L’arte nella vagina: da Bolsonaro all’antichità
di Paolo Marcucci
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La vagina di Bolsonaro
Secondo Ernst Mach[1], per gli psicanalisti la vagina è il mezzo con il quale vedere il mondo, ma forse Juliana Notari, artista brasiliana, pensava di più alla possibile interpretazione di Bolsonaro della battuta di Sophie Kennedy Clark[2], “Mea vulva, mea maxima vulva”.
L’artista ha realizzato una grande scultura a forma di vagina, sul fianco di una collina, presentandola «contro l’odio di Bolsonaro», come un inno alla donna, alla “Diva”, contro le posizioni maschiliste e misogine del governo brasiliano e suscitando ovviamente apprezzamenti da un lato e critiche feroci e volgari dall’altro.
“Sono servite più di 40 mani per far nascere Diva, più di venti uomini che lavoravano in uno sforzo erculeo sotto il sole alto, tra tanta musica e scherzi”. Diva è una land art, un enorme scavo a forma di vulva/ferita di 33 metri di altezza, 16 metri di larghezza e 6 metri di profondità, ricoperto di cemento armato e resina. “Sarà cambiando la prospettiva della nostra relazione tra umani e anche tra umani e non umani, che ci consentirà di vivere più a lungo su questo pianeta e in una società meno disuguale e catastrofica”.[3]
Il tema vaginale nell’arte antica
In questi termini il tema potrebbe apparire attuale, e lo è, ma in realtà ci accompagna dall’alba dell’uomo (e della donna). Come, ad esempio, la figura di Baudo, divinità femminile, che sembra provenire dal Neolitico e poi trasmessa e arrivata fino al mondo classico.
Nella mitologia greca, Baubo veniva definita la dea dell’oscenità ed era rappresentata senza testa, perché la parola fluiva attraverso la vagina.
Il mito racconta che intrattenne Demetra (divinità della religione greca che governava la natura, i raccolti e le messi, e figlia di Crono e Rea), disperata per la perdita della figlia, ballando in un modo alquanto esilarante e raccontando storie licenziose[4].
Il tema vaginale è talmente diffuso che anche tutta l’Europa ne ha tracce estese e antiche. Una delle più conosciute è Sheela na Gig e si colloca prevalentemente, ma non solo, in Inghilterra e in Irlanda.
Sono sculture di rappresentazioni di donne nude che mostrano una vulva ingigantita, aperta e offerta, simboleggiando l’importanza della fertilità e del parto e quindi della vita stessa.
Il culto, con radici profonde, è popolare e infatti ha consentito la diffusione di queste sculture che si trovano all’entrata in numerose chiese e castelli. Il culto rimane vivo anche nell’epoca del Cristianesimo, ed è arrivato oggi fino a noi.
… e in quella moderna
Molto diffusa in Italia[6] è l’evoluzione, dalle sue origini pagane, ma in chiave molto più pudica per l’influenza probabilmente della Chiesa, della rappresentazione dell’ostentazione dei genitali femminili, con l’immagine della sirena bicaudata. La donna diventa così una sirena con le gambe divaricate che si sono trasformate nelle due code.
L’immagine rimanda alla dea della fertilità e delle acque, simboleggiata proprio dalla coda di pesce.
In alcune chiese, il legame con l’acqua, è rappresentato dalla presenza di queste figure proprio sull’acquasantiera.
Tornando invece all’epoca attuale vediamo che il tema, nonostante l’evoluzione delle libertà sessuali e sociali, continua misteriosamente a affascinare e a essere usato come forma di provocazione, di denuncia e uso sociale. Vedremo due esempi.
Nel 2012 l’artista Mc Cartney[6] realizza La Grande Muraglia, formata da calchi di vagine.
Il lavoro è stato fatto usando la tecnica del calco, applicata all’inguine delle volontarie che ha portato alla realizzazione dell’opera in gesso, composta da 400 elementi di genitali femminili, trasformati poi in bronzo e colorati di bianco, che compongono nelle loro differenze individuali un muro, una muraglia[7] appunto.
Le donne partecipanti (persone comuni, non professioniste), hanno condiviso l’idea dell’irripetibilità individuale della propria vagina, anche contro il pensiero che le vorrebbe, che le immagina, tutte uguali, e quindi a favore della diversità (il colore bianco non fa distinzioni di razza) e denunciando anche le troppe operazioni di chirurgia estetica sulla vagina[8], come labioplastica e vaginoplastica, volte e tese ad un modello preciso e vicino all’immagine reale e simbolica prepuberale.
La vagina parlante
Terminiamo, così come abbiamo iniziato, con il lavoro di una donna, Deborah De Robertis[9], che realizza la sua opera sulla vagina confrontandosi con Courbet e il suo famoso L’origine del mondo, del 1866.
L’artista usa la vagina come provocazione, ma anche come viaggio nel profondo, con il sesso in evidenza al suo interno, andando quindi oltre il punto dove si era fermato Courbet e svelando quello che nel quadro non si vede, ”il buco nero, il suo occhio[10]” che guarda ciò che Courbet non può, non sa, e forse non vuole vedere.
Courbet dipinge sì la vagina, che non può però esprimersi, e appare quindi solo come oggetto. La performance si chiude con la sua voce registrata che declama l’Ave Maria di Schubert, rimandando così, ancora una volta, al mistero della verginità di Maria e alla sua fecondazione.
Piccola galleria
Note
[1] Ernst Mach (1838–1916), fisico e filosofo austriaco.
[2] Sophie Kennedy Clark (1989), attrice scozzese.
[3] Juliana Notari nell’intervista a Sara Gandolfi, Corriere della Sera, 5 gennaio 2021.
[4] Wikipedia.
[5] Dalla Puglia, alla Val d’Orcia, a Ercolano, solo per dare l’idea della diffusione.
[6] Jamie McCartney è uno scultore inglese, che si è formato e diplomato presso la Scuola d’Arte di Hartford, Stati Uniti.
[7] Nove pannelli per dieci metri di grandezza (www.stilearte.it).
[8] Dando vita anche a fenomeni di turismo chirurgico, che crescono ogni anno, alla ricerca del prezzo migliore.
[9] Deborah De Robertis nata nel 1984, artista e fotografa lussemburghese, di origine italiana.
Paolo Marcucci ha svolto tutta la sua esperienza lavorativa nel mondo bancario. È stato relatore a convegni/incontri a carattere economico, docenze a master universitari sul risk management. È stato assessore alla cultura e all’industria del Comune di Montelupo Fiorentino. Da sempre interessato alla storia e all’economia locale, la sua ultima pubblicazione è Storia della Banca Cooperativa di Capraia, Montelupo e Vitolini. Una banca territoriale toscana e l’economia locale al tempo della globalizzazione