L’affermarsi del fascismo

Mario Mancini
9 min readSep 16, 2020

Il nuovo schieramento dei paesi europei: fascismo e democrazia

di Karl Polany

Vai all’indice le libro mosaico “Karl Polany, Europa 1937”

Due ritratti di Marinetti del pittore futurista Enrico Prampolini. A sinistra, “Ritratto di F.T. Marinetti — Sintesi plastica”, 1924–1925, Galleria d’Arte Moderna di Torino. A destra, “Ritratto di Marinetti poeta nel Golfo della Spezia”, 1933–34, collezione privata

La nuova corsa agli armamenti

Con l’ascesa di Adolf Hitler alla Cancelleria tedesca il 30 gennaio 1933 inizia il secondo periodo dopo la Grande guerra. Il sistema dei trattati di pace è liquidato.

La Germania lascia la Società delle Nazioni e denuncia qualsiasi restrizione degli armamenti, iniziando un gigantesco riarmo. Si armano anche l’Austria e l’Ungheria. La politica di potenza torna a imperversare.

La Francia cerca di aumentare il ritmo del proprio riarmo; la Russia crea il più vasto esercito che si sia mai visto al mondo in tempo di pace; l’Italia e il Giappone dedicano tutte le loro energie, fino all’ultimo atomo, allo sviluppo degli armamenti; la Gran Bretagna ne segue la scia, lanciandosi nel più grande programma di riarmo della sua storia.

Il collasso del sistema di Versailles, insomma, scatena una corsa agli armamenti di dimensioni e intensità inaudite.

Ma non è tutto. Che il crollo del sistema di Versailles avrebbe scatenato le forze del revisionismo portandole al conflitto contro le potenze che avevano tratto vantaggio dalla guerra, era nulla di più di quanto c’era da aspettarsi.

Eppure, in un mondo disposto ad emendarsi, la realizzazione simultanea della revisione e della sicurezza collettiva avrebbe potuto ancora dare ragionevolmente adito alla prospettiva di un processo di aggiustamento non troppo gravoso.

La Francia aveva imparato che i trattati non erano sacri e la Gran Bretagna aveva scoperto che anch’essa poteva aver bisogno della sicurezza collettiva.

Le pretese di revisione territoriale si erano col tempo ridotte a proporzioni trattabili. L’Ungheria e la Bulgaria mostravano segni di un orientamento più moderato riguardo alla revisione delle frontiere, e la stessa Germania era ben capace di adattarsi alle nuove condizioni, come dimostrò il successivo accordo decennale sul Corridoio polacco.

Se si fosse trattato unicamente degli antagonismi nazionali, l’istituzione di una sicurezza collettiva sulla base di una ragionevole misura di revisione non sarebbe stata ancora completamente fuori dalla portata dei poteri di cui gli uomini di governo sono normalmente dotati.

Schieramenti nazionali e schieramenti sociali

Purtroppo nuove difficoltà si aggiungevano alle vecchie. Interessi sociali e ideologie divergenti fecero sorgere nella vita internazionale tensioni acute, che intersecavano gli schieramenti nazionali, a volte attenuando e a volte inasprendo gravemente l’intensità dei conflitti che li contrapponevano.

L’antagonismo nazionale continuò a dominare la situazione politica mondiale, ma su questo schema si sovrappose il conflitto sociale.

La Germania era il perno del nuovo assetto internazionale. La sua vecchia rivalità con la Francia rimaneva la fonte principale di tutte le difficoltà nella sfera dei rapporti fra nazioni, mentre dal compito che essa stessa si era assunto nella sfera sociale derivava il suo nuovo antagonismo con l’Unione Sovietica.

La Germania divenne così la potenza che più di ogni altra determinava la dinamica dei rapporti internazionali in entrambe le sfere.

Sia la Francia che la Russia si misero sulla difensiva nei suoi confronti, benché le ragioni del temuto attacco fossero, rispettivamente per l’una e per l’altra, di ben diversa natura.

Staccandosi dal campo revisionista ed entrando in quello della sicurezza collettiva, l’Urss creò in Europa una nuova situazione. Nel nuovo schieramento i paesi democratici e l’Urss procedevano affiancati, mentre i paesi fascisti stabilivano alleanze più o meno stabili con lo scopo di mandare in rovina la democrazia.

Benché i rapporti fra le grandi potenze imperialiste, Germania e Italia, alle quali va aggiunto, nell’Estremo Oriente, il Giappone, siano inquieti e spesso forzati, queste potenze in generale cercano di collaborare fra loro contro gli stati democratici e la Russia Sovietica, unendosi sotto lo slogan «salvare il mondo dal bolscevismo».

I rapporti fra Italia e Giappone non erano idilliaci durante la guerra in Etiopia; Italia e Germania si disputavano la supremazia sull’Austria.

Tuttavia la Germania diede una mano all’Italia quando questa invase l’Etiopia, e anche in seguito, in occasione del loro intervento congiunto a favore della Spagna franchista.

Germania e Giappone, a loro volta, hanno proclamato un’alleanza anticomunista contro l’Unione Sovietica.

Dall’altra parte, anche i rapporti fra la Gran Bretagna, la Francia e, nell’emisfero occidentale, gli Stati Uniti d’America sono divenuti più stretti.

Questi paesi appaiono sempre più orientati a collaborare, benché un’alleanza militare sembri ancora lontana. Ciò che disturba le loro relazioni è che la Francia, per ovvi motivi militari, tende a legarsi all’Urss più strettamente di quanto la Gran Bretagna e gli Usa si sentano di autorizzarla.

Le grandi differenze fra il sistema economico sovietico e quello degli altri paesi industriali danno alla diplomazia fascista una gradita chance di dividere questi paesi dall’Urss.

Il sorgere del fascismo ha un’importanza fondamentale riguardo alle guerre sociali e alle guerre civili del nostro tempo.

La democrazia e l’influenza della classe operaia

La guerra eliminò le tre grandi dinastie dominanti nel Continente europeo: gli Asburgo, gli Hohenzollern e i Romanov.

I loro imperi divennero repubbliche democratiche, l’aristocrazia feudale fu espropriata dei suoi beni da rivoluzioni agrarie e i capitalisti dovettero cedere il potere alla gente comune.

Ciò accadde, con modalità e caratteristiche diverse, nella vasta area dell’Europa centrale e orientale, dove più di una mezza dozzina di nuovi stati erano sorti nel corso del processo di rifioritura nazionale e sociale.

In Germania e nell’Austria-Ungheria i sindacati e i partiti della classe operaia ebbero un ruolo decisivo nell’instaurazione dei nuovi stati, i quali partivano da una condizione di quasi totale impotenza, dovuta al collasso generale seguito alla disfatta bellica.

In nessun caso la sconfitta era stata provocata dalla rivoluzione all’interno; al contrario, le rivoluzioni postbelliche erano il risultato della catastrofe militare.

Non c’è da stupirsi che la classe operaia andasse fiera dei risultati ottenuti. Essa aveva salvato la società dall’anarchia e, sulle rovine della vecchia comunità, ne aveva organizzata una democratica.

Non c’è da stupirsi che essa abbia lasciato la propria impronta nella costituzione dei nuovi stati, nella legislazione sociale e in quella sul lavoro, nell’amministrazione del benessere sociale.

La Germania imperiale, con il suo sistema di caste e lo snobismo degli Junker, ha visto diventare capo dello stato, al posto del Kaiser, un ex apprendista sellaio, Ebert.

L’Austria imperiale, nella quale una fiera aristocrazia deteneva il potere, fu trasformata da un giorno all’altro, divenendo famosa nel mondo come la metropoli delle più elevate conquiste culturali della classe operaia.

Le precedenti classi dominanti, però, non accettarono la sconfitta. I loro sforzi insistenti per ripristinare il proprio potere sono stati la fonte principale dei movimenti controrivoluzionari dai quali sorse il fascismo.

Il congegno che mandò e mantenne la classe lavoratrice al potere consisteva nel suffragio universale e nel governo rappresentativo: cioè, in breve, nella democrazia.

L’iniziativa controrivoluzionaria era diretta contro le istituzioni della democrazia; contro la democrazia politica, contro la democrazia industriale. Combattere l’influenza della classe operaia mediante la distruzione della democrazia è sempre stato il fine del fascismo.

La Rivoluzione russa

In Russia le infamie dell’autocrazia zarista fecero alla fine maturare i frutti che meritavano.

Proponendosi di salvaguardare la democrazia appena conquistata dalla minaccia immediata di una controrivoluzione zarista, la classe operaia stabilì il proprio dominio, il quale, sulla base delle condizioni arretrate del paese, portò a una rivoluzione socialista con caratteristiche uniche.

La Rivoluzione bolscevica fu probabilmente il solo mezzo per prevenire il ritorno dello zarismo e le indicibili crudeltà con le quali il terrore bianco trionfante usa vendicarsi sulle forze della rivoluzione.

Quando si tratta di dare un giudizio sulle forme che il socialismo di stato sovietico ha assunto, occorre tener presente che in Russia mancavano tre cose che i paesi dell’Europa occidentale possedevano: una popolazione istruita, un sistema industriale e tradizioni democratiche.

Gli apologeti reazionari del capitalismo hanno potuto trovare un appiglio nell’inevitabile debolezza dell’esperimento socialista sovietico per screditare il socialismo in generale; in realtà, sono state le grandi conquiste dell’Urss, tanto nel campo industriale che in quello educativo, che hanno fatto di questo paese l’obiettivo preferito del loro inflessibile astio.

Lo spauracchio bolscevico poté d’altra parte essere utilizzato anche a un altro fine. Sulla base delle istituzioni democratiche, la classe lavoratrice era arrivata ad avere un’influenza predominante nei paesi dell’Europa centrale; il potere di questa stessa classe aveva portato, in Russia, al bolscevismo.

Ciò forniva il destro di usare lo spauracchio bolscevico come un’arma per colpire la democrazia, in modo da bloccare una volta per tutte la via principale attraverso la quale la classe operaia allargava la sua influenza.

Nasceva così la grande idea del fascismo: combattere la democrazia sotto la copertura di una crociata anticomunista.

Fascismo e democrazia

È vero in effetti che, nel lungo periodo, una moderna società industriale può solo essere democratica oppure fascista.

Essere basata sull’ideale dell’uguaglianza e della comune responsabilità umana, oppure sulla negazione di esso.

Ma nelle condizioni odierne della vita sociale la democrazia non può essere mantenuta senza che i principi democratici vengano estesi alla società intera, compreso il sistema economico.

E quel che si usa chiamare socialismo. Coloro che vogliono colpire la democrazia alla radice rivolgono il loro attacco contro il socialismo, cercando così di far leva sui pregiudizi delle masse per mantenerle più agevolmente sottomesse.

Lo spirito del fascismo può essere compreso più agevolmente contrapponendolo agli ideali del socialismo, contro il quale esso enfaticamente è rivolto. Il fascismo è permeato di uno spirito estremamente nazionalistico.

Il socialismo tende invece, per sua natura, a trovare soluzioni internazionali. Chi intende screditare gli ideali socialisti definisce il pacifismo un crimine, e un abominio la disponibilità a cooperare con nazioni e razze diverse.

Il fascismo esalta l’uso della violenza e crede nel principio dell’eterno stato di guerra fra nazioni e fra popoli. Anche questa concezione si contrappone radicalmente a quella socialista, secondo la quale un’organizzazione internazionale del mondo potrebbe abolire le guerre; mentre la violenza può essere giustificata solo quando sia necessaria per assicurare maggiore libertà per tutti.

Il fascismo vede l’assolutismo come la forma naturale di organizzazione politica della comunità umana.

Autogoverno, istituzioni rappresentative, diritti civili, l’idea stessa della libertà e dell’autonomia dell’individuo: contro tutto ciò esso scaglia l’anatema. Il socialismo, invece, è l’adempimento dell’idea della libertà in una moderna società industriale.

Il principio che lo regge è l’autorealizzazione della personalità umana, la possibilità per ogni essere umano di esprimere se stesso. Proprio per salvaguardare questo fine viene rivendicata la proprietà comune dei mezzi di produzione.

Il socialismo cessa di essere se stesso se smette di combattere per una trasformazione della società tale, da garantire ad ogni individuo la massima misura di cooperazione spontanea e di iniziativa responsabile.

Il fascismo ha introdotto, sotto il nome di «principio del capo», la schiavitù politica delle masse come ideale che contraddistingue lo stadio finale dello sviluppo della società umana.

Una tale apoteosi della schiavitù è inevitabile in questa visione del mondo, che è tipicamente animata dalla volontà di sradicare dal cuore degli uomini l’ideale socialista di una compiuta libertà.

Lo stato totalitario e il nazionalsocialismo

Nei paesi dell’Europa centrale e orientale, dove alla fine della guerra la classe operaia era in ascesa, si costituì presto o tardi una controtendenza con lo scopo di abolire i vantaggi che i sindacati e i partiti della classe operaia avevano accumulato.

In Ungheria era stato instaurato un regime comunista, la cui breve vita finì con la restaurazione, fra orge di terrore bianco, della classe dominante di prima.

In Italia i lavoratori avevano intrapreso nel 1919 una serie di scioperi bianchi, in pratica occupazioni delle fabbriche, benché non sia stata veramente usata la violenza.

In questa congiuntura divenne evidente che gli strati inferiori della classe media rifiutavano di seguire le classi lavoratrici quando queste si mettevano a bloccare le ruote dell’industria senza avere un proprio piano ben delineato sul modo di rimetterle in movimento.

Il termine «fascismo» risale ai «fasci di combattimento» di Mussolini, il compito dei quali era di assalire i luoghi di riunione dei lavoratori, le sedi sindacali, le Camere del Lavoro; edifici e attrezzature venivano distrutti, gli avversari politici dei fascisti venivano bastonati e a volte uccisi.

Anche in Italia, come in Ungheria, i controrivoluzionari accusarono i lavoratori di antipatriottismo. Essi avvertivano il contrasto reale fra la propria frenesia nazionalistica e lo spirito pacifico e assennato dei lavoratori.

Ovunque la controrivoluzione abbia assunto una forma tipicamente fascista, la nazione intera ha investito le proprie energie nell’aumento palese o clandestino degli armamenti, dedicandosi unicamente a prepararsi per il giorno in cui le armi potranno essere usate in imprese di conquista.

Lo «stato totalitario» è il popolo intero–organizzato per la «guerra totale»; per una guerra, cioè, nella quale ogni cellula della nazione cessa di avere alcun’altra funzione o valore che non sia di essere sacrificata nello sforzo supremo di annientare il nemico.

Una guerra di questo tipo non comincia con l’inizio delle ostilità né cessa quando esse finiscono. Negli anni e nei decenni di preparazione apparentemente pacifica le energie degli uomini devono essere deviate in canali che accrescano al massimo la loro efficacia come unità impiegate in una guerra totale.

Il materiale biologico stesso della vita umana dev’essere subordinato a quest’unico scopo. Una volta accettata la guerra come risposta finale al problema della storia, nessun altro esito è logicamente possibile.

Per coerenza, i fascisti non possono evitare la conclusione che la vera natura umana risieda negli elementi animali che costituiscono l’uomo, non in quelli spirituali.

Lo stato totalitario può essere insomma rappresentato emblematicamente come una fattoria per l’allevamento selezionato, dedicata allo sviluppo di una razza d’uomo che, in caso di guerra, provochi il massimo danno al nemico e il minimo fastidio ai propri padroni.

È questa perfetta adeguatezza dei mezzi ai fini che fa del razzismo tedesco la vera forma del fascismo. Il Nazionalsocialismo non è una forma di socialismo. Esso è il nemico mortale di tutto il socialismo.

--

--

Mario Mancini

Laureatosi in storia a Firenze nel 1977, è entrato nell’editoria dopo essersi imbattuto in un computer Mac nel 1984. Pensò: Apple cambierà tutto. Così è stato.