi del 1927 che sorridono affacciandosi ai balconi. Gunta Stölz ha qui 30 anni ed è già insegnante di tecnica nella tessitura, ne aveva 22 quando arrivò da studentessa al Bauhaus. Anni Albers ha 28 anni e poi divenne una delle maggiori artiste tessili e grafiche. Max Bill aveva appena 19 anni, ed è divenuto poi un poliedrico architetto, designer, pittore, scultore e grafico. Sono volti e corpi giovani quelli che attraversano questa immagine e che segnano il percorso umano, artistico e professionale del Bauhaus. E non è un caso che l’Istituto si distinse, in quegli anni, per la grandi “Feste pubbliche”.
Oskar Schlemmer ha riconosciuto che il gioco è stata la forza che ha reso possibile la creatività, proprio attraverso attività non intenzionali. Progettò le grandi feste pubbliche e le usò anche come una sorta di palcoscenico sperimentale per il laboratorio teatrale che dirigeva. A Dessau le feste diventarono eventi culturali. La danza non era più eseguita per la fisarmonica, ma per i suoni jazz della Bauhaus Band, che presto divenne famosa anche al di fuori del college.
La danza, dunque, era una parte significativa della scena sociale al punto che Anni Albers raccontò che si sentiva una specie di outsider al Bauhaus, proprio perché non sapeva ballare. Ma mentre le danze coinvolgevano soprattutto gli studenti, le feste includevano l’intera comunità del Bauhaus. Le feste, il gioco, la musica, le danze, gli amori (furono ben 71 i matrimoni “interni” al Bauhaus), le lotte per le donne per affermarsi e conquistare il loro spazio (dal 60% dei primi anni a Weimar a meno del 30% degli anni seguenti).
Insomma un insieme di storie, teoriche, relazioni, qualcosa di difficile rappresentazione (forse ci si avvicina la serie Babylon Berlin, almeno nella visualizzazione di balli e spettacoli), che hanno prodotto alcune delle idee più straordinarie e innovative per tutte le arti visive, architettura in primis. Ma che curiosamente ha avuto successo “in diretta” con la produzione della linea di carta da parati, basato sui disegni semplici creati nel laboratorio di pittura murale.
Straordinario e finto paradosso per una Scuola che ambiva alla “costruzione” che il suo unico vero successo furono le carte da parati. Perché il Bauhaus ha avuto anche l’ossessione per “il piccolo”, il dettaglio. Che ne ha fatto un riferimento per il Design moderno.
Ma restano quei volti, quegli sguardi di giovani, in mezzo alle due tragedie del secolo scorso. Un attimo della Storia in cui i giovani potevano ribellarsi agli orrori degli adulti, per riprendere possesso delle proprie vite e delle loro felicità. Una vera, dolce e irresistibile, magnifica illusione.
PS: Bauhaus è nato il 1 aprile del 1919. Sentieri selvaggi il 1 aprile del 1988.
Gli scherzi d’aprile continuano…
Federico Chiacchiari è giornalista, critico cinematografico e scrittore. Dal 2012 è direttore responsabile del bimestrale digitale “Sentieri selvaggi Magazine”. È autore di monografie su David Lynch (1991), Massimo Troisi (1992) e John Belushi (1996) e di molte voci di cinema dell’Eniclopedia Treccani. Si occupa delle problematiche della cultura nell’era del ciberspazio.