L’anno gramo dei grandi gruppi media

Non basterà Avatar 2 a risollevare il settore

Mario Mancini
7 min readDec 25, 2022

Vai agli altri articoli della serie “L’inarrestabile corsa dello streaming”
Vai agli altri articoli della serie “La rivoluzione tecnologica e le sue conseguenze”

Alcuni film usciti nel secondo scorcio del 2022. Dall’alto in senso orario: Avatar. La via dell’acqua, Armageddon Time — Il tempo dell’apocalisse, She Said, Tár.

Un bel problema

Il 2022 è stato davvero un anno orribile per l’industria dei media. Si erano riposte molte speranze in Avatar. La via dell’acqua, il sequel del film campione d’incassi del 2009, per risollevare il box office e il morale, ma Avatar 2 non ha corrisposto in pieno a queste aspettative.

I suoi incassi nel primo weekend di uscita in America, pur essendo consistenti (135 milioni di dollari, quasi doppi in valore assoluto del primo Avatar, 77 milioni), sono stati al di sotto delle stime. A livello globale il film ha incassato 435 milioni, anch’esso un discreto risultato.

Per dare la dimensione della scommessa che l’industria cinematografica ha fatto su questo film è sufficiente guardare l’impegno dell’AMC Entertainment, il primo operatore di multiplex al mondo. Nelle sue sale ha messo in programma più di 100.000 spettacoli e 10 milioni di posti in vendita fino a Capodanno, solo negli Stati Uniti.

Per gli osservatori e gli analisti, nonostante questo risultato importante di Avatar 2, la tendenza del pubblico del cinema a recarsi con frequenza minore alle proiezioni dei film sembra ormai un fenomeno non tanto correttibile quanto strutturale, molto più dello sbocco di un’avversa contingenza.

L’industria tradizionale sta attraversando una congiuntura fortemente ostile della quale non sembrano affatto avvantaggiarsi i nuova media e neppure gli appena varati servizi di streaming da tutti i grandi gruppi. La crisi prende tutto il settore e tutte le sue attività senza distinzione.

Lo stato d’animo degli investitori riflette la duplice realtà di declino del business storico e di perplessità sul modello economico del nuovo, cioè dello streaming che continua a pesare molto negativamente sui risultati dei gruppi che hanno deciso di puntarci.

Una micidiale cura dimagrante

Nel 2022 più di 500 miliardi di dollari sono stati raschiati dal valore di mercato delle più grandi società media del mondo, innescando una caduta dei prezzi delle azioni delle imprese dell’industria culturale.

A provocare questa crisi del settore dei media hanno contribuito quattro fenomeni coincidenti e convergenti: l’inasprirsi della concorrenza, l’aumento dei costi di produzione, la stretta dei consumi dovuta all’inflazione e, non ultimo d’importanza, il rallentamento della pubblicità.

“È stata una tempesta perfetta di eventi negativi”, ha dichiarato al “Financial Times” Michael Nathanson, un navigato analista dei media. “Seguo questo settore da molto tempo e non ho mai visto un insieme di dati così negativi”.

Vediamone alcuni veramente impressionanti.

Dati terrificanti

Le azioni della Disney sono calate del 45% nel corso del 2022, un crollo repentino che non si verificava da mezzo secolo. Per di più in questo fine 2022 le azioni sono state messe alla gogna per via dagli incassi dell’atteso sequel di Avatar che si stimavano migliori nel weekend di debutto, un indice importante del risultato economico di un film.

Avatar la via dell’acqua, tre ore 12 minuti di durata, è costato alla Disney 600 milioni di dollari a produrlo e promuoverlo e sono in programma ben tre nuovi sequel. Un bell’impegno per la compagnia di Topolino appena uscita da una turbolenza al vertice che ha visto il ritorno per la terza volta come CEO dell’intramontabile Bob Iger che ha preso il posto dello sfiduciato altro Bob, Bob Chapek.

Non è andata meglio alle azioni della Paramount Global, giù del 42%. Per Netflix e il nuovo conglomerato Warner Bros Discovery la pozione servita dagli investitori è stata ancora più amara.

Il colosso di Los Gatos, che durante la pandemia sembrava lanciato verso risultati inimmaginabili, ha visto una riduzione del 52% della propria capitalizzazione dopo che non è riuscito a mantenere il ritmo indiavolato di nuovi abbonati raggiunto durante il lockdown.

Warner Bros Discovery ha perduto il 63% dopo che, all’inizio dell’anno con un’operazione temeraria, Discovery Channel aveva preso il controllo, fondendosi, di Warner Media, tre volte più grande e parte del titanico At&T che l’aveva acquisita nel 2018 per la cifra record di 85 miliardi di dollari. Il nuovo management di Discovery sta faticando a integrare le due culture e ha annunciato un costo supplementare di ristrutturazione di 5,3 miliardi di dollari. Una sorpresa che non è piaciuta a Wall Street.

Il filotto di calamità finanziarie potrebbe continuare con Spotify il cui valore è crollato del 69% fino a raggiungere lo zenit con Roku, un apprezzato dispositivo di accesso allo streaming, che si è visto portare via l’81% della propria capitalizzazione.

Nel complesso l’indice Dow Jones Media Titans, che tiene traccia di 30 tra le più grandi società di media del mondo, ha perso il 40% nel corso del 2022, con un valore di mercato totale che si è ridotto in 12 mesi da 1,35 mila miliardi di dollari a 808 miliardi.

La fragilità dello streaming

Dopo l’eldorado della pandemia i servizi di streaming hanno impiegato ingenti risorse in contenuti originali così da aumentare a dismisura l’offerta e le opzioni di visione degli utenti. Questo passo è però coinciso con un considerevole aumento del costo della vita che ha costretto le famiglie a ridimensionare il proprio impegno finanziario in attività meno essenziali come le spese per lo svago e il divertimento. Il sistema è così andato in panne.

Come nota John Koblin sil “New Yorl Times”, citando una rilevazione dell’agenzia specializzata Ampere, l’ordine di nuove serie da parte dei tre maggiori servizi di streaming in America (Netflix, HBO Max e Showtime) è calata dal 22 al 27% nel corso del 2022.

Un possibile rimedio a questo stato di cose potrebbe essere quella di iniziare a portare su questi servizi i blockbuster e le grandi produzioni in stile hollywoodiano così da tenere nel recinto gli abbonati e aggiungere utenti attraverso altre opzioni, come la visione a pagamento on-demand delle novità.

L’on-demand potrebbe anche essere la strada delle produzioni hollywoodiane molto apprezzate dalla critica che mirano ad essere premiate durante la serata degli Oscar. È una nicchia che ha fatto molto bene sui servizi di streaming. L’ultimo Oscar per il miglior film è stato assegnato proprio a una pellicola, Coda, prodotta da Apple TV+.

Come scrive Brook Barnes sul “New York Times” questo tipo di produzione sta perdendo audience al box office. Scrive: “Uno dopo l’altro, i film di prestigio non sono riusciti a trovare al cinema un pubblico sufficientemente esteso da ripagare il loro costo”.

La crisi investe anche i contenuti

Nella prima parte dell’anno il pubblico aveva risposto bene alle produzioni di prestigio degli studios. La lista degli ottimi incassi comprendeva Elvis di Baz Luhrmann, The Lost City la commedia con Sandra Bullock, La ragazza della palude un adattamento del romanzo di Delia Owens, il molto apprezzato dalla critica Everything Everywhere All at Once, The Northman, Nope e altri.

È successo però che l’ultima parte del 2022 è stata una carneficina al box office per il film di prestigio, a tal punto che l’editorialista del “New York Times” Ross Douthat ha parlato di “movie apocalypse”.

Il film Armageddon Time — Il tempo dell’apocalisse, in corsa a Cannes per la Palma d’oro, è costato circa 30 milioni di dollari e ha realizzato appena 1,9 milioni al botteghino nel Nord America.

Tár di Todd Field con Cate Blanchett, a fronte di un costo di 35 milioni di dollari, ne ha incassati 5,3 milioni.

La Universal ha speso 55 milioni di dollari per realizzare e commercializzare She Said di Maria Schrader e ha portato a casa 5,3 milioni di dollari.

Devotion di J. D. Dillard è costato oltre 100 milioni di dollari e ha generato 14 milioni di ricavi. A The Fabelmans, l’ultimo apprezzato film biografico di Steven Spielberg, è successa la stessa cosa.

Possibili rimedi

È vero che I film da Oscar raramente diventano dei blockbuster. Tuttavia, in passato questi film hanno ottenuto buoni risultati al botteghino.

Nel 2019, 1917, un film sulla Prima guerra mondiale ha generato 385 milioni di dollari. Nel 2010 Black Swan, interpretato da Natalie Portman, ne aveva realizzati 329. Questi risultati sono lungi dall’essere raggiunti nel post-pandemia.

Alcuni studios come Focus Features, che ha prodotto Armageddon Time e Tár, stanno mettendo in atto dei rimedi. Dopo una finestra di poche settimane nei cinema, in genere la finestra è di tre mesi, il film viene offerto in streaming on demand a un prezzo premium che oscilla tra i 14 e i 20 euro. I ritorni di queste iniziative non si conoscono, anche se, stando alle dichiarazioni degli studios, sono consistenti.

Che sia questa la strada che devono imboccare i film di prestigio, cioè un mix tra sale e streaming?

Molti, tra cui Spielberg, sono convinti che questi film torneranno nelle grazie del pubblico che ama il cinema come arte e spettacolo.

Anche secondo il già menzionato Ross Douthat il pubblico potenziale c’è, quel che invece sta venendo a mancare è che il sistema ha dimenticato come portarlo di nuovo al cinema.

La copertina per il citato articolo di Ross Douhat scelta dal “New York Times”.

Fonti

Alistair Gray, Media groups shed $500bn in value as shares head for historic declines, The “Financial Times, 20 dicembre 2022
Brooks Barnes, ‘Avatar: The Way of Water’ Has a Subdued Start at the Box Office, “The New York Times”, 18 dicembre 2022
Brooks Barnes, Highbrow Films Aimed at Winning Oscars Are Losing Audiences, “The New York Times”, 15 dicembre 2022
Ross Douthat, Raiders of the Lost Art, “The New York Times”, 16 dicembre 2022
John Koblin, Streaming’s Golden Age Is Suddenly Dimming, “The New York Times”, 18 dicembre 2022

--

--

Mario Mancini
Mario Mancini

Written by Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.

No responses yet